“Lo Stato asociale” contro la “mangiatoia dell’accoglienza”. Da giorni, è in corso un vero e proprio scontro al vetriolo tra il quotidiano della CEI “Avvenire” e il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Salvini sprezzante con le reti di carità, il titolo che campeggiava qualche giorno fa nella prima pagina del giornale dei vescovi, assieme all’invito a “vedere cosa fa davvero la Caritas”. Il pomo della discordia è l’atteggiamento del leader della Lega nei confronti del mondo del volontariato e del Terzo settore nel suo insieme, certamente penalizzato dalle decisioni prese negli ormai dodici mesi di governo.
Francesco Gnani di Formiche.net ha intervistato l’economista Leonardo Becchetti, uno dei capofila in Italia dell’economia sociale.
Professore, partiamo subito dal nocciolo. C’è una guerra in corso contro le reti di solidarietà, come denuncia “Avvenire”?
C’è una svalutazione molto forte, culturale, del ruolo della solidarietà, che è un problema molto grave, perché in economia, e lo dico sempre, le risorse si moltiplicano quando c’è cooperazione, fiducia e solidarietà. Quindi minare alla radice questa idea della solidarietà non è solo negativo per chi riceve aiuti ma lo è proprio per l’economia. Perché produce un effetto negativo proprio su di questa. Lo si è visto innanzitutto con le dichiarazioni nei confronti della Caritas, e lo si è visto anche in alcuni provvedimenti che per fortuna poi sono rientrati, come il raddoppio delle tasse sugli enti del Terzo settore e adesso con la legge “salvacorrotti” che in realtà impediva l’avvicinamento delle organizzazioni da parte di chiunque si era occupato di politica fino a dieci anni prima.
La reazione del quotidiano della CEI è partita in questi giorni da un tweet di Salvini in cui si parlava di “mangiatoia dell’accoglienza” commentando la scelta della Caritas di non partecipare più ai bandi. Poi c’è il “business” delle case famiglia, i “taxi” delle ONG. Un linguaggio per molti livoroso. Perché? È una strategia, quella del capo della Lega, oppure bisognerebbe guardare più al sentimento diffuso tra gli elettori?
È assolutamente una strategia, nel senso che lui sa bene che da questi mondi non viene consenso nei suoi confronti e quindi gli fa gioco ridurne il prestigio. Però facendo questo gioco, che è un tornaconto biecamente elettorale, sta anche creando un danno al Paese, perché da che mondo è mondo la politica ha sempre avuto l’aiuto del Terzo settore e della società civile per risolvere i problemi sociali. Basti pensare alla storia delle monetine della Fontana di Trevi poi assegnate alla Caritas perché si riconosce che è la più attrezzata e organizzata per svolgere un servizio di sostegno nei confronti degli ultimi, dei più poveri.
E anche lì, in realtà, c’era stato qualche problema.
Sì, c’era stato un passo indietro ma poi ci hanno ripensato. Un politico che non ha un bias culturale , e che è intelligente, capisce il principio di sussidiarietà, che vuol dire che se c’è un’associazione vicina a un problema, e che ha una vocazione per risolverlo, conviene affidarle la gestione di quel problema, ovviamente all’interno di un quadro di regole definite dalla Pubblica amministrazione.
In effetti, molti tra i cattolici pensano che se la Lega ha ingaggiato una lotta con il mondo del Terzo settore, anche i Cinque stelle faticano a comprendere questo valore della sussidiarietà.
Diciamo che se si deve cercare una sponda per rintuzzare questi attacchi della Lega, la troviamo sempre e comunque tra i Cinque stelle. Anche se una parte dei Cinque stelle è più sensibile su questi temi, come per esempio sulla questione del “salvacorrotti”, alla fine tramite loro si è riusciti a fare qualcosa.
L’economista Zamagni ha parlato di aporofobia, una vera e propria “fobia del povero”, e poi di uno “Stato asociale”.
Io penso che la cosa più grave sia proprio il capovolgimento di ciò che è buono e ciò che non lo è. Quindi la demonizzazione della solidarietà, dell’accoglienza e dell’aiuto. Poi c’è un travisamento vero e proprio, e la gente dovrebbe capire che, razionalmente, non ha senso dire: non aiuto le persone che arrivano perché sono sfruttate. Bisogna combattere lo sfruttamento, non te la puoi prendere con lo sfruttato. Come dire al Buon samaritano che vede la persona assalita dai briganti: io non ti aiuto perché sono contro gli sfruttatori. È una cosa che non ha nessun senso. Però la cosa più incredibile è il sostegno degli italiani, non capire questa serie di mistificazioni cui stiamo assistendo, una dopo l’altra. Tutta una serie di promesse, una bolla di comunicazione che però gran parte dei cittadini non riesce a decifrare. Se una persona arriva qui, bisogna fare il possibile, tra l’altro, per fare in modo che non entri nella devianza o nella criminalità.
Se si mettono in fila tutte le varie questioni aperte nel volontariato e terzo settore, dall’accoglienza agli immigrati e alle ONG nel Mediterraneo, alle case famiglie, l’esclusione dei senza fissa dimora dal reddito di cittadinanza, la cancellazione del bonus baby sitter per le mamme, fino alle misure alternative per il reinserimento dei carcerati, qual è il quadro che emerge?
Un quadro molto nero, però io giustamente condivido la speranza e l’ottimismo del direttore Marco Tarquinio che dice che la solidarietà non muore mai anche se messa sotto attacco. E sono convinto che questo sia un periodo transitorio, che questa moda così nefasta passerà. Perché semplicemente è un modo di fare contrario alla natura e all’animo umano. Però bisogna essere allerta, essere tutti convocati e fare rete. Non bisogna mai demonizzare le persone, ma dobbiamo rispondere con forza, tutti insieme, quando vengono messi in pericolo punti cardine della nostra società. Su questo non si può transigere. Ed è interessante la storia della maratona, che ha visto creare una grandissima risposta dal basso, e l’organizzatore è tornato indietro. Io penso che dobbiamo assolutamente combattere questa battaglia.
Ci sono autocritiche che i soggetti del Terzo settore potrebbero o dovrebbero fare?
In ogni settore economico esistono problemi legati all’efficienza delle organizzazioni, ne esistono più o meno brave, ma questo vale dalle imprese chimiche a quelle farmaceutiche e anche a quelle del Terzo settore. Laddove si vede il pregiudizio, che è quando si prende un esempio negativo, la mela marcia, per buttare tutto il cesto, intero, delle mele sane. È anche quello che è successo con la cooperazione. Se si guardano i dati, a parte il valore in generale per il cooperato, la cooperazione in Italia ha un ruolo fondamentale, però la campagna pubblicitaria è stata nei confronti di organizzazioni come quelle legate a Mafia Capitale, cioè di quelle che rappresentavano le mele marce. Che però esistono dappertutto: non è che quando c’è un fallimento o un caso negativo in una SpA diciamo che tutta la SpA non va bene.
Servirebbe allora, al contrario, un passo avanti da parte del Terzo settore, cioè passare da soggetto che denuncia dei problemi ad avere invece un ruolo attivo nella risoluzione degli stessi, oppure si tratta proprio della necessità di un’azione comune e unitaria del mondo cattolico nella politica italiana?
Secondo me bisogna lavorare su due fronti. Il primo è quello della cultura dell’economia civile, che portiamo avanti con Stefano Zamagni, e con tantissimi altri docenti in Italia, come Luigino Bruni, Vittorio Pelligra e tanti altri, e che abbiamo portato anche nel primo Festival nazionale dell’Economia civile, a Firenze. Quella cultura lì deve essere un bene pubblico, un qualcosa che sta sopra i partiti, di cui nessun partito deve appropriarsi come paternità, e anche il premier Conte è venuto al festival dichiarandosi a favore dell’economia civile. Quindi noi dobbiamo fare una battaglia per far sì che questo bene pubblico sia condiviso da tutti. E poi però ovviamente ci sta anche la scelta di una parte del nostro mondo di entrare in politica, di diventare cioè parte, per difendere ancora meglio questi valori, contro partiti che secondo noi non li rappresentano.
Francesco Gnani di Formiche.net ha intervistato l’economista Leonardo Becchetti, uno dei capofila in Italia dell’economia sociale.
Professore, partiamo subito dal nocciolo. C’è una guerra in corso contro le reti di solidarietà, come denuncia “Avvenire”?
C’è una svalutazione molto forte, culturale, del ruolo della solidarietà, che è un problema molto grave, perché in economia, e lo dico sempre, le risorse si moltiplicano quando c’è cooperazione, fiducia e solidarietà. Quindi minare alla radice questa idea della solidarietà non è solo negativo per chi riceve aiuti ma lo è proprio per l’economia. Perché produce un effetto negativo proprio su di questa. Lo si è visto innanzitutto con le dichiarazioni nei confronti della Caritas, e lo si è visto anche in alcuni provvedimenti che per fortuna poi sono rientrati, come il raddoppio delle tasse sugli enti del Terzo settore e adesso con la legge “salvacorrotti” che in realtà impediva l’avvicinamento delle organizzazioni da parte di chiunque si era occupato di politica fino a dieci anni prima.
La reazione del quotidiano della CEI è partita in questi giorni da un tweet di Salvini in cui si parlava di “mangiatoia dell’accoglienza” commentando la scelta della Caritas di non partecipare più ai bandi. Poi c’è il “business” delle case famiglia, i “taxi” delle ONG. Un linguaggio per molti livoroso. Perché? È una strategia, quella del capo della Lega, oppure bisognerebbe guardare più al sentimento diffuso tra gli elettori?
È assolutamente una strategia, nel senso che lui sa bene che da questi mondi non viene consenso nei suoi confronti e quindi gli fa gioco ridurne il prestigio. Però facendo questo gioco, che è un tornaconto biecamente elettorale, sta anche creando un danno al Paese, perché da che mondo è mondo la politica ha sempre avuto l’aiuto del Terzo settore e della società civile per risolvere i problemi sociali. Basti pensare alla storia delle monetine della Fontana di Trevi poi assegnate alla Caritas perché si riconosce che è la più attrezzata e organizzata per svolgere un servizio di sostegno nei confronti degli ultimi, dei più poveri.
E anche lì, in realtà, c’era stato qualche problema.
Sì, c’era stato un passo indietro ma poi ci hanno ripensato. Un politico che non ha un bias culturale , e che è intelligente, capisce il principio di sussidiarietà, che vuol dire che se c’è un’associazione vicina a un problema, e che ha una vocazione per risolverlo, conviene affidarle la gestione di quel problema, ovviamente all’interno di un quadro di regole definite dalla Pubblica amministrazione.
In effetti, molti tra i cattolici pensano che se la Lega ha ingaggiato una lotta con il mondo del Terzo settore, anche i Cinque stelle faticano a comprendere questo valore della sussidiarietà.
Diciamo che se si deve cercare una sponda per rintuzzare questi attacchi della Lega, la troviamo sempre e comunque tra i Cinque stelle. Anche se una parte dei Cinque stelle è più sensibile su questi temi, come per esempio sulla questione del “salvacorrotti”, alla fine tramite loro si è riusciti a fare qualcosa.
L’economista Zamagni ha parlato di aporofobia, una vera e propria “fobia del povero”, e poi di uno “Stato asociale”.
Io penso che la cosa più grave sia proprio il capovolgimento di ciò che è buono e ciò che non lo è. Quindi la demonizzazione della solidarietà, dell’accoglienza e dell’aiuto. Poi c’è un travisamento vero e proprio, e la gente dovrebbe capire che, razionalmente, non ha senso dire: non aiuto le persone che arrivano perché sono sfruttate. Bisogna combattere lo sfruttamento, non te la puoi prendere con lo sfruttato. Come dire al Buon samaritano che vede la persona assalita dai briganti: io non ti aiuto perché sono contro gli sfruttatori. È una cosa che non ha nessun senso. Però la cosa più incredibile è il sostegno degli italiani, non capire questa serie di mistificazioni cui stiamo assistendo, una dopo l’altra. Tutta una serie di promesse, una bolla di comunicazione che però gran parte dei cittadini non riesce a decifrare. Se una persona arriva qui, bisogna fare il possibile, tra l’altro, per fare in modo che non entri nella devianza o nella criminalità.
Se si mettono in fila tutte le varie questioni aperte nel volontariato e terzo settore, dall’accoglienza agli immigrati e alle ONG nel Mediterraneo, alle case famiglie, l’esclusione dei senza fissa dimora dal reddito di cittadinanza, la cancellazione del bonus baby sitter per le mamme, fino alle misure alternative per il reinserimento dei carcerati, qual è il quadro che emerge?
Un quadro molto nero, però io giustamente condivido la speranza e l’ottimismo del direttore Marco Tarquinio che dice che la solidarietà non muore mai anche se messa sotto attacco. E sono convinto che questo sia un periodo transitorio, che questa moda così nefasta passerà. Perché semplicemente è un modo di fare contrario alla natura e all’animo umano. Però bisogna essere allerta, essere tutti convocati e fare rete. Non bisogna mai demonizzare le persone, ma dobbiamo rispondere con forza, tutti insieme, quando vengono messi in pericolo punti cardine della nostra società. Su questo non si può transigere. Ed è interessante la storia della maratona, che ha visto creare una grandissima risposta dal basso, e l’organizzatore è tornato indietro. Io penso che dobbiamo assolutamente combattere questa battaglia.
Ci sono autocritiche che i soggetti del Terzo settore potrebbero o dovrebbero fare?
In ogni settore economico esistono problemi legati all’efficienza delle organizzazioni, ne esistono più o meno brave, ma questo vale dalle imprese chimiche a quelle farmaceutiche e anche a quelle del Terzo settore. Laddove si vede il pregiudizio, che è quando si prende un esempio negativo, la mela marcia, per buttare tutto il cesto, intero, delle mele sane. È anche quello che è successo con la cooperazione. Se si guardano i dati, a parte il valore in generale per il cooperato, la cooperazione in Italia ha un ruolo fondamentale, però la campagna pubblicitaria è stata nei confronti di organizzazioni come quelle legate a Mafia Capitale, cioè di quelle che rappresentavano le mele marce. Che però esistono dappertutto: non è che quando c’è un fallimento o un caso negativo in una SpA diciamo che tutta la SpA non va bene.
Servirebbe allora, al contrario, un passo avanti da parte del Terzo settore, cioè passare da soggetto che denuncia dei problemi ad avere invece un ruolo attivo nella risoluzione degli stessi, oppure si tratta proprio della necessità di un’azione comune e unitaria del mondo cattolico nella politica italiana?
Secondo me bisogna lavorare su due fronti. Il primo è quello della cultura dell’economia civile, che portiamo avanti con Stefano Zamagni, e con tantissimi altri docenti in Italia, come Luigino Bruni, Vittorio Pelligra e tanti altri, e che abbiamo portato anche nel primo Festival nazionale dell’Economia civile, a Firenze. Quella cultura lì deve essere un bene pubblico, un qualcosa che sta sopra i partiti, di cui nessun partito deve appropriarsi come paternità, e anche il premier Conte è venuto al festival dichiarandosi a favore dell’economia civile. Quindi noi dobbiamo fare una battaglia per far sì che questo bene pubblico sia condiviso da tutti. E poi però ovviamente ci sta anche la scelta di una parte del nostro mondo di entrare in politica, di diventare cioè parte, per difendere ancora meglio questi valori, contro partiti che secondo noi non li rappresentano.
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