La moneta deve servire, non comandare



Giuseppe Davicino    8 Aprile 2019       1

Alla vigilia degli Anni Venti molte nubi si addensano sul futuro del Paese, sull’Unione Europea e sulla tenuta di un equilibrio mondiale fra le potenze di questo secolo, che si va facendo sempre più fragile. L’Occidente ha bisogno di ritrovare al suo interno stabilità e coesione sociale, messi in discussione da trent’anni di politiche neoliberiste e di unilateralismo nelle relazioni internazionali, cavalcati dalle forze di sistema di destra e di sinistra nonché dall’Unione Europea che per molti versi costituisce la negazione della Comunità Europea e dell’idea di Europa che quest’ultima aveva elaborato prima della riunificazione tedesca.

Nell’importante articolo riportato da “Rinascita popolare”, l’economista Antonino Galloni individua la ragione principale della crisi di sistema in cui sta scivolando l’intero Occidente: un modello economico fondato su una esasperata competizione sulle esportazioni a scapito dei salari e della domanda interna, che ha comportato una drastica riduzione dei redditi e del tenore di vita della classe media e aumentato vistosamente le disuguaglianze. Tale processo ha prodotto un malcontento e un impoverimento così diffusi da determinare clamorosi rivolgimenti politici come la Brexit, l’elezione di Trump, il governo populista a Roma e persistenti venti di insurrezione popolare da parte dei gilet gialli in Francia.

E dunque il punto politico è il seguente: o si conviene sul fatto che solo cambiando con urgenza il verso delle politiche economiche e monetarie, anche nel caso in cui Bruxelles non sia d’accordo, si potrà erodere il terreno sul quale crescono i populismi, oppure la situazione è destinata ad avvitarsi su se stessa fino al punto da non poter escludere alcun tipo di sviluppo.

Confesso di fare una certa fatica a seguire il filo di certi discorsi politicisti che vagheggiano un nuovo impegno politico dei cattolici, un nuovo soggetto politico di centro, se tutto ciò non viene legato a un disegno politico preciso, chiaro, adatto alle necessità e all’emergenza del presente e capace di riscuotere consensi fra la classe media.

Occorre, peraltro, molto rispetto delle opinioni di coloro che ritengono, come già negli Anni Trenta, che l’Italia non abbia alternative al modello economico tedesco, scolpito nei Trattati di Maastricht e nell’Euro. Ma anche una ferma presa di distanza dall’idea che ottemperando ai vincoli europei, a suon di austerità per i prossimi lustri, l’Italia ritroverà la via della ripresa e l’integrazione europea ripartirà.

No, al contrario, dobbiamo dirci con chiarezza, ora, finché si è in tempo ancora a scongiurare il probabile disastro, che l’UE ordoliberista a guida tedesca è lanciata su un binario morto verso lo schianto, il collasso economico, sociale e politico. La Germania nelle guerre che intraprende, militari o commerciali (di surplus di bilancio) che siano, dimostra sempre schiacciante superiorità e, di successo in successo, marcia con coloro che la seguono verso la débâcle…Indirettamente lo conferma lo stesso Galloni parlando della Cina che persegue adesso obiettivi economici antitetici a quelli euro-tedeschi: “ crescita della sua domanda interna, dell’occupazione e dei salari”, non dissimili da quelli dell’America di Trump.

Ecco allora l’importanza, per tutti coloro che ne avvertono l’urgenza, di mettersi in gioco per rendere feconda la propria cultura politica riformatrice, nel nostro caso quella del popolarismo e del cristianesimo sociale, ragionando su quale forma organizzativa attribuire a un soggetto politico capace di presentarsi entro la scadenza delle prossime elezioni politiche con un programma e una strategia di cambio di paradigma, innanzitutto sulle politiche economiche e monetarie, e per questo capace di erodere consenso ai populisti, presso quella larga parte di ceti medi e lavoratori che li hanno votati e che, purtroppo, in massa ancora li voteranno alle prossime Europee, per assenza di partiti realmente loro concorrenti sul terreno della rappresentanza degli interessi di questi ceti sociali.

E che tali politiche espansive, anticicliche e volte a rianimare la domanda interna, siano tecnicamente fattibilissime, ce lo dimostrano i migliori economisti. Nino Galloni propone l’introduzione di una moneta non a debito per raggiungere il pareggio di bilancio senza gelare l’economia reale con una insostenibile stretta fiscale.

Un altro “pericoloso rivoluzionario”, Paul de Grauwe, uno dei padri dell’Euro e fra i massimi esperti di economia europea, con alle spalle importanti incarichi nel Fondo monetario internazionale e nella Banca centraleeuropea, ha recentemente ricordato che, a statuto vigente della BCE, risulta possibile creare moneta verde senza produrre inflazione, e dunque finanziare la sostenibilità ambientale, sociale, sul piano dei trasporti, della vivibilità delle città, della qualità del cibo e dell’aria. Ciò per il semplice fatto che la BCE a partire dal 2015 ha già creato 2.600 miliardi di euro di nuova valuta col Quantitative Easing.

Questa enorme creazione di denaro per le banche può benissimo – spiega l’autorevole economista belga in un suo articolo –  essere reindirizzata all’economia reale. Perché, una volta affermato il principio, contro il monetarismo tedesco, che la moneta non deve (più) comandare, bensì servire, servire per scopi utili all’umanità, l’ambiente, ma anche il lavoro, le infrastrutture, la cura e la manutenzione del territorio per prevenire il rischio delle calamità naturali eccetera, si vedrebbe che ciò che ha portato alla lunga stagnazione economica, all’impoverimento della classe media e ai drastici mutamenti degli orientamenti elettorali non aveva alcuna necessità economica per esser attuato. Anzi, si è rivelato nocivo sul piano economico come pure su quello sociale e su quello politico.

Il fatto che siano possibili e perfettamente fattibili politiche economiche e monetarie alternative alla attuale deriva ordoliberista dell'Unione Europea che sta producendo gravissime lacerazioni fra le classi sociali e fra gli Stati membri, esponendoci tutti a rischi incalcolabili per il futuro prossimo, va vissuto come un ulteriore stimolo a sentire la responsabilità del momento storico prima che venga il giorno in cui la storia ci scarichi addosso le conseguenze delle scelte o delle omissioni del presente.


1 Commento

  1. Sono totalmente d’accordo con le analisi di Davicino e con Galloni. Il vero problema dell’Europa, per poter passare dalle parole ai fatti per l’applicazione di un piano tipo quello delineato da Davicino, consiste nel fatto, tutto spirituale (concetto di appartenenza politico-culturale), di sentirsi in qualche modo nazione (anche la poliglotta Svizzera lo è, anche la URSS si definiva nazione costituita da più nazionalità), cioè di avere una concezione di se stessa che comporti la messa in comune di tutto secondo schemi di sintesi che vengono avvertiti dall’intero popolo europeo organizzato nell’attuale UE (o da una sua cospicua parte disposta a passare all’unione politica) come un vantaggio per tutti. Senza di ciò non sarà mai possibile una politica economica (e non solo economica) comune da attribuirsi ad una vera e propria Federazione Europea. Temo che quanto ebbi a scrivere in precedenza circa la qualificazione della UE come “ircocervo anarcocapitalistico” che sostanzialmente assegna alle istituzioni europee il compito di regolamentare una sorta di concorrenza tra i vari “sistemi paese” (esasperatosi dall’unificazione tedesca in poi) che la costituiscono tirando ognuno l’acqua al proprio mulino senza finalità di creare un centro comune di interessi, che, anziché sancire passivamente il peso di ciascuno stato membro, stabilisca una giustizia distributiva al suo interno e, sulla scorta di un interesse comune ben individuato, fissi anche una strategia geopolitica federale che tratti unitariamente con gli altri poli continentali, impedisca anche solo la visione dell’Europa come uno stato federale continentale al pari effettivamente sovrano ed equidistante da tutti gli altri poli strategici continentali.
    Solo la cultura umanistica (mai scesa così in basso come oggi grazie al trionfo della cultura tecnologica, basata sul più becero materialismo che trasforma l’uomo in un volgare “fattore di produzione”), l’unica capace di creare delle identità politico-culturali, potrebbe risvegliare le coscienze. Senza di ciò ci sarà sempre e solo una dialettica tra “responsabili ragionevoli”, fautori di uno status quo atlantico già di suo in disfacimento, anche se si cerca di negarlo, ingenuamente “anarchico-capitalistico”, ormai chiaramente perdente, fuori tempo storico (siamo in tempi di grandi sovranismi continentali concertanti, gli unici che possono creare un nuovo ordine mondiale stabile: pochi interlocutori ed equilibrati per potenza) e del “malpancismo” senza costrutto alcuno affermato dai nanosovranisti antieuropei. Ma ripeto senza una nuova cultura umanistica che ripensi anche la visione antropologica dell’uomo nessun nuovo ordine sia europeo che mondiale sarà mai possibile.

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