La “mission” di Rete Bianca



Giorgio Merlo    30 Luglio 2019       1

L’assemblea Nazionale di Rete Bianca di Roma ha segnato una piccola, ma importante, svolta per la storia di questo movimento politico. Una svolta che si riassume efficacemente nel titolo dell’incontro: ‘oltre la testimonianza’. Perché di questo si tratta. Ora, sono almeno tre le considerazioni che si possono e si debbono fare a margine dell’assemblea di Roma e che sono al centro della “mission” futura di Rete Bianca.

In primo luogo si deve scegliere se l’area cattolico popolare e cattolico sociale – o almeno una parte significativa di questa – intende spendersi direttamente nell’azione politica e sul terreno politico oppure se intende, altrettanto legittimamente, resistere nel campo della prepolitica. Sono modi diversi, entrambi legittimi, di concepire la presenza nella società contemporanea. Ma dobbiamo essere chiari: se prevale il primo piano occorre misurarsi concretamente con le dinamiche della politica, le sue regole, le sue contraddizioni, le sue difficoltà. E anche con la sua organizzazione. Se, invece, prevale la seconda ipotesi il tutto si riduce alla riflessione, all’approfondimento, alla contemplazione e alla rinuncia all’organizzazione della politica. Mi pare che Rete Bianca, finalmente, ha scelto la prima strada, cioè quella dell’impegno politico diretto mettendosi in gioco.

In secondo luogo è ormai acclarato che l’esperienza dei partiti identitari è tramontata. O meglio, è del tutto irrilevante ed ininfluente. Le recenti esperienze amministrative in varie regioni italiane e la stessa consultazione europea hanno confermato, in modo persin plateale, che la “ragione identitaria” in politica oggi non è più spendibile. Altra cosa, invece, è quella di far pesare un’area culturale ed ideale – come, appunto, l’area cattolico popolare e cattolico sociale – all’interno di un soggetto politico più ampio, plurale, riformista, democratico, di governo e autenticamente costituzionale. È questa la vera sfida politica, culturale, programmatica e organizzativa su cui Rete Bianca è chiamata a misurarsi. E il documento finale approvato mi pare che colga questo elemento che non è affatto secondario ai fini della presenza politica e culturale dello stesso cattolicesimo sociale e popolare dopo molti anni di afonia e di sostanziale irrilevanza politica.

In ultimo una considerazione sulla geografia politica italiana. Ovvero, è indubbio – e non lo dicono soltanto i sondaggisti e moltissimi commentatori e opinionisti – che oggi c’è uno spazio politico ed elettorale rilevante per una forza politica che non si riconosce nell’attuale offerta politica italiana. Né nella sinistra – o presunta tale – di Zingaretti, il neo PDS; né nella destra di Salvini e né, tantomeno, nel populismo e nella pratica antisistema dei 5 stelle. Uno spazio politico che sin quando non si traduce, però, in una concreta offerta politica ed elettorale costringe gli elettori a rifugiarsi nell’astensionismo o a votare stancamente i partiti esistenti. È giunto il momento, di conseguenza, di essere “attori” e non più solo “spettatori”.

Infine, la decisione di dar vita ad una “associazione” che raccolga i sindaci e gli amministratori locali riconducibili all’area cattolico popolare è un segno tangibile che Rete Bianca non si limita alla sola azione politica ma intende ripartire dai territori, dalla periferia e dai governi locali a conferma che la valorizzazione delle autonomie locali resta una priorità per questa esperienza politica e culturale. Come ci insegna, del resto, l’intera tradizione sturziana e democratico cristiana.
Ecco perché l’iniziativa di Rete Bianca è destinata ad assumere una importanza non secondaria nella galassia cattolico popolare e cattolico sociale e, soprattutto, nell’area cosiddetta “centrista” nel nostro Paese. Un contributo politico e culturale non indifferente per la stessa area riformista e democratica italiana.


1 Commento

  1. Credo che ci sia spazio nella rete bianca anche a quell’area centrista di cattolicesimo liberale che non è vasta, ma esiste e non ha punti di riferimento né programmatici né culturali.

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