Il Grande Torino, campioni diventati leggenda



Aldo Novellini    4 Maggio 2019       1

Cosa accadde all'aereo che stava portando il Torino a casa dopo la trasferta di Lisbona? Un guasto all'altimetro che fece credere al pilota di viaggiare ad una quota più elevata? O furono invece le nubi basse ad impedire la visibilità salvo poi, forse, diradarsi d'improvviso facendo intravedere al pilota la sagoma della Basilica di Superga, ormai troppo vicina per essere evitata? Sono questi gli ultimi interrogativi di quel tragico volo, destinati ovviamente a rimanere senza una risposta precisa.

Allo stesso modo non sapremo mai come si svolse il viaggio, prima del suo assurdo  epilogo. Possiamo solo immaginare che i giocatori, i dirigenti, i giornalisti presenti sull'aereo abbiano scherzato tra loro, bevuto magari qualcosa, letto qualche rivista o giornale. Che abbiano guardato fuori dai finestrini il paesaggio sottostante, provando a individuare, dopo il lungo tratto sul mare, gli incerti e sempre più nitidi contorni della costa ligure, poi le colline piemontesi, già pregustando l'imminente ritorno a casa, agli affetti familiari, alla vita di tutti i giorni, dopo quattro straordinari giorni a Lisbona. Un soggiorno che li vide ospiti di lusso della squadra del Benfica e della capitale portoghese, tra momenti trascorsi tra le sue strade e suoi monumenti, ricevimenti ufficiali e cena di gala, la sera prima della partenza.

E così può anche capitare a chi si trovi in vacanza a Lisbona – specie se è tifoso granata, ma non solo – di ripensare al Grande Torino, cercando di immaginare cosa possano aver visto i giocatori, dove possano essere andati, cosa fecero in quelle giornate portoghesi. Ultimi frammenti di spensieratezza, in attesa di un ritorno che non ci sarebbe mai stato.

In Portogallo – come ben sappiamo – il Torino andò per giocare contro il Benfica e salutare Josè Ferreira, colonna del calcio lusitano, che abbandonava il calcio. I granata avevano già in tasca il quinto campionato consecutivo, dopo un risicato pareggio con l'Inter a San Siro e con lo scudetto virtualmente cucito sulle maglie, il presidente della società, Ferruccio Novo, aveva dato il via libera al viaggio. Quasi una sorta di premio dopo un'altra stagione esaltante.

Due settimane prima, il 17 aprile vi era stata – certo nessuno poteva saperlo – l'ultima esibizione dei granata al Filadelfia: 3-1 al Modena, che lottava per non retrocedere ed  era persino passato in vantaggio. Alla rete dei canarini con Cavazzuti, seguì il pareggio di Mazzola e quindi, ma solo a sei minuti dal termine, il vantaggio con Menti e la rete della sicurezza con Ballarin. Poi ci sarebbero state due trasferte a Bari (1-1 con gol di Mazzola, l'ultimo della sua carriera) e a Milano, quindi l'8 maggio il ritorno tra le mura amiche contro la Fiorentina, magari per festeggiare ufficialmente l'ennesimo scudetto. E chissà quanti altri ne sarebbero seguiti ancora.

Invece, alle 17,03 del 4 maggio 1949, tutto svanì. Forse a bordo dell'aereo si sentì un boato, che in un istante cancellò ogni cosa. I passeggeri, tutti quanti, passarono dalla vita alla morte in un baleno, senza neanche avere il tempo di rendersene conto, con quello spaventoso schianto che travolse tutto. Un attimo dopo, ai piedi del muraglione della Basilica c'era solo il gelo della morte e quella magnifica squadra non esisteva più.

Mette sempre i brividi ricordarne i nomi, imparati a memoria sin da bambini: Bacigalupo, Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Ma vanno anche ricordati, Ballarin II, Martelli, Operto, Fadini, Grava, Schubert e Bongiorni. E poi i tecnici; Erbstein, Lievesley e Cortina; i dirigenti, Agnisetta e Civalleri; l'organizzatore del viaggio Bonaiuti; i tre giornalisti al seguito: Casalbore, Cavallero e Tosatti; e infine l'equipaggio: Meroni, Bianciardi, Pangrazzi e D'Incà.

A questi ultimi, spesso dimenticati, è dedicata una mostra fotografica al museo del Grande Torino di Grugliasco. E Torino rende omaggio ai caduti anche con un nuovo monumento al campo volo dell'Aeritalia, proprio nel luogo dove avrebbero dovuto tornare se non si fossero schiantati a Superga.

Settanta anni ci separano ormai da quel tragico 4 maggio, ma del Grande Torino resta perenne ed indelebile il ricordo: quello di una formidabile squadra, diventata leggenda e vinta – è proprio il caso di dirlo – soltanto dal fato.


1 Commento

  1. Il Grande Torino è per l’Italia simbolo di speranza e di riscatto dalle rovine della guerra. Il mito degli Invincibili ci ricorda che il Paese può risorgere anche oggi, se saprà liberarsi, in qualunque modo, dal giogo dell’austerità i cui effetti sull’economia sono stati, secondo l’ufficio Studi di Confindustria, peggiori di quelli della Seconda Guerra Mondiale.

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