Crisi di sistema, non solo di governo



Alberto Guasco    2 Settembre 2019       0

La crisi di governo aperta il 7-8 agosto scorso sembra essersi apparentemente risolta.

Seguendola da vicino, talvolta anche da vicinissimo, è sembrato di assistere a una partita – si può scegliere se dramma, commedia dell’arte o ambedue – giocata su due livelli:

1) quello della crisi di governo;

2) quello della crisi “di sistema e di visione”, come ha detto il cardinal Bassetti al Meeting di Rimini.

Da qui due domandine: a quale obiettivo puntare con la prima? E: come lavorare alla seconda?

1) Riguardo alla prima questione, contrariamente a quel che vuole il luogo comune, la storia si fa anche con i “se” e con i “ma”.

Al di là dei singoli rendiconti politici, difficile attribuire alle diverse posizioni – elezioni sì o no, accordo 5S-PD sì o no, ecc. – tutte le ragioni o tutti i torti. Tanto più perché le lenti d’osservazione degli attori hanno usato metri temporali diversi: il brevissimo periodo (i cantori delle urne), il breve (quelli della legislatura), il medio-lungo (Mattarella).

A mio modesto avviso, l’obiettivo primo era disinnescare “lo spaccio de la bestia trionfante”, e non mettere in mano a Salvini, che a forza di social ha finito per credere all’immagine che i suoi social hanno dato di lui, la Presidenza del Consiglio, il ruolo di mazziere nella scelta del prossimo Capo dello Stato e svariate altre cosucce.

Questo lo rafforzerà da qui a poco? È probabile. Ma è il “poco” che conduce alla seconda questione.

E ancora, come ha detto Cacciari, ci sarebbe voluto un nuovo governo di altissimo profilo?

Sì, ma è ancora un altro paio di maniche, che conduce di nuovo alla seconda questione.

2) Già è difficile prevedere le prossime tre ore, figuriamoci i prossimi tre anni. Sul piano europeo prima che italiano molte mosse sono state compiute, molte ne seguiranno.

Il Salvini vaniloquente di queste ore tornerà gloriosamente in scena nei giorni della manovra economica, proseguirà nella sua opera di divisione del cattolicesimo italiano – d’altronde, il suo nemico è papa Francesco, l’unico che abbia un progetto di umanità alternativa a quella della destra radicale – o inseguito da Moscopoli e dalle promesse non mantenute cederà una leadership apparsa inattaccabile a un Giorgetti o a uno Zaia?

E che farà colui che sparigliando le carte l’ha fregato, l’ex mangiatore di popcorn Renzi? A un dato momento, come l’altro Matteo, deciderà di staccare la spina al governo da lui stesso auspicato e di fondare il partito a cui da tempo sta pensando, o giocherà la partita di riprenderselo? Zingaretti si sta affannando a tenere unito un PD che la crisi ricompatta meno – Calenda docet – di quanto divida, introducendo nuove tensioni in un corpo già troppo balcanizzato.

E che dire del partito dei due forni, nato per superare la destra, la sinistra e gli “inciuci” – petizione per la Crusca: abolite il termine dal dizionario, si chiamano “accordi parlamentari” – e inevitabilmente finito a governare prima con la destra e poi con la sinistra? Esploderà nelle mani di un capo politico dalle ambizioni inversamente proporzionali alle competenze, da un lato scavalcato da Conte e dai gruppi parlamentari e dall’altro insidiato dal sub-comandante Di Battista e dall’ala di lotta e non di governo? Come cantava Gavroche ne I miserabili "Se siam sciocchi a Palaiseau, la colpa è di Rousseau".

Intanto Forza Italia scompare - ma non scompare il suo elettorato - lasciata senza eredi dal vecchio monarca. Intanto l’intervista di Urbano Cairo al “Il Foglio” (qui il link) sembra più d’un segnale. Il segnale, che Tolkien mi perdoni, che la battaglia per la terra di mezzo sta per cominciare.

Personalmente, questa crisi mi ha ulteriormente convinto che non ci sia altro modo per affrontarla se non quello sintetizzato nel Manifesto conclusivo dell'adunata popolare di Torino (qui il link).

Perché non è una crisi di governo, è una crisi di sistema e di visione.


Il primo dei commenti

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*