De Gasperi e la visione europea



Franco Franzoni    20 Agosto 2019       0

A 65 anni dalla scomparsa, avvenuta il 19 agosto 1954, De Gasperi ci aiuta a ripensare le nostre radici europeistiche. Tre sono i punti fondamentali che egli, da Presidente del Consiglio, mise a fondamento della ricostruzione del Paese: lotta contro la fame e la paralisi economica del Paese; stabilizzazione della moneta e dei prezzi; avvio delle riforme strutturali, anche a costo di perdere il consenso di alcuni settori della società.

S’impegnò, allora, perché l’Italia entrasse nel novero delle potenze democratiche, come avverrà con l’adesione alla NATO (1949), alla CECA (1951) e alla CED (1952). In particolare volle che la CECA, munita di un’assemblea rappresentativa, fosse l’incunabolo di un’Europa integrata su basi politiche. Il consolidamento della CED non ebbe successo, anzitutto a causa delle resistenze francesi. Mendès France, succeduto a Schuman, era contrario alla costituzione di un esercito europeo. De Gasperi, a pochi giorni dalla morte, scrisse a Fanfani un commento lucido e severo: «Se le notizie che giungono oggi dalla Francia sono vere, anche solo per metà, ritengo che la causa della CED sia perduta e ritardato per un lustro ogni avviamento all’Unione Europea».

Oggi si riscopre il valore, ma anche la convenienza, di una difesa comune. L’Europa a 27 (con l’esclusione del Regno Unito) spende complessivamente 220 miliardi di euro l’anno. L’unificazione militare porterebbe a un risparmio, secondo le stime del Parlamento europeo, tra i 40 e gli 80 miliardi di euro all’anno. Dobbiamo recuperare pertanto l’implicita «pregiudiziale degasperiana» contro l’Europa delle sole transazioni economiche e dei piccoli benefici conseguenti.

Riflettiamo sull’oggi: non basta appunto la moneta unica, come pure non possono essere unicamente gli scambi commerciali e gli intrecci finanziari a unire i nostri popoli. Serve il progresso dell’unità politica dell’Europa nel suo complesso. È questa l’unica speranza possibile dal momento che ogni Paese sconta l’impotenza della solitudine a fronte dei processi globali del nostro tempo. Come ha ricordato Mario Draghi (il 13 settembre 2016 a Trento), parlando proprio di De Gasperi, l’unico modo di preservare la sovranità nazionale, cioè di far sentire la voce dei propri cittadini nel contesto mondiale, è per noi europei condividerla nell’Unione Europea, che ha funzionato da moltiplicatore della nostra forza nazionale.

Per altro i nazionalismi risorgenti, sulla scia delle tensioni che sempre hanno accompagnato i «fasti» del nazionalismo, obbligano a riflettere sulla circostanza che la pace vissuta in questi 73 anni può anche saltare all’improvviso. È un rischio grande, non dobbiamo sottovalutarlo. L’Europa ha raggiunto notevoli traguardi sul piano economico e sociale. Il ritardo che accusa, ormai nel giudizio comune, riguarda la sua dimensione più propriamente politica.

L’evidente distacco dell’opinione pubblica dal dibattito sulle istituzioni comunitarie, cui si è assistito anche nelle ultime elezioni europee, è frutto di tale carenza di politica, evidenziata dal limitato ruolo dell’Unione sul piano internazionale – dove gli stati nazionali detengono ancora i poteri essenziali – e dalla debolezza palesata nelle crisi internazionali degli ultimi anni. Il realismo di De Gasperi e la sua concezione europeista muoveva dalla consapevolezza che i meccanismi integrativi puramente economici, così come la pura ingegneria istituzionale, sebbene possano svolgere un buon lavoro di preparazione, rischiano a lungo andare di essere minacciati dalla sterilità se non sono guidati da superiori obiettivi politici.

Per questo la sua lezione è viva ed attuale, anche ai nostri giorni, sia come eredità spirituale che come esempio straordinario di cultura e visione politica.


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