Una squadra, non un leader



Leonardo Becchetti    6 Agosto 2019       0

C’è un sogno che sta prendendo progressivamente forma nelle riflessioni sviluppate nelle tante belle scuole estive di formazione politica che in questi giorni giovani cittadini stanno animando in diverse parti del nostro Paese. Il sogno che finalmente questa stagione nella quale mestatori professionisti hanno saputo trasformare la paura in odio finisca con una novità "rivoluzionaria".

La costruzione di una "squadra", di una nuova classe dirigente plurale, che superi innanzitutto la concezione perversa della politica leaderistica che rappresenta una versione immatura e imperfetta della democrazia e rischia di aprire la porta all’autoritarismo.

Scriveva qualche tempo fa Guglielmo Minervini, uno dei "giovani di don Tonino Bello" poi diventato artefice della politica dei Bollenti Spiriti che ha aiutato tanti giovani pugliesi ad avviare una propria attività sociale o imprenditoriale: «La missione di certa politica è tutta qui: trovare l’uomo solo da piazzare al comando… il superiore potere dell’uno sul potere di tutti è la scorciatoia di tutte le soluzioni. L’Italia è abitata da questo batterio.

Il deficit di capitale sociale si è accumulato da tempo così remoto che già Leopardi ne tratteggiò i lineamenti culturali. La colpa è sempre negli altri. La soluzione è sempre negli altri. Gli italiani sono un popolo di spettatori, in fondo. Non di cittadini, attivi e consapevoli».

È Baumann a ricordarci però che nessun leader ha la forza e la capacità di poter risolvere da solo (con poteri limitati a livello nazionale rispetto al livello sovranazionale) problemi così complessi come quelli delle società odierne.

Ecco perché se il nostro Paese non guarisce da questa malattia finirà per produrre cicli sempre più accelerati di ascesa e caduta di leader, in un processo perverso nel quale si incoronano ciclicamente nuovi capipopolo la cui hybris (tracotanza) attira così tanto rancore da creare le premesse per la loro caduta.

La storia dell’impegno della magistratura contro le mafie ci insegna, invece, che l’approccio della ‘squadra’ è superiore a quello del leaderismo individuale. Il leader individuale è per sua natura anche fragile e qualunque ostacolo che si frappone alla sua azione (problemi di salute, giudiziari, politici) rischia di determinare la sua caduta e, con essa, la fine del suo progetto politico.

La nuova e auspicabile stagione deve ripartire da una visione lucida che si fonda sul pilastro dell’articolo 3 della nostra Costituzione: « È compito della Repubblica…» (che non è il leader, ma tutti noi cittadini) rimuovere gli ostacoli alla realizzazione della persona, in una sintesi poderosa che mette assieme il principio del bene comune, delle pari opportunità e della rimozione di lacci e lacciuoli all’iniziativa personale. Lo slogan che sintetizza questa visione deve essere "costruire felicità pubblica, in società ricche di senso e generative".

La ricchezza delle nostre radici ideali, l’abbondanza di buone pratiche censite nel Paese con il percorso delle Settimane Sociali dei cattolici italiani che, su piccola scala, contengono soluzioni importanti e innovative ai grandi ostacoli alla generatività dei nostri tempi (longevità attiva, assenza di lavoro o lavoro di bassa qualità), l’esistenza di solide e documentate ricette ragionevoli che aspettano solo la forza della comunicazione e della politica per poter essere finalmente realizzate a beneficio della collettività.

La rivoluzione politica prossima ventura, quella di cui abbiamo bisogno e che non può tardare, non è chiamata ad abbattere un leader solitario per sostituirlo con un altro. È chiamata a superare, archiviandolo, il principio stesso del leader solitario. Le esperienze e l’eredità di questi ultimi decenni di riflessione e azione prepolitiche ci offrono le risorse culturali per poter costruire una visione che sia alla base di questa rivoluzione. Per una società dell’«1+1=3» che crea più valore, più ricchezza di senso di quella dell’«uno contro uno». Una «società a quattro mani», dove cittadinanza attiva e imprese responsabili aiutano istituzioni e mercato a risolvere i problemi è già in corso di sperimentazione e promette di essere molto più generativa e ricca di senso di quelle che stiamo vivendo.

Perché la storia dei nostri territori e della nostra civiltà, oltre che i risultati degli studi sul "capitale sociale", dimostrano che fiducia e cooperazione sono in apparenza via meno facili e più impegnative di altre, ma che sicuramente sono anche le più efficaci per costruire felicità pubblica. Viviamo tempi difficili e allo stesso tempo sfide affascinanti. Il compito che abbiamo davanti è chiaro: costruire e mettere in campo una ‘squadra’ che aiuti costruire un futuro buono per questo Paese.

(Tratto da www.avvenire.it)


Il primo dei commenti

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*