Sturzo secondo Mazzolari e Mattarella



Redazione    11 Agosto 2019       0

Completiamo il ricordo di don Luigi Sturzo nel sessantesimo anniversario della morte con due scritti molto distanti nel tempo. Il primo è un articolo che don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, attivo antifascista e precursore del Concilio, scrisse sul periodico “Adesso”, dal titolo significativo: Don Sturzo meriterebbe il Premio Nobel per la Pace.

Il secondo è la dichiarazione che il Presidente della Repubblica ha rilasciato nel giorno del 60° anniversario della morte del Padre del Popolarismo.

 

Primo Mazzolari – 1° dicembre 1951

«Ho visto don Luigi Sturzo una sola volta nel suo buon ritiro romano. Preferivo guardarlo che ascoltarlo. Le cose che diceva avrebbe potuto dirle anche un altro, ma il volto aveva una così viva chiarezza sacerdotale, che imprimeva una sacralità ad ogni sua parola. Mi sembrava che il sacerdote fosse più grande o almeno più presente del politico e del filosofo, due dimensioni che pure hanno in lui una misura fuori del comune.

Questa, a mio avviso, la vera e originale grandezza di don Sturzo, quella che porta le altre e dà ad ognuna una particolare significazione. Quando, in una vita che ebbe proporzioni e vicende di primo piano, le tentazioni non offuscano menomamente la vocazione sacerdotale: quando la vastissima opera politica conferma l’umiltà e la carità dell’impegno, e la sete di gloria o di potere non lo distraggono dal servizio della verità sia verso la Patria come verso la Chiesa, un uomo può venire onorato prima che sia calata la sera.

Dopo Rosmini, monsignor Bonomelli e Pio XI, don Sturzo è forse il sacerdote che meglio e più validamente operò per ricongiungere Religione e Patria e restituire l’Italia agli italiani e gli italiani a Cristo, tenendo una strada che a molti ancor oggi pare la meno adatta. Ma per chi ha mani, mente e cuore puro non c’è niente d’impuro, neanche la politica.

Basterebbe il suo mirabile esempio, neppur contestato dai più accaniti avversari della politica cristiana, tanto è limpida la vita di don Sturzo e nobile la sua testimonianza, per ristabilire nell’ancora incerto giudizio di molti cattolici italiani, la pacata certezza che l’impegno politico può essere assunto da un credente come un opus Dei.

Siccome le catastrofi non si possono stornare mediante le artiglierie e gli aeroplani, né mediante le astuzie o le burbanze diplomatiche, ma soltanto con la forza tranquilla delle singole vite umane maturate nella bontà, soltanto per questo Egli meriterebbe il premio Nobel della pace, come merita la riconoscenza di tutti i cattolici per averci insegnato che oltre l’opera propriamente apostolica di mutare il lupo in agnello, c’è bisogno che qualcuno impari a governare e lupi e agnelli, non con la violenza, ma attraverso la convinzione che lupi e agnelli, fanno parte della creazione e vivono quindi mescolati, al pari del loglio e del grano, e che la vera maturità politica non consiste nell’odiare gli uni e amare gli altri, bensì nell’amare gli uni e gli altri, onde alleggerire il male comune, che va poi a cadere soprattutto sulle spalle dei poveri.

Se Ernesto Wiechert l’avesse conosciuto direbbe che don Luigi Sturzo è uno di quei pochi uomini di ogni tempo che hanno acquistato nel loro viso il breve spazio dove anche Dio potrebbe riposare qualora avesse i piedi stanchi.

E i tempi son tali che anche i piedi di Dio possono stancarsi».

 

Sergio Mattarella – 8 agosto 2019

«Ricorrono sessant’anni dalla morte di Luigi Sturzo. La sua azione politica, il suo pensiero, i suoi scritti, che ancora costituiscono materia di studio e di riflessione, mostrano con evidenza come egli sia stato uno dei protagonisti della storia democratica italiana.

Fu decisivo nel superare il non expedit, nel rendere così i cattolici cittadini pienamente partecipi della cosa pubblica. Il processo che seppe innestare contribuì alla ricomposizione politica del Paese.

Don Sturzo cominciò dalle basi della società, dalla difesa della dignità dei contadini nel mondo agrario di inizio novecento, dalla presenza nel consiglio comunale di Caltagirone, dalla necessità di dare basi popolari alla democrazia, rifuggendo da ipoteche oligarchiche ed elitarie. La sua idea di laicità dell’impegno pubblico ha precorso i tempi. La sua visione democratica era inscindibilmente legata a una concreta giustizia sociale.

L’ascesa del fascismo lo costrinse al duro prezzo dell’esilio, rimanendo oppositore irriducibile del regime violento e dittatoriale.

Con le sue idee, e gli studi approfonditi negli Stati Uniti, tornò ad alimentare il dibattito nel dopoguerra. Il patrimonio che ha lasciato ha arricchito la cultura democratica che può attingere a valori ed esperienze preziose anche per i tempi nuovi che stiamo vivendo».


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