L’intervista al “Corriere” di Matteo Renzi (clicca qui per leggerla) mostra un ulteriore possibile scenario per la crisi in corso. Crisi politica, prima ancora che di governo, come ormai è chiaro a tutti. L’apertura dell’ex premier ad un governo istituzionale appare, infatti, lucida e per certi versi impeccabile, motivata da ragioni di buon senso ed insieme – e per Renzi non è sempre scontato – da precisa volontà di rafforzare le istituzioni e di riportare il Paese sulla giusta carreggiata. Una proposta, peraltro, in forte sintonia con l'appello delle associazioni cattolico democratiche di due giorni or sono, che a taluni appariva velleitario ma, evidentemente, non lo era.
Scaturiscono da questa proposta, però, alcune riflessioni sulla quali vale la pena soffermarci. In primo luogo, Renzi dà per scontato che si possa realizzare una legge di stabilità equilibrata, senza austerity né ampliamento del debito. È vero che PD e M5S (e pure FI, se sarà della partita) fanno parte della stessa maggioranza nel Parlamento UE, ma è oggettivamente difficile pensare che si possa compiere un’operazione così complessa proprio alla vigilia di nuove elezioni, nelle quali peraltro ogni forza politica si schiererà contro l’altra senza esclusione di colpi.
In secondo luogo. questo ipotetico governo istituzionale dovrebbe approvare due norme strategiche: la riduzione del numero dei parlamentari (che Renzi ipotizza soggetta ad un referendum, anticipando le mosse del PD) e una nuova legge elettorale, maggiormente proporzionale. Ottima idea, certamente, ma che richiede coesione dei gruppi parlamentari e una cabina di regia raffinata e molto esperta. È possibile che in poche settimane il M5S con una leadership sfiduciata e in balia delle onde e un PD profondamente diviso tra organismi di partito e gruppi parlamentari riescano ad assicurare un simile quadro?
Una terza riflessione riguarda le ripercussioni di questo ipotetico passaggio su chi, come noi, sta lavorando alla costruzione di una nuova forza al centro degli schieramenti, popolare e innovativa. Renzi si candida, se dovesse prender corpo la sua proposta, a superare il Partito Democratico e a dar vita ad un nuovo soggetto politico, che vagheggiava già ai tempi del suo governo, ma che non ha mai avuto il coraggio di mettere davvero in campo. Con una sostanziale differenza rispetto alla nostra iniziativa: immagina di partire dall’alto, dalla leadership e dai gruppi dirigenti renziani timorosi di scomparire nel PD di Zingaretti.
Tutto questo, però, deve essere tenuto in debito conto e spingerci a compiere, a breve, due passaggi: uscire allo scoperto, senza indugi e, ancor più, mobilitare il territorio, le liste civiche, le associazioni affinché si chiarisca la novità di un processo dal basso, lontano da ogni populismo, che vada oltre la fallimentare Seconda Repubblica e l’ancor peggiore Terza, e risponda finalmente ai bisogni concreti dei cittadini di sicurezza, giustizia e solidarietà sociale.
Scaturiscono da questa proposta, però, alcune riflessioni sulla quali vale la pena soffermarci. In primo luogo, Renzi dà per scontato che si possa realizzare una legge di stabilità equilibrata, senza austerity né ampliamento del debito. È vero che PD e M5S (e pure FI, se sarà della partita) fanno parte della stessa maggioranza nel Parlamento UE, ma è oggettivamente difficile pensare che si possa compiere un’operazione così complessa proprio alla vigilia di nuove elezioni, nelle quali peraltro ogni forza politica si schiererà contro l’altra senza esclusione di colpi.
In secondo luogo. questo ipotetico governo istituzionale dovrebbe approvare due norme strategiche: la riduzione del numero dei parlamentari (che Renzi ipotizza soggetta ad un referendum, anticipando le mosse del PD) e una nuova legge elettorale, maggiormente proporzionale. Ottima idea, certamente, ma che richiede coesione dei gruppi parlamentari e una cabina di regia raffinata e molto esperta. È possibile che in poche settimane il M5S con una leadership sfiduciata e in balia delle onde e un PD profondamente diviso tra organismi di partito e gruppi parlamentari riescano ad assicurare un simile quadro?
Una terza riflessione riguarda le ripercussioni di questo ipotetico passaggio su chi, come noi, sta lavorando alla costruzione di una nuova forza al centro degli schieramenti, popolare e innovativa. Renzi si candida, se dovesse prender corpo la sua proposta, a superare il Partito Democratico e a dar vita ad un nuovo soggetto politico, che vagheggiava già ai tempi del suo governo, ma che non ha mai avuto il coraggio di mettere davvero in campo. Con una sostanziale differenza rispetto alla nostra iniziativa: immagina di partire dall’alto, dalla leadership e dai gruppi dirigenti renziani timorosi di scomparire nel PD di Zingaretti.
Tutto questo, però, deve essere tenuto in debito conto e spingerci a compiere, a breve, due passaggi: uscire allo scoperto, senza indugi e, ancor più, mobilitare il territorio, le liste civiche, le associazioni affinché si chiarisca la novità di un processo dal basso, lontano da ogni populismo, che vada oltre la fallimentare Seconda Repubblica e l’ancor peggiore Terza, e risponda finalmente ai bisogni concreti dei cittadini di sicurezza, giustizia e solidarietà sociale.
Come al solito – a mio parere – occorre fare attenzione all’ economia. Dare la colpa all’Europa e ai governi precedenti che ci obbligano ad aumentare l’Iva e raccogliere un sacco di miliardi dalla fatturazione elettronica per portarci nel paese dei balocchi. E raccogliere consensi a raffica.