Mi pare che l’ultimo intervento di Lorenzo Dellai prosegua sulla linea di un suo serissimo ragionamento su alcuni punti fondamentali. Una volta chiariti, possono davvero servire ad avviare un processo di “ ricomposizione” di un’area finita nell’irrilevanza.
Sono così chiari gli antefatti che appare superfluo il tornarci sopra. A partire dalla questione del “ nuovo soggetto politico” da costruire su cui, da tempo, è stata avviata una riflessione sia su “Il Domani d’Italia”, sia su “Politica Insieme” che su “Rinascita popolare”, oltre ad essere stata recentemente oggetto di ampia discussione all’interno della intera realtà cattolica italiana.
Ci sarebbe molto da discutere sul fatto che la crisi dei partiti italiani, simile a quelli di altre realtà europee, ma differente da altri ancora, sempre europei, non debba proprio essere fatta risalire alla mancanza di quella identità che, giustamente, Lorenzo Dellai collega al “ legame tra la politica e il suo profilo culturale”.
Gran parte della crisi delle organizzazioni politiche è, infatti, crisi di idealità. Come scrisse il Capograssi è il frutto dello “staccarsi dai centri della vita, dai principi della vita, dalle morali e dai diritti della vita”, da parte di quelle “classi di professionisti della politica, i quali cercano di utilizzarla a proprio profitto”. (Giuseppe Capograssi, Considerazioni sullo Stato, pubblicato postumo nel 1958)
È vero che i “valori” e una “visione” non sono sufficienti a sostanziare da soli una presenza politica. L’energia “rivoluzionaria” del popolarismo sta proprio qui: nella capacità di tradurre valori e visione nella costruzione di un “partito vitale”, lungo “vie precise e finalità concrete” (Luigi Sturzo, I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani - 29 dicembre 1905).
Questo ragionamento, come ricorda Dellai, oltrepassa la ricerca di un mero posizionamento “geometrico” nella dialettica politica. Va al di là dei concetti di “buon senso” e di moderazione”. Due termini cui don Luigi, - dopo di lui concordarono De Gasperi e Moro - riconosce l’importanza come “metodo”, non certo come sostanza. Sturzo, infatti, fece parte di quel filone di “intransigenti”capace di portare l’intransigentismo, che molti confusero (alcuni lo confondono ancora oggi) con l’integralismo, ad uno sbocco popolare e democratico.
In fondo, è all’intransigentismo che risale quel concetto di “autonomia” da non intendere quale separatezza presuntuosa o autorefenzialità. Bensì, riconoscimento realistico ed obiettivo che nessuna altra proposta possa pienamente rispondere ai problemi del Paese secondo le finalità perseguite in base a quella “soggettività politica”, ricordata da Lorenzo Dellai, necessaria a portare nella dialettica pubblica specifiche istanze sociali, ideali e morali.
È per me estremamente facile esprimere l’assoluta convergenza di valutazioni con Lorenzo Dellai sulla necessità di arrivare al superamento della fase “prepolitica”, dimensione sempre apparsami vaga, oltre che delle titubanze e, soprattutto, di quelle ”circospezioni tattiche” tanto care, purtroppo, ad alcuni uomini ed organizzazioni del nostro mondo nel corso degli ultimi 25 anni.
È necessario attingere alla forza dell’antico popolarismo e della successiva esperienza degasperiana e morotea per quel molto di “vitale”, nel sociale e nel politico, in esse contenute e in grado di riproporre una specificità e un’autonomia da metabolizzare e declinare intelligentemente nel tempo in cui ci è dato di vivere.
Non ci si può abbandonare, dunque, all’idea accademica di una trasposizione sic et simpliciter ai giorni nostri. Allo stesso tempo, neppure ci si può riferire alle più recenti esperienze, come quella della Margherita, nate, e purtroppo decedute, in un contesto molto diverso da quello odierno.
L’Italia, e in essa le forze politiche e le dinamiche collettive dell’oggi, è diversa. Ha attraversato e sta affrontando una mutazione “genetica”: differenti le segmentazioni della società, gli individui, le famiglie e i più complessivi snodi economico-sociali ed internazionali.
Sarebbe esiziale non registrare ciò e, sulla base della conoscenza e della consapevolezza di ciò, non avviare una riaggregazione il cui punto di partenza, ma anche il suo sbocco finale, sia la capacità di avanzare una adeguata “proposta al Paese”.
Anch’io ho sostenuto su “Politica Insieme” la necessità di proporre ad una consistente parte del mondo laico di partecipare ad una “grande alleanza”. In gioco c’è, infatti, una generale rigenerazione. Non solo dei cattolici e del loro eventuale riaggregato movimento politico.
Una sfida in cui saremmo costretti a misurare la nostra laicità, la capacità di proposta e di conquistare consenso. L’impegno, però, richiama pure la sincera partecipazione di altri, determinati a collaborare alla ricostruzione non per via ideologica, ma fattuale e concreta.
Gli intellettuali e gli editorialisti espressione di vari mondi laici da tempo indicano questa prospettiva e credo sia giunto il momento di vedere le nostre carte e quelle loro e di quanti altri sono intenzionati ad un superamento di una fase di oggettiva “ confusione” e contraddittorietà politica e legislativa.
La questione europea concorrerà a farci giungere al “dunque” lungo questo percorso. Noi dovremmo farci trovare pronti. Cominciando dal superare le dinamiche di un mondo cattolico indaffarato solo ad interloquire al proprio interno, spesso senza alcun costrutto.
È stato, infatti, perso il senso della “dinamicità” della politica italiana e si è rimasti rinchiusi nei vecchi stati di fatto creati da 25 anni di diaspora. Tante le opportunità perdute!
È fondamentale, come sottolinea, Lorenzo Dellai, partecipare sulla base di un proprio originale e peculiare contributo alla ricostruzione di una idea “sociale e comunitaria” della democrazia e di un suo rinnovato ed esigente “compromesso” con il capitalismo, che rilanci la tutela “delle attese della povera gente” e riaffermi il primato della “Comunità” sullo Stato e sul Mercato.
Non può la nostra essere, però, una prospettiva unidirezionale, interessata solo ad una parte dello scacchiere politico italiano. C’è un grande fermento anche tra gli amici ispirati cristianamente che hanno vissuto esperienze al di là di quella che per circa 20 anni è stata una “ barricata” irta ed invalicabile. Dobbiamo porci questa questione o no? O dobbiamo continuare a vivere l’oggi con il retaggio delle divisioni del passato e delle sue superate dinamiche politico–parlamentari?
Guardando a provenienze dal centrodestra o dal centrosinistra, non mancherà certo il discernimento per valutare uomini e cose, sincerità negli intendimenti, capacità propositiva. Si tratta di curare vecchie e nuove relazioni. A partire da quelle che si definiscono spontaneamente nelle realtà locali.
Un punto cruciale è certamente rappresentato dalle questioni eticamente sensibili su cui sono state registrate oggettive difficoltà ad intervenire.
Tra poco giungerà l’appuntamento su di una parte della legge sul fine vita che, se non adeguatamente affrontata entro il prossimo 24 settembre, potrà realisticamente far diventare l’Italia paese in cui sarà di fatto legalizzata l’eutanasia. Verso questo sbocco già in molti premono. Del resto, anche forze economiche ed imprenditoriali importanti sono interessate a trasformare il fine vita in un ulteriore settore di affari. Sono già pronte le cliniche specializzate, la formazione di personale, l’organizzazione e i medicinali adatti all’uso.
Io sto fermo alle recenti riflessioni di Domenico Galbiati sulla necessità di aprire un tavolo comune. Superiamo, dunque, i silenzi e i tatticismi e non lasciamo la battaglia per la vita e per una morte dignitosa a quelli che, davvero in questi anni, hanno finito per presentarsi come gli “ultimi dei mohicani”, da una parte e dall’altra.
È probabile che i prossimi eventi congiureranno affinché la “ risistemazione” di casa nostra possa coincidere, e in qualche modo sovrapporsi, con la necessità di interloquire e avviare relazioni con altri. Ma questa seconda esigenza non può sostituire la prima, non può divenire la scappatoia per non risolvere i nostri problemi o aiutare altri a non risolvere i propri. Su questo punto, vedo una varietà di posizioni tra tutti gli orbitanti attorno a "Il Domani d’Italia", alla Rete Bianca e oltre. Cosa, del resto, che mi sembra sottintendere anche una parte del ragionamento di Dellai, se addirittura non trova in essa lo stimolo.
Si va da amici ancora inseriti a pieno titolo nel PD, ad altri che vivono una sorta di “ vedovanza” nei confronti del partito di Zingaretti. Altri ancora si ritrovano attorno a quel capezzale, in attesa di una “resurrezione”.
In molti, però, o almeno io ho capito così, hanno raggiunto invece il convincimento della necessità di “ convenire” attorno ad un processo nuovo ed originale di riaggregazione che nell’autonomia individua un elemento sostanziale e di metodo.
Credo sia necessario precisare, a questo punto, qualcosa su Politica Insieme. Essa non è stata concepita perché debba costituire il “contenitore”. Si tratta, invece, di uno sforzo di progressivo allargamento di una nuova sensibilità e di un richiamo verso un progetto più ampio. È quello che ci chiede tanta gente ritrovata nel corso dei mesi scorsi sul territorio.
La convergenza esclude un “convenire” d’ordine gerarchico. Così come, può divenire sostanziale ricchezza comune, grazie alla pluralità di toni e di accenti, se davvero parte di una stessa lingua.
Persino le caratteristiche dei singoli possono esplicitarsi meglio in un percorso più ampio, destinato a coinvolgere con intenti inclusivi, su di un piede effettivo di parità, tutte le espressioni, singole o di gruppo, e quanti sono ancora oggi animati da una ispirazione cristiana e volenterosi di articolarla laicamente sulle cose concrete.
Si tratta di voler fare assieme la strada, che però prima o poi si dovrebbe pur imboccare davvero, oltre che essere declamata, dedicandoci con animo aperto e costruttivo con tutte le amiche e gli amici dal comune e coincidente richiamo ideale, ma che non sono riusciti finora a tradurlo in un impegno convergente di personalità, idealità ed intenti.
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