Basta con i partiti identitari



Giorgio Merlo    24 Giugno 2019       0

Il passato non ritorna. Lo diciamo da tanto tempo. Certo, il passato non può e non deve essere dimenticato. Perché senza la conoscenza del passato non c’è alcuna possibilità di costruire il futuro. E, soprattutto, non si può costruire nessuna prospettiva politica credibile e realistica.

Ora, quando parliamo di passato, in particolare noi cattolici democratici e popolari, persiste sempre la tentazione nostalgica. È inutile negarla. Siamo consapevoli, lo ripeto, che il passato non ritorna, ma siamo altrettanto tentati – a volte – di ripercorrerne in qualche modo le forme e la sostanza. E quindi il dibattito, sempre più fitto e insistente, su come ridare una adeguata e credibile rappresentanza politica a quest’area. Nessuno pensa che possa ritornare una sorta di neo Democrazia Cristiana.

Pochi, pochissimi, ritengono che si possa imbastire nel contesto politico contemporaneo e dar vita a movimenti e partiti identitari. Sotto questo profilo, e alla luce dei recenti e ripetuti risultati elettorali, forse è giunto il momento per dire una parola definiva quando si parla di cattolici in politica e di partiti che si rifanno a quella ispirazione. E cioè, quando nessun esperimento raggiunge l’1% né a livello locale e né a livello nazionale, significa che proprio quegli esperimenti – e seppur nel massimo rispetto della volontà e del coraggio dei proponenti – sono destinati inesorabilmente al fallimento. Per fermarsi al solo Piemonte, le recenti elezioni regionali ci hanno detto che la lista civica dove era presente Demos è finita sotto lo 0,5%, che il Popolo della famiglia ha avuto percentuali sotto il prefisso telefonico e che l’UDC ha toccato l’1%. E parliamo solo del Piemonte per non citare la valanga di esprimenti nelle varie regioni italiane. Oltre, com’è ovvio, alle liste per il rinnovo del Parlamento Europeo. Per fare un solo esempio, la lista dei Popolari per l’Italia ha raggranellato un misero 0,2%.

La conclusione di questa riflessione è molto semplice, almeno a mio parere. Questo mondo politico, culturale, sociale e forse anche etico non si riconosce, salvo eccezioni sempre presenti, nell’attuale geografia politica italiana. Difficilmente può confluire nel contenitore della sinistra, il PD/PDS di Zingaretti; non se la sente di condividere il progetto della destra leghista di Salvini e, men che meno, si avvicina al partito populista, antisistema e demagogico dei 5 Stelle. Di quel che resta di Forza Italia è inutile parlarne.

Molti, anche se non tutti com’è ovvio, sono disponibili a lavorare seriamente per ricostruire una esperienza di “centro” plurale, riformista, di governo, democratico e innovativo. Non un posizionamento tattico o un luogo che rivendica una mera rendita di posizione ma un movimento/partito che sappia riscoprire un progetto politico e soprattutto una cultura politica. Ed è proprio su questo versante che l’apporto dei cattolici democratici e popolari, con il contributo di molti altri filoni culturali e ideali, può risultare decisivo e sempre più importante. Questa, oggi, è la vera sfida politica per quest’area culturale. Con buona pace dei partiti e dei movimenti identitari.

È sicuramente positiva l’elezione di Bruno Tabacci a Presidente della formazione +Europa. Al di là e al di fuori dei radicali, la presenza di Tabacci è la conferma che qualcosa si muove nell’area riformista e democratica del centrosinistra. Una elezione che rappresenta un tassello importante in vista della costruzione di un centro riformista, di governo, innovativo e che sia in grado di intercettare una fetta di elettorato che tuttora si rifugia nell’astensionismo o che, al contempo, vota stancamente i partiti esistenti.

Certo, per costruire un luogo politico credibile e che non sia solo un posizionamento tattico o un escamotage funzionale a una pura rendita di posizione, è necessario che questo sia un movimento/partito plurale. Nessuna deriva identitaria, nessuna logica autoreferenziale e, soprattutto, nessuna tentazione di autosufficienza culturale. In un luogo politico plurale si entra con la propria identità culturale, ideale e a volte, forse, anche etica e si raggiunge poi una sintesi politica solo attraverso il pieno recupero della “cultura della mediazione”. Un metodo e una prassi che, da sempre, caratterizzano il cattolicesimo democratico e popolare.

È questa, dunque, la vera priorità che caratterizza oggi un’area politica che rischia di essere catturata dalla nostalgia da un lato – e quindi si fa forza della sua autosufficienza e autoreferenzialità – e che, dall’altro, si affretta a dichiarare con troppo anticipo con chi si alleerà in vista delle elezioni. Anticipate o meno che siano. Un doppio errore che deve essere battuto alla radice pena la riduzione del “centro” a un luogo politico troppo debole per essere competitivo e quindi condizionante.
Ed è lungo questo crinale che si inserisce il tema della presenza e del ruolo dei cattolici democratici e popolari. È perfettamente inutile, anche se comprensibile, continuare un dibattito dove si evidenzia l’impossibilità di confluire in qualsiasi partito e contenitore sognando ad occhi aperti di percorrere un tragitto identitario e autosufficiente. Un percorso rispettabile ma puramente e seccamente testimoniale e quindi politicamente sterile ed inconcludente. Come hanno confermato ripetutamente tutte le elezioni a livello nazionale e a livello locale. Ed è giunto anche il momento, quindi, di “trafficare i propri talenti” per dirla con Rosy Bindi. Sotto questo versante saremo giudicati e, soprattutto, sarà valutato il nostro progetto politico, la nostra iniziativa culturale e il nostro comportamento organizzativo.

La riflessione e il dibattito culturale e prepolitico continuano ad essere indispensabili e necessari ma adesso è il momento dell’azione. Piaccia o non piaccia a tutti noi.


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