L’economia della Lega che piace



Maurizio Steffenino    8 Luglio 2019       0

Non c'è dubbio che quanto i sociologi affermano e anche l'analisi dei dati socio-economici in generale corrisponde al vero: il lavoro che non c'è più nelle forme tradizionali, il timore di diventare sempre più poveri, la presenza dei migranti da sostenere economicamente, il dissesto sociale ed economico alimentano quelle paure che favoriscono il populismo che si concretizza nel voto alla Lega al Nord e al M5S al Sud.

Ma dal mio modesto "essere nel mondo" vorrei sottolineare che se per alcune città è "quasi tutto vero" la realtà italiana che vive la "provincia" da queste riflessioni è solo in parte "toccata". Se analizziamo i dati di alcune realtà di provincia, in particolare Cuneo, Asti, Novara, Vercelli e solo in parte Alessandria, notiamo che, anche di fronte a una realtà economica tutto sommato discreta sia dal punto di vista occupazionale che di potenzialità nella crescita, la proposta leghista "piace".

Infatti il voto regionale esprime proprio in questi luoghi "periferici" alla Metropoli Torino la più alta percentuale di consenso proprio alla Lega. Sono realtà economiche e territoriali che pretendono dallo Stato aiuti per lo sviluppo di prodotti di qualità (DOC, DOCG) ma non apprezzano che lo Stato interferisca nella loro attività produttiva, chiedendo il rispetto delle condizioni di lavoro in termini di orario e onorario, versamento dei contributi e delle tasse. Lo Stato deve lasciarli liberi di fare, di assumere a giornata o a stagione, di gestire "in nero" il proprio business.

La Lega a tutto ciò risponde SÌ: la selezione del migrante e possibilmente da pagare in nero, la contabilità forfettaria con aliquota fissa al 15%, l'evasione "sottocoperta", l'esaltazione del "made in Italy" attraverso canali preferenziali garantiti da mediatori, il controllo del territorio e della sicurezza con armi proprie e la garanzia che i diritti sono solo per gli italiani, soprattutto se sono "evasori".

Per fortuna la realtà della "provincia" non è tutta così, ma chi è stato in Veneto e in Lombardia sa che ben presto la cultura "leghista" attecchisce a partire dall'imprenditore fino alla sua forza lavoro: il premio in denaro è usanza antica e promessa in base alla propria "disponibilità al servizio", meglio se non tassata, meglio se “quando il capo vuole”.

Forse sono un po’ duro ma nella realtà italiana c'è un problema non solo sociale ed economico ma "culturalmente strutturale": non si vuole, a parole il prodotto cinese, ma si vuole vendere un prodotto di qualità (DOC e DOCG) cercando di pagare il meno possibile il personale che lo produce.

Quando qualcosa non va o si gestisce male allora lo Stato deve intervenire a garantire le maestranze e se possibile anche l'imprenditore. Su una cosa purtroppo molti imprenditori hanno ragione: lo Stato sempre di più genera povertà: paga poco, e mai in tempo utile. Così questo nostro bel Paese con il suo "pensare in piccolo, e soprattutto in proprio" rischia sempre di più di ritornare, come alla fine dell'Impero Romano, terra di conquista per ogni genere di barbari.


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