Da Verona gli opposti estremismi



Giorgio Merlo    2 Aprile 2019       3

Sin da ragazzo, dai corsi di formazione alla politica guidati dai “maestri” della sinistra DC e da autentici cattolici democratici e popolari – nel mio caso da Carlo Donat-Cattin a Sandro Fontana, da Guido Bodrato a Luigi Granelli – ho imparato sostanzialmente due cose, tra le molte che si potrebbero citare quando si parlava di fede e politica e del rapporto tra i cattolici e la politica. Innanzitutto la fede, quando diventa un fatto pubblico, non può mai trasformarsi in un randello da scagliare contro l’avversario. Perché altrimenti si corre il rischio, peraltro concreto, che proprio la fede diventa intolleranza, fondamentalismo e integralismo. In secondo luogo la fede di una persona o di un gruppo di persone che si riconoscono in un movimento politico o partitico, non può mai essere strumentalizzata e piegata per un fine di mero consenso elettorale. Se in un passato lontano, o meno lontano, è stata utilizzata per questo fine non è una buona ragione per consolidare quella deriva e quella degenerazione.

Ora, per fermarsi al convegno di Verona sulla famiglia al centro di violente e sgangherate polemiche, noi abbiamo assistito non solo a quei due rischi che denunciavo all’inizio ma anche alla riproposizione, attorno ad un tema etico, religioso, culturale e politico così delicato e così complesso, del ritorno degli “opposti estremismi”. Opposti estremismi che è stato talmente semplice verificare e toccare con mano al punto che erano anni, se non decenni, che non assistevamo più a queste contrapposizioni frontali e persin violente, appunto. Un cliché che, purtroppo, ha accompagnato lo sviluppo e la crescita della stessa democrazia nel nostro paese dove una destra clericale e integralista si contrapponeva spesso ad una sinistra laicista, libertaria con profonde venature anticattoliche e senza esclusione di colpi. Una delegittimazione reciproca dove il tutto veniva sacrificato sull’altare di una incomunicabilità preconcetta e pregiudiziale.

Però, e qui c’è la profonda differenza tra ieri e oggi, si registra purtroppo l’assenza – e lo dico senza alcuna tentazione nostalgica – di un movimento/partito capace di declinare sino in fondo la laicità dell’azione politica, di manifestare pubblicamente la propria ispirazione cristiana senza derive clericali o confessionali, e Infine di saper dispiegare un progetto politico senza alcuna ipoteca integralistica. Insomma, manca un partito come la Democrazia cristiana, o il più striminzito Partito popolare di Martinazzoli capaci di battere gli “opposti estremismi” attraverso la politica, la laicità dell’azione politica, la cultura della mediazione, il riconoscimento del pluralismo e la predisposizione a comprendere le ragioni dell’avversario senza puntare al solo annientamento del “nemico”.

La scomparsa di questi elementi discriminanti per una vera cultura democratica segnano anche il ritorno della destra contrapposta alla sinistra, degli integralisti contrapposti ai laicisti e della fretta a demolire e a distruggere gli avversari piuttosto che privilegiare il confronto e il dialogo.

Ora, è inutile rimpiangere un passato che non ritorna più. Semmai, e al contrario, la responsabilità di questa regressione democratica e di questa caduta della qualità della democrazia italiana, è solo ed esclusivamente di quei cattolici democratici popolari – cioè di chi è stato educato con quella cultura e con quello stile – che hanno sistematicamente abdicato alla propria “mission” e anche al proprio dovere di democratici e di cristiani.

Anche dal convegno di Verona e dalle roventi polemiche che l’hanno accompagnato, dunque, arriva un messaggio preciso e quasi perentorio. Forse è giunto il momento di ripartire davvero. A livello politico con la riscoperta e la riproposizione di una “politica di centro” e di una “cultura di centro”; a livello culturale con la riattualizzazione del pensiero cattolico democratico e popolare e a livello personale con il recupero di uno “stile” che ha caratterizzato il comportamento e il modo d’essere dei grandi statisti e leader democristiani quando si affrontavano temi delicati e difficili come quelli che in questi giorni sono stati al centro di mille polemiche e di radicali contrapposizioni.


3 Commenti

  1. L’ispirazione cristiana come fondamento per il nostro modello di società, la laicità del partito e la politica intesa come servizio sono stati i cardini dell’agire dei democristiani della generazione di coloro che hai, caro Merlo, citato come tuoi maestri. La strada non sarà nè breve nè facile, ma è quella giusta. Coraggio!

  2. Giorgio, come ben sai apprezzo e di molto i tuoi scritti, perché sono scorrevoli ed allo stesso tempo esplicativi. Però permettimi, lo dico a te e penso a tantissimi altri amici: basta per qualsiasi problema sviscerare la dottrina cattolica, elencarne i fondamenti, i pregi, lamentarsi perché non c’è il partito cattolico. Che non ci sarà mai più e nemmeno il centro così come lo immaginiamo. Guardiamo in faccia alla realtà: Verona non è niente altro che la risposta al mondo LGBT (non so se è scritto giusto), alle magliette oscene indossate dalla Cirinnà, agli applausi da stadio da parte del Pd quando è stata approvata la legge sulle unioni civili, al trionfo con cui alcuni sindaci celebrano i matrimoni gay etc. E’ pacifico che prima o poi si arrivasse alla esagerazione dall’altra parte. Punto e basta, ogni volta che non si ha la forza o il coraggio di intervenire quando si potrebbe e sarebbe necessario, dopo bisogna accettarne le conseguenze. Aveva ben ragione il filosofo Diego Fusaro a dire: la battaglia per i diritti civili non è niente altro che un’arma di distrazione di massa. Poi i temi del convegno non erano neanche male, ma altrettanto non si può dire dei protagonisti.
    Concludo pur avendo criticato prima fede e cattolicesimo, che la posizione migliore su Verona è stata quella del Segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin che così disse. “D’accordo nella sostanza, non nelle modalità” . Lapidario. Da apprendere e far tesoro.

  3. Caro Giorgio, si, tutto giusto, ma in questo momento storico in cui dobbiamo subire una semplificazione, una regressione, un involuzione delle dinamiche politiche. In questa realtà politica e sociale in bianconero o in gialloverde, forse si deve stare da una parte precisa, chiara.
    Emblematico il commento di Annamaria Furlan, in 30 righe riesce a dire niente, anzi, non riesce a definire neanche uno straccio di famiglia “naturale” o “generativa” (come si legge sul bel documento del convegno di Roma), per concludere che le “conquiste democratiche” (leggasi l’aborto) non si toccano.
    In fondo a Verona si sarà sbagliato il metodo (?) ma si è detto solo che l’aborto è un omicidio e che la famiglia generativa è quella indicata nel vangelo, mentre nelle contro manifestazioni si sono sbagliati metodi e contenuti.
    Caro Giorgio, mentre offrivamo ramoscelli d’ulivo a sinistra per cercare il dialogo, la “sinistra laicista, libertaria con profonde venature anticattoliche” (come la definisci tu), non faceva un passo verso un nuovo umanesimo, anzi siamo stati noi a perdere identità e a abdicare sui valori non negoziabili, tanto da finire per accontentarci di “supercazzole” come quelle scritte dalla Furlan.

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