Ha senso il veto a Conte?



Lucio D'Ubaldo e Lorenzo Dellai    26 Agosto 2019       2

Nella trattativa tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico vi è lo scoglio del premier dimissionario Conte: i grillini ne chiedono la riconferma, i dem non lo vogliono per marcare la discontinuità con il precedente governo. D'Ubaldo e Dellai hanno seri dubbi sulla bontà di questa posizione. Pubblichiamo i loro interventi tratti da www.ildomaniditalia.eu.

 

A questo punto dobbiamo affidarci alla logica. Supponiamo che la pregiudiziale riguardante la guida del governo, con la conferma di Conte, sia insormontabile. E supponiamo altresì che la pressione di Salvini faccia breccia nei cuori dei grillini per ragioni – diciamo così – imperscrutabili. Allora si dovrebbe supporre che identica pregiudiziale dovrebbe valere se dovesse riaprirsi il forno gialloverde. Ma dopo le dichiarazioni di Conte, per il quale l’esperienza con Salvini è una pagina definitivamente archiviata, come si può immaginare che non valga a destra ciò che vale a sinistra, ovvero che a dispetto di tutto e di tutti si possa formare nuovamente un governo Lega-M5S, pur con il Presidente del Consiglio attestato su questa posizione di assoluta intransigenza?

Secondo logica, appunto, uno scenario ribaltonista che lasci a secco il faticoso dialogo con il PD e rimetta in auge la precedente formazione governativa, magari con qualche aggiustamento “a latere” dell’oggetto del contendere, dovrebbe essere esclusa in maniera categorica. Questo dice un pensiero minimamente ordinato a fronte della singolare conduzione della crisi. È possibile che diventi regola un guazzabuglio di motivazioni altalenanti e contraddittorie? Anche la piattaforma Rousseau faticherebbe a identificare un algoritmo capace di giustificare l’ingiustificabile. Molti osservatori sono guardinghi, avvertono l’asfissia che attanaglia l’articolazione del ragionamento politico. Figuriamoci allora come potrebbe reagire la pubblica opinione, anzi – per essere più chiari – come già inizi a reagire.

La questione della conferma di Conte non è di secondaria importanza per il PD. La resistenza di Zingaretti è comprensibile. Certamente la svolta apparirebbe sbiadita, fino al punto di configurarsi, agli occhi dell’elettorato e della base del partito, alla stregua di una beffa. Tuttavia, sempre a fil di logica e con il realismo necessario, il veto sul premier uscente sconta il fatto che a pagare il prezzo della “rivoluzione parlamentare” sarebbe proprio l’artefice più diretto ed esplicito dell’inversione di rotta realizzata dopo appena 16 mesi dall’apertura di questa complicata legislatura. Conte ha avuto la forza, comunque, di mettere con le spalle al muro il suo ministro dell’Interno, inscenando nell’Aula del Senato una vera e propria requisitoria. Non si può far finta che il gesto non abbia pesato sulla rappresentazione nuda e cruda della fine di un ciclo politico.

Spetta dunque al segretario del partito più esposto, al quale s’indirizza la polemica di una destra ormai inferocita, prendere il coraggio a due mani. Può tenere il punto, non senza ragioni, ma così facendo rischierebbe di far saltare la soluzione della crisi, spalancando le porte a elezioni quanto mai ostiche – con quale schema, infatti, si dovrebbero affrontare? – o addirittura alla inusitata ricomposizione della vecchia maggioranza. È una decisione, quella che Zingaretti dovrà assumere nelle prossime ore, che solo gli incoscienti possono pretendere di maneggiare con l’ostentazione di ingenue sicurezze. Alla fine, però, se si vuole mandare all’opposizione Salvini, anche il sacrificio di una pallida discontinuità, certo insoddisfacente per il popolo della sinistra, può e deve essere sopportato in nome di una esigenza politica prioritaria. Anche Ciriaco De Mita, valutando l’emergenza del momento, ha auspicato il varo del governo M5S-PD. Se fallisse, sarebbe un guaio.

P.S. Avevamo ipotizzato in un precedente articolo che il veto potesse rafforzare alla lunga il ruolo di Conte. Sembrava che il M5S non si sbracciasse in difesa del suo premier. Evidentemente gli ordini della Casaleggio Associati hanno determinato una rapida correzione di tiro. Dunque, senza attendere scadenze lontane, fin da subito si acclara l’aumento d’incidenza e peso politico del premier dimissionario.

Lucio D'Ubaldo

 

In una vicenda totalmente anormale come quella della crisi di Governo (ma, potremmo dire, anormale come questo ciclo della vita politico-istituzionale), bisogna stare molto attenti nel formulare giudizi definitivi. Tutto può cambiare e poco è come sembra.

Tuttavia una domanda sorge spontanea. Se il PD (giustamente e con fondati e da me condivisi motivi) vuole operare per una soluzione che eviti il ricorso immediato alle urne, per quale ragione ha posto il veto su un eventuale reincarico a Conte?

La risposta che Conte “non poteva non sapere” ciò che il suo Governo stava facendo non regge. Con altrettanta plausibilità, allora, si potrebbe rovesciare questa accusa su tutto il M5S, che sia nel Governo che in Parlamento non si è mai distinto o dissociato dalle scelte imposte dalla Lega di Salvini, decreto sicurezza bis compreso.

Se questa deve essere la logica (in quanto tale astrattamente pertinente) è chiaro che non resta nulla se non le elezioni immediate.

Ma, forse, la logica non è appunto questa. Nel Parlamento in carica esistono equilibri determinati dagli elettori nel marzo del 2018. Da questi occorre partire se si intende trovare una possibilità di ragionevole continuità della Legislatura.

Sono personalmente piuttosto perplesso nel leggere che si intende trovare, in questo Parlamento, la base per costruire un “Governo di svolta” con un profilo “politico” a tutto tondo. Mi pare operazione piuttosto ardita, messa in questi termini.

Ritengo molto più realistico (e comunque altamente corrispondente agli interessi generali del Paese) ricercare in questa fase la possibilità di un Governo che accompagni la Legislatura almeno alla elezione del nuovo Capo dello Stato e che si ponga alcune (poche) priorità sul piano istituzionale, economico-sociale ed internazionale, nei termini indicati – tra l’altro – nei documenti espressi da Rete Bianca e da altre realtà del mondo popolare.

Un “fatto politico” è avvenuto, ovvero la rottura del patto Lega-M5S: su questo punto fa bene il PD a chiedere che siano tolte dal tavolo le ricorrenti tentazioni di una trattativa tesa a ripristinare questo patto.

Per il resto, penso che bene farebbe il PD a prendere atto della realtà: l’unico ruolo (peraltro fondamentale) che questo partito può esercitare in questa fase, se non si vuole le elezioni immediate, è quello del leale appoggio esterno ad un Governo politicamente espresso dai Gruppi Parlamentari di maggioranza relativa, con la presenza di ministri “condivisi” di particolare autorevolezza anche tecnica in alcuni ruoli chiave, sulla base di un programma “minimo” ma “incisivo”.

A me pare del tutto evidente che porre un veto sulla figura del Presidente uscente, in questo senso, sia un errore clamoroso. Verso Conte non ho mai nutrito particolari simpatie. Ma, appunto, in una fase come questa, le simpatie contano poco. Contano quel poco di “politica” che è rimasta e la possibilità di ristrutturare in un paio di anni l’intero sistema della rappresentanza politica in Italia, evitando la deriva di una pericolosa involuzione “post democratica”.

Lorenzo Dellai


2 Commenti

  1. Probabilmente, se e quando alcuno leggerà queste mie righe di commento, le cose saranno già andate in un certo modo, secondo l’alternativa più gettonata: scioglimento delle Camere o varo di un Governo “di svolta”. Per quel che vale mi permetto comunque di esprimere la mia piena adesione alla proposta di Lorenzo Dellai, l’unica che varrebbe a ridare, almeno in parte, dignità auna vicenda gestita un po’ da tutti in modo sconcertante, non bastando, come alibi per nessuno, la pur pressante opportunità di far fallire il bluff di Salvini. Fosse vero che un Governo nascesse secondo quella proposta…
    Però, poi, occorrerà anche ripensare davvero ai tanti aspetti sotto i quali anche queste settimane mi sembra abbiano dato un potente contributo al crescere vorticoso della sfiducia di larghissima parte dei cittadini verso le forze politiche e, quel che più conta, verso la democrazia come base di funzionamento delle pubbliche istituzioni. Attenzione, perché contro certi pericoli non ci si salva l’anima pronunciando giaculatorie contro la frase sui “pieni poteri” di Salvini (e, per carità, ci si guardi bene dall’avallare, anche solo con il silenzio, i farneticanti e infami auspici di un nuovo Piazzale Loreto): la voglia dell'”uomo solo (o di una casta militare o militarizzata) al comando” si alimenta anche con le spregiudicate giravolte, le faide intestine, i giri di parole del politichese o gli slogan accattivanti per nascondere il timore della perdita di ruoli di potere, di cui in queste settimane abbiamo avuto, con un crescendo sconcertante, quotidiano spettacolo. E c’è da temere che a dar corpo a prospettive agghiaccianti da golpe sudamericani, con protagonisti ancora peggiori e più scafati di Salvini, possa salvarci soltanto la sensazione che in Italia nessuna situazione, per quanto grave, possa mai essere seria.

  2. La fretta (o il rimbambimento senile?) ha fatto sì che non esplicitassi che il riferimento alla proposta di Dellai era a quella parte in cui lui auspica che il Pd si limiti a un “leale appoggio esterno” a un Governo del partito di maggioranza relativa, con una condivisione nella scelta di ministri autorevoli anche sul piano tecnico (e dove, dunque, intenderei che la “condivisione” non significhi una spartizione per sistemare questo o quello) su un programma “minimo ma incisivo”.
    Chiedo scusa per i possibili equivoci che la mancata esplicitazione potrebbe aver indotto (sempre per quel che può valere ed essere seguito una sorta di soliloquio come il mio …).

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