Le analisi dei flussi di voto dopo le elezioni europee del 26 maggio scorso si sono basate su di un campione tutto sommato ristretto della base elettorale complessiva, giacché solo il 54.5% degli Italiani aventi diritto è andato al voto per rinnovare la nostra rappresentanza al Parlamento di Strasburgo.
Ciononostante, tali analisi sono comunque importanti non solo in base al principio per cui chi è assente ha sempre torto (anche se l’accentuarsi della sfiducia nella democrazia rappresentativa, che si somma al voto per forze politiche apertamente critiche dei tradizionali meccanismi di rappresentanza, è una questione su cui non ci si è ancora interrogati abbastanza), ma anche perché comunque chiariscono una linea di tendenza prevalente nell’opinione pubblica.
Non sarà sfuggito fra i molti elementi da tenere in considerazione il reiterarsi di appelli di carattere religioso, centrati soprattutto sull’immaginario devozionistico tradizionale, di cui si è infarcita la comunicazione politica leghista ed in particolare di Matteo Salvini. In questa campagna elettorale, peraltro, essa ha trovato una saldatura fra le tematiche tipiche della comunicazione politica leghista e l’aggressiva campagna di delegittimazione di Papa Francesco condotta dall’interno stesso della Chiesa e in qualche misura orchestrata a livello globale da potentati economici ed agenzie mediatiche di estrema destra che troverebbero il loro coordinatore nel famoso Steve Bannon.
Orbene, il Partito Democratico, secondo le analisi prevalenti avrebbe il suo picco di consensi più alto fra i partecipanti alla Messa domenicale (e ad altre equivalenti cerimonie per le altre confessioni religiose) con il 26.9%, che tuttavia è superato dalla Lega con il 32.7 (comunque questa categoria di persone si rifugia per il 51% nell’astensionismo). Ma il picco più alto di successo per la Lega – ed il maggior distacco nei nostri confronti- si verifica in altre categorie, quella dei praticanti mensili o saltuari (che sono anche quelli che si sono astenuti di meno) e persino fra i non praticanti (o non credenti) dove la Lega registra il 31% dei voti, e il PD il 23.6. Ciò significa – non è un giudizio di valore ma meramente descrittivo – che i consensi maggiori la Lega li ottiene fra coloro la cui appartenenza religiosa è fatto più identitario che di convinzione profonda, che si sente rassicurata dall’ostentazione di simboli religiosi e dal richiamo alla difesa della civiltà occidentale contro la presunta invasione islamica e si sente in difficoltà, se non in qualche modo offesa, dal richiamo esigente ai valori evangelici e all’individuazione delle disuguaglianze sociali e dello stesso fenomeno migratorio come le vere e proprie linee di faglia della nostra società su cui reiteratamente insiste il Pontefice.
È evidente che questo voto ci consegna l’immagine di una sostanziale spaccatura della comunità ecclesiale, con una netta prevalenza della Lega fra i credenti identitari ed un miglior risultato dei democratici fra i credenti assidui e i non praticanti e non credenti (le due fasce, peraltro, in cui più alta si riscontra la percentuale degli astenuti).
Si è accennato prima alla vicenda Bannon: è chiaro che l’ambizione di questa sorta di Rasputin a stelle e strisce è quella di creare un network delle destre radicali (“alt-right”, secondo la definizione corrente), che tenga insieme il discorso politico e quello religioso facendo leva sul malessere diffuso nelle Nazioni occidentali di qua e di là dall’Atlantico di fronte ai fenomeni della globalizzazione e dell’immigrazione, in nome di una narrazione reazionaria aggressiva e nazionalistica di cui il cristianesimo, ed il cattolicesimo in particolare, siano in qualche modo la riserva ideologica incentrata sulla triade Dio-Patria-Famiglia, con una continua “guerra culturale” nei confronti della modernità secolare da un lato e dall’altro nei confronti di tutto ciò che viene percepito come alieno: il migrante, l’islamico, il nero… La declinazione populista di questa guerra consiste nell’alimentare il contrasto fra i penultimi e gli ultimi, fra i perdenti della globalizzazione nei Paesi affluenti (che comprendono bene di essere sempre più ai margini della società) e coloro che cercano di entrare nello spazio fisico ed economico europeo e nordamericano alla ricerca di una vita diversa. Naturalmente ciò serve anche a distrarre le masse a rischio di impoverimento dalle responsabilità del modello economico vigente, che i populisti e i sovranisti non mettono in discussione.
A guastare la festa dell’ “alt-right” sono però stati i Pontefici: prima di tutto Benedetto XVI che ha sempre rifiutato di farsi strumentalizzare dagli ideologi di destra e, col gesto epocale delle sue dimissioni, ha secolarizzato la figura stessa del Papa. Soprattutto la bestia nera di questi signori è Francesco, che non demonizza la globalizzazione ma la carica di contenuti sociali, e relativizza la retorica dei principi non negoziabili ricordando che la divisa del cristiano è la carità, e che questa chiede di farsi carico delle crescenti disuguaglianze sociali – senza scorciatoie assistenziali – e del problema delle migrazioni, due temi su cui il Papa identifica correttamente le linee di faglia che possono terremotare le nostre società (e di fatto sta già accadendo, perché la rinascita dei nazionalismi e la loro declinazione populistica sono l’effetto e non la causa di questi due pesanti fenomeni sociali). Questa impostazione fa saltare la saldatura tanto comoda (e lucrosa, in termini di soldi e di potere) che si era realizzata particolarmente in Italia e negli USA negli ultimi vent’anni fra potere ecclesiastico, economico e politico e ha provocato una reazione furiosa sia di alcuni settori gerarchici sia della destra politica ormai estremizzata che si pongono il problema dell’indebolimento se non della rimozione di un Papa che per la sola sua presenza è un elemento di crisi della narrazione terroristica e reazionaria che essi hanno alimentato e che è così redditizia dal punto di vista elettorale.
Il sospetto è che si voglia arrivare a quel progetto di “nazionalizzazione” della Chiesa cattolica che venne accarezzato – ma mai esplicitato, se non parzialmente – dal fascismo e dal nazionalsocialismo, nel senso di un distacco progressivo, se non nella forma nei fatti, delle Chiese locali, sottoposte a Gerarchie consonanti nel loro disegno ecclesiale e politico con i governanti temporali, e per questo portatrici di una blasfema versione xenofoba ed escludente del Vangelo. Il progetto è stato bene intuito dai nuovi vertici della CEI, perché l’affermazione del card. Bassetti per cui “nessuno potrà separare i cattolici dal Papa” è il segnale che precisamente a questo si vuole arrivare, e segnali del genere arrivano da alcuni settori della Gerarchia statunitense, che dimostra di prendere più volentieri la linea dalla Casa Bianca trumpiana che dal Vaticano francescano.
È il tempo delle contromisure, e proprio per questo coloro che sono fedeli al Magistero autentico, quello di Papa Francesco sulla scia del Concilio Vaticano II, debbono incominciare ad agire di conseguenza.
(Tratto da www.circolidossetti.it)
A chi vuole capire, l’articolo spiega bene i pericoli incombenti e da che parte devono stare coloro che sono per una politica a favore del bene comune. La saldatura tra potere ecclesiastico, economico e politico è messo in crisi dal pontificato (o da una coerente vita evangelica, o ancora da posizioni politiche di popolarismo democratico e sociale) diventando destabilizzante per il Potere che continua a dare colpi di coda e a mobilitare il peggio della reazione presente nel nostro Paese. La P2 continua probabilmente sotto altre vesti a fare danni all’Italia, e gli italiani cadono nel trabocchetto che usa le problematiche come specchietto per le allodole.