L’Italia dei Piccoli Comuni



Marco Bussone e Stefano Ciafani    30 Maggio 2019       0

Pubblichiamo le considerazioni conclusive del rapporto sulla realtà italiana dei piccoli Comuni (con meno di 5000 abitanti) realizzata da Legambiente e UNCEM. Il documento (che è possibile leggere integralmente cliccando qui) mette in evidenza caratteristiche, talenti espressi e potenzialità inespresse di un insieme territoriale e umano diffuso dalle Alpi alla Sicilia: una realtà che non viene adeguatamente considerata da miopi visioni globaliste o metropolitane.

 

I protagonisti di una Italia minore (ma non troppo)

L’immagine della Italia dei piccoli Comuni che questo documento ci restituisce, al termine di una esplorazione condotta con strumenti e voci diverse è quella di una realtà vivace, articolata e in movimento, che si misura con processi di cambiamento impetuosi e con tendenze globali in larga misura inedite, accettandone la sfida e collocandosi alla frontiera della innovazione.

La ricerca ci propone una interessante segmentazione dell’esteso campo dei piccoli Comuni in funzione dei loro ruoli territoriali e dei loro caratteri identitari.

Un suo esito significativo è proprio quello di evidenziare come il segmento più interessante dei piccoli Comuni italiani presenta condizioni di attrattività marcatamente superiori a quelli della media del Paese. Negli ultimi anni questi piccoli Comuni hanno infatti attratto in media 1,7 persone per ogni mille residenti, quando la media italiana era di 1,2. Una Italia dei Piccoli Comuni innanzitutto che può mostrare condizioni di reale attrattività, rivolgendosi con successo alle scelte insediative della popolazione italiana come delle correnti migratorie di più lungo raggio.

Il panorama viene confermato dall’analogo riscontro di una maggiore densità imprenditoriale che i piccoli Comuni – e tra loro, ancora con maggiore spicco, il segmento a più forte caratterizzazione identitaria – rispetto alla generalità del Paese: 10,4 imprese per 100 residenti contro una media di 8,5.

È interessante associare questo dato a quello che ci descrive la concentrazione – nei più qualificati tra i piccoli Comuni – di una quota sovrabbondante della risorsa più scarsa che il Paese rischia di dover registrare in questa difficile transizione: quella dei giovani in ingresso nel mercato del lavoro, 17,3% rispetto a una media nazionale di 16,9.

Certo questi dati segnano anche la distanza con i segmenti che dall’analisi escono più fragili e depauperati, con segni negativi che li discostano dalle medie nazionali a volte in maniera tragica, ma indicano anche una direzione e la ricetta per percorrerla: saldarsi al valore intrinseco della propria identità ricostruendo quel valore disperso del patrimonio naturale, culturale e produttivo a partire dalle forze creative in campo o attraendone di nuove.

Una direzione verso cui tendono in molti indicatori tematici anche i Comuni del segmento vasto dei borghi storici, con una distanza da colmare che devono ancora percorrere con convinzione, puntando anche su progettualità e leadership locali non rintracciabili dalle statistiche ma alla base della tenuta e del cambio di passo di una piccola comunità.

Troviamo l’eco di questo potenziale nelle storie di innovatori che raccontiamo sempre qui arricchendo la panoramica sempre un po’ fredda delle cifre con il calore delle biografie. C’è una ragione oggettiva se tra gli abitanti dei piccoli Comuni albergano schiere di innovatori, start-upper, giovani che investono il proprio futuro nel successo di questa Italia minore. Queste ragioni resterebbero inerti se non incontrassero l’intuito, il coraggio, la determinazione di persone in carne ed ossa, le cui biografie ci dicono più di un saggio di economia d’impresa o di sociologia delle comunità. In questo tessuto di talenti minuti dove vengono tenute vive le maglie di saperi tradizionali spesso si insediano anche percorsi di sperimentazione che mettono in risalto la capacità di innovazione di questi luoghi.

Come incontra il mondo delle politiche pubbliche questo piccolo esercito di innovatori dell’Italia Minore?

La risposta non è né univoca né scontata. Alcune politiche di sistema segnano ancora il passo. Per restare a quelle che più hanno a che fare con il tema della innovazione, l’investimento infrastrutturale per la Banda Ultra Larga e l’investimento strutturale sul Capitale Umano, il divario dei piccoli è troppo alto: il 17,4% delle utenze servite contro una media nazionale del 66,9 e una presenza di appena 7,1 laureati per 100 abitanti contro una media nazionale (peraltro assolutamente insoddisfacente) di 10,8.

E non basta qui essere piccoli Comuni più evoluti e intraprendenti perché le dotazioni migliori per la categoria la presentano in entrambi i casi quei piccoli Comuni delle periferie metropolitani che possono godere delle ricadute di politiche pubbliche sui temi della innovazione e dei suoi fattori di successo ancora troppo concentrate sulle aree urbane e metropolitane.

Migliore la situazione che ci propongono le politiche pubbliche che puntano a valorizzare il patrimonio, nella sua accezione plurale che lo riconosce come valore olistico, sintesi del capitale naturale, del patrimonio culturale e dei prodotti della tradizione. Patrimonio di cui i piccoli Comuni sono campioni, tanto che si parli di capitale naturale, i cui servizi presentano qui densità più alte (3.500 euro all’ettaro contro una media di 3.000), sia che si parli di prodotti del territorio (il 92% dei quali ha il suo domicilio in piccoli comuni).

I piccoli Comuni sono anche l’ossatura delle politiche più sofisticate, quelle che cercano di fare sintesi e di restituire il valore globale del patrimonio, maggiore della somma delle sue parti. Come è per la politica dei Cammini, che rende per la prima volta dinamica la strategia della valorizzazione culturale e la via ad incontrare concretamente il territorio che ospita i beni e i luoghi della cultura, incontrando sulla sua strada i piccoli Comuni: 944 dei 1.434 incontrati dai Cammini nel loro sviluppo totale. Un microcosmo fatto di migliaia di territori, amministrazioni e comunità che devono imparare a fare massa critica e chiedere politiche di sistema che permettano loro di sperimentarsi come territori di innovazione nella governance locale, nelle opportunità di lavoro, nella presenza di servizi e offerta formativa, nella qualità della vita che pure resta altissima in questi luoghi dell’Italia del buon vivere.

Anche questa analisi, originale nel suo taglio, capace di andare oltre i noti trend noti dell’ inurbanesimo globale, restituisce il valore dei territori e delle comunità sparse e la forza del policentrismo italiano. Un’evidenza che ci spinge ancora una volta a chiamare a raccolta gli attori che difendono le istanze dei territori per chiedere che venga restituita loro centralità e recuperato un ritardo a iniziare dall’attuazione della legge 168/2017. Ma anche sostenere il percorso di innovazione sociale e tenuta territoriale di cui queste realtà hanno bisogno attivando con urgenza agevolazioni fiscali all’impresa locale di prossimità, all’impresa digitale e alla residenzialità.

C’è ragione per essere soddisfatti e per festeggiare ma c’è anche molto lavoro da fare per convincere i decisori, le agenzie pubbliche, gli stakeholder influenti che l’Italia dei piccoli Comuni non è un Italia minore. Che qui albergano risorse umane e materiali che il soffio vitale dell’innovazione e del cambiamento ha tornato a mettere in moto e che le riserve di valore mobilizzabile sono ancora tante.

Marco Bussone - Presidente UNCEM

Stefano Ciafani - Presidente Legambiente


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