Ogni bravo scacchista sa che per vincere una partita non basta muovere i propri pezzi all'attacco seguendo una strategia, ma occorre anche individuare i piani dell'avversario e fare le necessarie mosse difensive. Non è dissimile la politica. È perciò necessario capire bene i motivi che hanno spinto Matteo Salvini a provocare la crisi di governo in pieno agosto chiedendo con prepotenza di andare al più presto al voto.
Sul fatto che “il Capitano”, come lo chiamano i suoi, sia l'avversario politico da battere anche per i democratici popolari di ispirazione cristiana, non dovrebbero esserci dubbi. Lo ha già ben argomentato Domenico Galbiati che il popolarismo è “alternativo” alla sinistra ma “antitetico” rispetto alla destra. Quando criticavamo Renzi per le sue cadute demagogiche, per non parlare dei giudizi sull'ambiguo e confuso movimento di Grillo, partivano dalla certezza che il populismo, qualunque sia la sua origine, vira sempre I-NE-SO-RA-BIL-MEN-TE verso destra.
Ed eccoci ora infatti al leader della Lega che pretende il voto anticipato – dopo poco più di un anno di legislatura – per ottenere “pieni poteri” dal corpo elettorale. Non mi risulta che Salvini sia uno scacchista, ma certamente è un abile giocatore di poker, un gambler che ha deciso di puntare tutto: “All-in” per portare all'incasso il consenso accumulato nei mesi passati al governo. Passati, più che al Ministero dell'Interno o negli altri Palazzi del potere romano, in una ininterrotta campagna propagandistica – con la grande abilità che gli va riconosciuta, pur aiutato dalla “Bestia” di Morisi – che lo ha visto sempre protagonista nel dettare l'agenda politica. Partito con il 17% dei voti raccolti il 4 marzo 2018, Salvini ha saputo dare una sponda al M5S, che rischiava di non riuscire a formare uno straccio di governo pur con il 34% dei consensi. Quanto abbia aiutato la geniale “strategia del popcorn” imposta da Renzi al PD lo lascio valutare a chi legge...
Fatto è che Salvini ha potuto negoziare con i 5 Stelle un governo paritetico pur avendo la metà dei loro voti. E via via, da politico furbo e navigato alle prese con “dilettanti allo sbaraglio”, ha accresciuto il proprio consenso attingendo da tre fonti. La più corposa, il “voto per il cambiamento” incamerato dai grillini, impietosamente perdenti nell'azione di governo: presuntuosi, incompetenti e inconcludenti, Di Maio, Toninelli e soci sono stati cannibalizzati da Salvini, apparso – al loro confronto – un leader di prima grandezza. Il conseguente travaso di consensi si è verificato prima nei sondaggi e poi è stato certificato dalle elezioni europee, dove i rapporti di forza tra i due partiti populisti si sono ribaltati. Ovviamente si è trattato solo in parte di un travaso diretto, dato che una parte consistente dell'elettorato grillino si è astenuta e che Salvini ha poi attinto da due altri serbatoi: il primo, dal consenso “affaristico” a Forza Italia, in particolare al Sud dove interi gruppi clientelari hanno ingrossato le fila del Carroccio; il secondo, dal consenso della destra neofascista, un elettorato che, invece di votare “Casa Pound” o “Forza Nuova” o i “Fratelli d'Italia” guidati da una donna, sta premiando quello che ormai si presenta come il vero “uomo forte”, un mito purtroppo sempre latente nella debole democrazia dell'Italietta.
Si discute se Salvini potrebbe incarnare il nuovo Mussolini. Questi paralleli sono sempre arditi (la comicità che può suscitare questo aggettivo è involontaria...) e la storia non si ripete mai uguale, anche perché cambiano i contesti e i personaggi. Ci sono differenze marcate, ma esistono certamente analogie che meriterebbero un approfondimento, che ci porterebbe lontani. Dico solo che la forzatura di oggi per il voto anticipato richiama l'azzardo della Marcia su Roma: il bluff di Mussolini nell'ottobre 1922 ebbe tuttavia una percentuale di rischio ben più alta della mossa salviniana.
Perché il Capitano punta tutto sulle elezioni in autunno sapendo di avere comunque la vittoria in tasca.
Non possiamo ancora prevedere se la Lega correrà da sola mirando al 40% per poi raccogliere una maggioranza di destra in Parlamento; oppure se punterà ad ottenere il 51% dei seggi in coalizione con Fratelli d'Italia e i transfughi berlusconiani organizzati da Toti; o se invece farà l'azionista di maggioranza di un centrodestra unito – anche con il vecchio ma ingombrante Berlusconi – accreditato dalle proiezioni dei 2/3 dei seggi. In tutti i casi si prospetta un governo di legislatura a guida Salvini, con un Parlamento che eleggerà fra due anni un Presidente della Repubblica poco europeista e non sappiamo quanto garante della Costituzione nata dalla Resistenza.
Certamente il Capitano rischia che i contrari al voto anticipato lavorino per un governo tecnico o politico, anche non di legislatura, capace di mettere la Lega all'opposizione. La consapevolezza di non essere rieletti per più della la metà dei parlamentari pentastellati e per tanti renziani del PD è un formidabile collante per tenere in piedi questa legislatura. Il leader della Lega lo sa, e infatti, prudentemente, non si è dimesso da ministro insieme ai suoi, contribuendo a rendere ancora più ingarbugliata la situazione scaturita dal rilancio di Di Maio sulla votazione del taglio al numero di parlamentari, poi seguita dall'uscita di Renzi che, gettato a terra il popcorn, si è detto pronto ad un governo con i 5 Stelle. Tra giravolte tattiche, bluff, rilanci, regolamenti parlamentari, riunioni dei capigruppo, tempistiche su cosa votare prima o dopo, è facile perdersi e rimanere disorientati.
Una cosa pensiamo di aver capito: Salvini è uscito dal governo per non doversi assumere responsabilità in merito alla legge finanziaria. Quella che si prospetta come un bagno di sangue per via dei 23 miliardi da trovare per disinnescare l'aumento dell'IVA, clausola di salvaguardia per tenere i conti a galla e rispettare il patto di stabilità dopo il primo anno di governo legastellato, cui aggiungerne altrettanti per qualunque politica economica si voglia intraprendere, che siano utili investimenti o ulteriori nefandezze come la sbandierata flat tax. Lo strappo dato da Salvini al governo Conte nella calura agostana (comunque senza rassegnare le dimissioni da ministro...) parrebbe uno scendere dalla nave prima dell'impatto di una manovra da lacrime e sangue, destinata ad interrompere l'idillio con l'elettorato. Meglio mettersi fuori e continuare a cimentarsi nella specialità della ditta, la propaganda all'insegna del crasso antieuropeismo e la demonizzazione del migrante.
Quindi Salvini vuole ottenere l'investitura tra fine ottobre e novembre, lui avrà buon gioco a disconoscere la manovra economica del governo Conte dimezzato o del possibile governo tecnico. Per poi rilanciare “le magnifiche sorti e progressive” del suo prossimo e inevitabile esecutivo, che gli permetterà di affrontare i marosi del bilancio e dei rapporti con l'Europa da una posizione di forza (con quali prospettive per la nostra economia è meglio non chiederselo...).
E se invece non si andasse a votare? Secondo molti commentatori – cito per tutti Francesco Cancellato direttore de Linkiesta – ciò rappresenterebbe la sconfitta per il leader leghista.
Vado controcorrente, e non credo che per Salvini la formazione di un governo “responsabile”, con una maggioranza politica contraria al voto, che lo releghi all'opposizione sia un danno grave in prospettiva. Infatti sarà una manovra in linea con i vincoli europei che, anche se terrà a bada lo spread, inasprirà le difficoltà dei ceti medi e popolari.
E non abbiamo l'ottimismo di Becchetti, che spera in una forte alleanza tra 5 Stelle e PD su alcuni punti programmatici forti e condivisibili. I progetti camminano con le gambe delle persone: il primo centro-sinistra fu voluto da Moro, Fanfani, Nenni, Saragat. Per politiche di svolta occorrerebbero, se non degli statisti, almeno dei leader credibili. Francamente la Seconda Repubblica non ne ha formati, né tra le fila grilline né tra quelle PD.
Se Di Maio, ormai “bruciato” verrà messo in panchina, chi ne prenderà il posto? Di Battista? Fico? E il M5S non si farà problemi nel ritrovarsi al governo con quelli del “partito di Bibbiano”, come insultavano i dem fino all'altroieri?
E che dire di un PD incapace di fare i conti con il suo recente passato, con i gruppi parlamentari formati quasi interamente da renziani militanti o da ex renziani che hanno cambiato carro dopo che è cambiato il vincitore? Un PD spaccato tra un segretario ieri accusato di voler dialogare con i 5 Stelle e oggi sostenitore delle elezioni immediate, e un ex segretario che prima ha gettato i 5 Stelle tra le braccia della Lega per bearsi dei loro litigi sgranocchiando popcorn, ed ora è balzato dal divano per proporre un'alleanza con gli odiati grillini, cementata dal demagogico taglio dei parlamentari.
Speriamo vivamente che intelligenza politica e ragionevolezza portino a una mediazione su temi decisivi e “alti”, come auspicano Becchetti e Bottalico. Bisogna però ammettere che la prospettiva più realistica è di trovarsi di fronte a un governicchio diviso, in cui è cambiato l'alleato di governo dei grillini ma con le stesse beghe, conflittualità e contraddizioni di prima (prendiamo il caso della TAV, ad esempio).
Temiamo un ulteriore colpo alla credibilità della politica e un conseguente aumento dell'astensionismo, giunto alle europee di fine maggio ad un allarmante 47%. E l'astensionismo non sarebbe neppure il male peggiore: quando la credibilità della classe politica – dopo decenni di ribaltoni, opportunismi, voltafaccia, interessi personali, corruzioni, falsità – raschia da troppo tempo il fondo del barile, anche in persone normalissime si fa strada il pensiero che sia necessario un “uomo forte” capace di uscire dal pantano di una politica che non dà più risposte e prospettive. Ed ecco che Salvini, con sei mesi o un anno di ritardo ma con ancora più forza, otterrebbe il suo scopo.
Pessimismo? No, sano realismo.
Non esiste comunque una sfera di cristallo capace di farci prevedere il futuro, e seguiamo attenti gli sviluppi del presente. Oltre a confidare in Mattarella in questi giorni non possiamo fare altro. Vorremmo comunque che il voto si allontanasse di qualche mese, perché ci sarebbe il tempo di avviare una nuova stagione dei “liberi e forti”. E saremmo colpevoli se non lo facessimo.
Ma su questo torneremo nei prossimi giorni.
Sul fatto che “il Capitano”, come lo chiamano i suoi, sia l'avversario politico da battere anche per i democratici popolari di ispirazione cristiana, non dovrebbero esserci dubbi. Lo ha già ben argomentato Domenico Galbiati che il popolarismo è “alternativo” alla sinistra ma “antitetico” rispetto alla destra. Quando criticavamo Renzi per le sue cadute demagogiche, per non parlare dei giudizi sull'ambiguo e confuso movimento di Grillo, partivano dalla certezza che il populismo, qualunque sia la sua origine, vira sempre I-NE-SO-RA-BIL-MEN-TE verso destra.
Ed eccoci ora infatti al leader della Lega che pretende il voto anticipato – dopo poco più di un anno di legislatura – per ottenere “pieni poteri” dal corpo elettorale. Non mi risulta che Salvini sia uno scacchista, ma certamente è un abile giocatore di poker, un gambler che ha deciso di puntare tutto: “All-in” per portare all'incasso il consenso accumulato nei mesi passati al governo. Passati, più che al Ministero dell'Interno o negli altri Palazzi del potere romano, in una ininterrotta campagna propagandistica – con la grande abilità che gli va riconosciuta, pur aiutato dalla “Bestia” di Morisi – che lo ha visto sempre protagonista nel dettare l'agenda politica. Partito con il 17% dei voti raccolti il 4 marzo 2018, Salvini ha saputo dare una sponda al M5S, che rischiava di non riuscire a formare uno straccio di governo pur con il 34% dei consensi. Quanto abbia aiutato la geniale “strategia del popcorn” imposta da Renzi al PD lo lascio valutare a chi legge...
Fatto è che Salvini ha potuto negoziare con i 5 Stelle un governo paritetico pur avendo la metà dei loro voti. E via via, da politico furbo e navigato alle prese con “dilettanti allo sbaraglio”, ha accresciuto il proprio consenso attingendo da tre fonti. La più corposa, il “voto per il cambiamento” incamerato dai grillini, impietosamente perdenti nell'azione di governo: presuntuosi, incompetenti e inconcludenti, Di Maio, Toninelli e soci sono stati cannibalizzati da Salvini, apparso – al loro confronto – un leader di prima grandezza. Il conseguente travaso di consensi si è verificato prima nei sondaggi e poi è stato certificato dalle elezioni europee, dove i rapporti di forza tra i due partiti populisti si sono ribaltati. Ovviamente si è trattato solo in parte di un travaso diretto, dato che una parte consistente dell'elettorato grillino si è astenuta e che Salvini ha poi attinto da due altri serbatoi: il primo, dal consenso “affaristico” a Forza Italia, in particolare al Sud dove interi gruppi clientelari hanno ingrossato le fila del Carroccio; il secondo, dal consenso della destra neofascista, un elettorato che, invece di votare “Casa Pound” o “Forza Nuova” o i “Fratelli d'Italia” guidati da una donna, sta premiando quello che ormai si presenta come il vero “uomo forte”, un mito purtroppo sempre latente nella debole democrazia dell'Italietta.
Si discute se Salvini potrebbe incarnare il nuovo Mussolini. Questi paralleli sono sempre arditi (la comicità che può suscitare questo aggettivo è involontaria...) e la storia non si ripete mai uguale, anche perché cambiano i contesti e i personaggi. Ci sono differenze marcate, ma esistono certamente analogie che meriterebbero un approfondimento, che ci porterebbe lontani. Dico solo che la forzatura di oggi per il voto anticipato richiama l'azzardo della Marcia su Roma: il bluff di Mussolini nell'ottobre 1922 ebbe tuttavia una percentuale di rischio ben più alta della mossa salviniana.
Perché il Capitano punta tutto sulle elezioni in autunno sapendo di avere comunque la vittoria in tasca.
Non possiamo ancora prevedere se la Lega correrà da sola mirando al 40% per poi raccogliere una maggioranza di destra in Parlamento; oppure se punterà ad ottenere il 51% dei seggi in coalizione con Fratelli d'Italia e i transfughi berlusconiani organizzati da Toti; o se invece farà l'azionista di maggioranza di un centrodestra unito – anche con il vecchio ma ingombrante Berlusconi – accreditato dalle proiezioni dei 2/3 dei seggi. In tutti i casi si prospetta un governo di legislatura a guida Salvini, con un Parlamento che eleggerà fra due anni un Presidente della Repubblica poco europeista e non sappiamo quanto garante della Costituzione nata dalla Resistenza.
Certamente il Capitano rischia che i contrari al voto anticipato lavorino per un governo tecnico o politico, anche non di legislatura, capace di mettere la Lega all'opposizione. La consapevolezza di non essere rieletti per più della la metà dei parlamentari pentastellati e per tanti renziani del PD è un formidabile collante per tenere in piedi questa legislatura. Il leader della Lega lo sa, e infatti, prudentemente, non si è dimesso da ministro insieme ai suoi, contribuendo a rendere ancora più ingarbugliata la situazione scaturita dal rilancio di Di Maio sulla votazione del taglio al numero di parlamentari, poi seguita dall'uscita di Renzi che, gettato a terra il popcorn, si è detto pronto ad un governo con i 5 Stelle. Tra giravolte tattiche, bluff, rilanci, regolamenti parlamentari, riunioni dei capigruppo, tempistiche su cosa votare prima o dopo, è facile perdersi e rimanere disorientati.
Una cosa pensiamo di aver capito: Salvini è uscito dal governo per non doversi assumere responsabilità in merito alla legge finanziaria. Quella che si prospetta come un bagno di sangue per via dei 23 miliardi da trovare per disinnescare l'aumento dell'IVA, clausola di salvaguardia per tenere i conti a galla e rispettare il patto di stabilità dopo il primo anno di governo legastellato, cui aggiungerne altrettanti per qualunque politica economica si voglia intraprendere, che siano utili investimenti o ulteriori nefandezze come la sbandierata flat tax. Lo strappo dato da Salvini al governo Conte nella calura agostana (comunque senza rassegnare le dimissioni da ministro...) parrebbe uno scendere dalla nave prima dell'impatto di una manovra da lacrime e sangue, destinata ad interrompere l'idillio con l'elettorato. Meglio mettersi fuori e continuare a cimentarsi nella specialità della ditta, la propaganda all'insegna del crasso antieuropeismo e la demonizzazione del migrante.
Quindi Salvini vuole ottenere l'investitura tra fine ottobre e novembre, lui avrà buon gioco a disconoscere la manovra economica del governo Conte dimezzato o del possibile governo tecnico. Per poi rilanciare “le magnifiche sorti e progressive” del suo prossimo e inevitabile esecutivo, che gli permetterà di affrontare i marosi del bilancio e dei rapporti con l'Europa da una posizione di forza (con quali prospettive per la nostra economia è meglio non chiederselo...).
E se invece non si andasse a votare? Secondo molti commentatori – cito per tutti Francesco Cancellato direttore de Linkiesta – ciò rappresenterebbe la sconfitta per il leader leghista.
Vado controcorrente, e non credo che per Salvini la formazione di un governo “responsabile”, con una maggioranza politica contraria al voto, che lo releghi all'opposizione sia un danno grave in prospettiva. Infatti sarà una manovra in linea con i vincoli europei che, anche se terrà a bada lo spread, inasprirà le difficoltà dei ceti medi e popolari.
E non abbiamo l'ottimismo di Becchetti, che spera in una forte alleanza tra 5 Stelle e PD su alcuni punti programmatici forti e condivisibili. I progetti camminano con le gambe delle persone: il primo centro-sinistra fu voluto da Moro, Fanfani, Nenni, Saragat. Per politiche di svolta occorrerebbero, se non degli statisti, almeno dei leader credibili. Francamente la Seconda Repubblica non ne ha formati, né tra le fila grilline né tra quelle PD.
Se Di Maio, ormai “bruciato” verrà messo in panchina, chi ne prenderà il posto? Di Battista? Fico? E il M5S non si farà problemi nel ritrovarsi al governo con quelli del “partito di Bibbiano”, come insultavano i dem fino all'altroieri?
E che dire di un PD incapace di fare i conti con il suo recente passato, con i gruppi parlamentari formati quasi interamente da renziani militanti o da ex renziani che hanno cambiato carro dopo che è cambiato il vincitore? Un PD spaccato tra un segretario ieri accusato di voler dialogare con i 5 Stelle e oggi sostenitore delle elezioni immediate, e un ex segretario che prima ha gettato i 5 Stelle tra le braccia della Lega per bearsi dei loro litigi sgranocchiando popcorn, ed ora è balzato dal divano per proporre un'alleanza con gli odiati grillini, cementata dal demagogico taglio dei parlamentari.
Speriamo vivamente che intelligenza politica e ragionevolezza portino a una mediazione su temi decisivi e “alti”, come auspicano Becchetti e Bottalico. Bisogna però ammettere che la prospettiva più realistica è di trovarsi di fronte a un governicchio diviso, in cui è cambiato l'alleato di governo dei grillini ma con le stesse beghe, conflittualità e contraddizioni di prima (prendiamo il caso della TAV, ad esempio).
Temiamo un ulteriore colpo alla credibilità della politica e un conseguente aumento dell'astensionismo, giunto alle europee di fine maggio ad un allarmante 47%. E l'astensionismo non sarebbe neppure il male peggiore: quando la credibilità della classe politica – dopo decenni di ribaltoni, opportunismi, voltafaccia, interessi personali, corruzioni, falsità – raschia da troppo tempo il fondo del barile, anche in persone normalissime si fa strada il pensiero che sia necessario un “uomo forte” capace di uscire dal pantano di una politica che non dà più risposte e prospettive. Ed ecco che Salvini, con sei mesi o un anno di ritardo ma con ancora più forza, otterrebbe il suo scopo.
Pessimismo? No, sano realismo.
Non esiste comunque una sfera di cristallo capace di farci prevedere il futuro, e seguiamo attenti gli sviluppi del presente. Oltre a confidare in Mattarella in questi giorni non possiamo fare altro. Vorremmo comunque che il voto si allontanasse di qualche mese, perché ci sarebbe il tempo di avviare una nuova stagione dei “liberi e forti”. E saremmo colpevoli se non lo facessimo.
Ma su questo torneremo nei prossimi giorni.
In attesa del “partito che non c’è” conviene, con un certo realismo, ragionare sulla situazione attuale: parlamentari eletti in ragione del 32% nei 5 stelle, del 19% nel PD (composto dell’ottanta per cento da renziani), del 16% in Forza Italia. Tutti questi sanno che, per una ragione o per l’altra, difficilmente saranno rieletti in caso di elezioni anticipate (per quanto riguarda i 5 Stelle la situazione è addirittura drammatica). Per questa ragione ritengo che qualunque proposta di prosecuzione di legislatura minimamente accettabile verrà da costoro accolta in modo plebiscitario. Se poi l’agenda verrà dettata dall’Europa (come probabile) questo governo dei “responsabili” avrà anche una ragione nobile per andare avanti nel suo cammino. E, in tempi più o meno brevi, il desiderio dell’uomo forte diventerà un ricordo: soprattutto se cadrà il velo delle immunità e si aprirà lo scenario del Russiagate ed altre casette delle quali il Salvini ha ragione di temere.
Quando si parla della politica di Salvini si tende a minimizzare l’impatto che ha la gestione attuale dell’immigrazione dove l’Europa, con strafottenza, non risponde ai disperati appelli dell’Italia condannata da uno sciagurato accordo (non di Salvini) a diventare un enorme deposito di milioni di migranti che debbono essere obbligatoriamente identificati in modo da restituirli (legalmente!) qualora sorpassino i confini. Si tende a minimizzare, a TV e giornali di prima fascia unificati, l’impatto sociale negativo della presenza di questi signori nullafacenti che se non vengono “dignitosamente” accuditi a spese dell’Erario dello Stato si dedicano ad altre attività che certamente non possono essere catalogate come “risorse”, come molti benpensanti strombazzano. A tutto ciò si aggiunge una politica attuale della Magistratura prevalente che ha smesso di “applicare” le leggi e che, invece, quasi sempre “interpreta” creando sconcerto e preoccupazione tra milioni di italiani. Secondo me sono questi due punti essenziali (parzialmente ci sarebbe anche l’orientamento all’impulso degli investimenti) che hanno fatto esplodere i sondaggi a favore della Lega. Questa marea di gente ora ha paura che un inciucio innaturale, ma conveniente, con il PD di Renzi porti l’Italia ad una catastrofe sociale,economica ed identitaria (vedi jus soli ed iniziative delle varie Cirinnà di turno).