Le mafie lucrano, non i buonisti



Francesco Cancellato    4 Luglio 2019       0

No, non è stata una retata di buonisti come ha erroneamente titolato “Il Giornale”. E nemmeno è, come ha dichiarato il ministro dell’interno Matteo Salvini, il pretesto perfetto per dare “meno soldi per i professionisti dell’accoglienza”.

Al contrario, l’inchiesta “Fake Onlus” della Procura di Milano, che ha portato all’arresto di undici persone con l’accusa di associazione per delinquere, truffa allo Stato e autoriciclaggio è una retata di presunti mafiosi. Ma soprattutto è la spia della vera emergenza italiana connessa al fenomeno dell’immigrazione: non quella degli sbarchi, ma quella dell’accoglienza e dell’integrazione. Un’emergenza aggravata, non risolta, dalle ultime scelte del governo gialloverde. Che ha eliminato i bandi SPRAR, che provavano a conciliare accoglienza e integrazione, lasciando campo libero ai soli bandi delle prefetture. E che, tagliando le risorse a disposizione, sta favorendo le realtà che vincono grazie a offerte al massimo ribasso, talvolta legate a doppio filo alla criminalità organizzata. Come le finte onlus che, stando alle ipotesi degli inquirenti, facevano finta di occuparsi di migranti, mentre invece aiutavano gli affiliati alla ‘ndrangheta – la grande emergenza italiana, ben più di qualche migliaia di migranti – ad uscire di galera.

Partiamo dall’inizio, però. Perché per capire i reati contestati bisogna partire da come funziona il sistema. In assenza di progetti SPRAR, i richiedenti asilo in Italia vengono smistati dalle prefetture, che emettono bandi pubblici finalizzati a scegliere la struttura più adeguata a ospitarli. Si tratta di soluzioni del tutto temporanee, in cui di accoglienza non si parla nemmeno tra le righe, finalizzate a ospitare i migranti fino a che un giudice non confermi o meno il loro status di rifugiati. Vince chi offre di meno, in questi casi. E infatti non sono infrequenti i casi in cui i migranti sono finiti stipati in ruderi senza alcun servizio, ospiti di cooperative sociali che fino al giorno prima si occupavano di edilizia, o magari nemmeno esistevano. Soldi facili, facilissimi. Secondo gli inquirenti, su 7 milioni erogati dallo Stato, le false onlus dell’inchiesta se ne tenevano quattro. E infatti la ’ndrangheta, fiutato il business, ci si è buttata a capofitto.

Altro sarebbe stato se al posto dei bandi delle prefetture ci fossero stati i bandi SPRAR, quelli che il governo ha ridotto ai minimi termini e che solo 2600 comuni su 8000 hanno adottato in Italia, nonostante sia il modo più semplice ed efficace per minimizzare i costi sociali connessi all’arrivo dei migranti e per vigilare su eventuali truffe ai danni dello Stato. Non solo: prevedendo programmi di integrazione attraverso il lavoro, i bandi SPRAR sono l’unica via per evitare che tutto il business dell’accoglienza finisca in mano a realtà interessate solo a fare offerte al ribasso e a fare il massimo dei profitti, sulla pelle di uomini e donne che sono passati dall’inferno. Che è quel che fa la ’ndrangheta, a quanto pare. Che già che c’è, usa quelle false onlus per tirare fuori dal carcere i propri affiliati, attraverso l’assunzione nella cooperativa come pena alternativa, in quanto attività socialmente utile.

Ecco: forse questo un tweet l’avrebbe meritato. Che la ‘ndrangheta non solo è presente al Nord, ma ha trovato modo di far soldi pure nel terzo settore, sulla pelle dei migranti, coi soldi pubblici. Che ormai è potenzialmente ovunque, anche dove non ce l’aspetteremmo mai. E che buona parte del risentimento sociale e della percezione d’insicurezza delle persone deriva anche dall’incapacità di proteggere le politiche sociali dal malaffare. Di questo, i paladini della legalità a tinte gialloverdi – siano essi i leghisti che hanno passato giorni a fare la morale a Carola Rakete, o i Cinque Stelle che fanno la morale a tutti dalla loro fondazione – avrebbero potuto spendere due parole. E invece si preferisce, al solito, fare la guerra ai migranti e stare zitti sulle mafie.

Niente di nuovo sotto il sole.

(Tratto da www.linkiesta.it)


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