Il Centro non si riduce ai cattolici



Rodolfo Buat    21 Marzo 2019       0

In recenti articoli di “Rinascita Popolare” ritorna in più occasioni l’idea di una ricomposizione del Centro politico in Italia. Un Centro che abbia alla propria radice anche, ma non solo, una forte ispirazione cristiana. Queste suggestioni si incrociano inevitabilmente con la ricorrenza del centenario della Fondazione del Partito Popolare Italiano con la guida di don Luigi Sturzo.

Per chi deve la propria formazione politica all’esperienza nella Democrazia Cristiana e nel Partito Popolare più recente si tratta di un richiamo molto forte e ricco di fascino. E pur tuttavia, accantonate le ragioni del cuore, appare evidente, come dice Padre Giacomo Costa su “Aggiornamenti Sociali”, che “cercare nelle parole del passato istruzioni per i problemi del presente espone a rischiosi cortocircuiti”. Non a caso l’editoriale del Direttore della rivista si intitola “Per una nuova generazione di ‹liberi e forti›” e sceglie come filo conduttore l’Appello ai liberi e forti del 18 gennaio 1919. Un testo, quindi, non un partito. Perché “la potenza di un testo come l’Appello ai liberi e forti non risiede nelle soluzioni, ma nel continuare a rappresentare una fonte di ispirazione per la modalità con cui si approcciano i problemi nuovi e quelli che nel tempo si sono modificati”.

Un invito ai cattolici a ripartire dai contenuti e non dalla forma partito, dunque, ma pur sempre un invito a ripartire. Sullo sfondo: il forte progetto di libertà che “se non è disponibile a tutti, è oppressione degli uni sugli altri e odioso privilegio”; la necessità di rifondare l’autorità non sul potere, ma sulla responsabilità; la consapevolezza che la sovranità autentica nel mondo moderno non può che incontrarsi con l’esigenza di forti relazioni internazionali e in particolare di un’Europa “politica”.

Non credo ci possano essere dubbi sugli stimoli provenienti oggi da un certo mondo cattolico. Su “L’Espresso” del 3 febbraio scorso ritorna su questi temi con un’intervista Padre Antonio Spadaro. “Senza partecipazione la democrazia si atrofizza”, dice il Direttore di “Civiltà Cattolica”. “E la democrazia esige rappresentanti, capaci di ascoltare i movimenti del mondo reale e di tradurli in azioni politiche”. I cristiani possono (e debbono) contribuire a una sana democrazia e a un governo veramente popolare del Paese, ma “in un tempo in cui il bisogno di partecipazione si sta esprimendo in forme e modi nuovi, non è possibile tornare all’‹usato garantito› o alle retoriche già sentite. Non basta più neanche un’unica tradizione politica a risolvere i problemi del Paese”.

Quindi i cattolici non possono essere soli, ma devono avvicinarsi a chi, pur partendo da altre visioni del mondo, sente forte l’esigenza di superare le insidie di una politica che vira verso posizioni e atteggiamenti lontani dal rispetto per la persona umana, dall’utilizzo del dialogo nella lotta politica, dalla ricerca di ogni opportunità di cooperazione fra i popoli.

Nel tornare all’idea del Centro, allora, occorre iniziare a chiedersi: Con chi? Come? Con quali contenuti?

Certamente innanzitutto con i movimenti del mondo reale richiamati da Padre Spadaro, e cioè (penso) quei movimenti che vivono in presa diretta i grandi processi di trasformazione dell’economia e della società e che al tempo stesso sono mossi dai principi di libertà e solidarietà umana e civile (oggi riscoperti un po’ da tutti con la definizione di “corpi intermedi”). Poi dando vita a occasioni di formazione e di impegno culturale, finalizzati anche alla ricostruzione dei paradigmi del pensiero liberale che ha animato la nascita della democrazia moderna. Sono questi i primi due passaggi che consentiranno di identificare contenuti e progetti coerenti su cui orientare l’impegno politico.

Il Centro prima ancora che un soggetto politico, deve essere un modo di concepire la politica che possa sfidare i falsi innovatori e i veri conservatori. I primi molto visibili dalle parti del Governo del Paese. I secondi molto ben radicati nel polo moderato, ma anche nelle diverse articolazioni di quella che oggi si chiama “sinistra radicale”. Infatti, se dobbiamo oggi constatare il fallimento delle politiche cosiddette neo-liberiste, responsabili di aver alimentato profonde fratture fra le classi sociali, non possiamo ignorare che le esperienze dirigiste dell’economia e della società hanno alimentato e alimentano in tutte le parti del mondo totalitarismo, parassitismo e corruzione.

Vi è certamente la necessità di rieducare alla democrazia, ristabilendo la passione per i fini cui essa deve essere orientata, che sono insieme di liberà e solidarietà, con fiducia nell’innovazione, nella sperimentazione, nella crescita civile. Proprio i giorni difficili dell’attuale profonda trasformazione economica e sociale ci devono spingere Italia e in Europa ad arare il terreno dell’impegno e soprattutto dell’impegno politico dei cattolici. Il panorama politico europeo è in forte movimento, sollecitato dai bisogni di una società alla ricerca di nuovi equilibri di convivenza. Le forze politiche esistenti difficilmente saranno in grado di interpretare il nuovo rimanendo uguali a se stesse.

Ma può, oltre a questo, oggi, emergere realisticamente un nuovo partito politico? È questo soggetto politico, per così dire, necessario per il consolidamento della democrazia in Italia?

È certamente un tema molto complesso, collegato anche alla realtà istituzionale ed elettorale, su cui possiamo anche tenere aperta la riflessione, che tuttavia non ci deve impedire di lavorare sull’obiettivo diverso e non riduttivo della ricostruzione dell’area centrista, come detto più ampia di quella per così dire “cattolica”. Così come non va sottovalutata nell’immediato l’azione di molti nelle forze politiche esistenti.

Numerosi cattolici per esempio hanno cercato, insieme con altri ambienti politici liberali, di rappresentare nel Partito Democratico una posizione di Centro in una alleanza con la Sinistra. Una parte importante di noi ritenne inopportuna una fusione a freddo di storie e visioni politiche molto differenti, preferendo un modello di tipo federativo che mantenesse vive le diverse specificità. Prevalse una visione illuministica o dogmatica (anche in molti cattolici), che ha avuto qualche ragione, ma certamente non tutte le ragioni, e che ha portato alla fondazione di un soggetto nuovo con una fragile identità, il PD appunto. Pur tuttavia, dobbiamo riconoscere che questo sforzo non ha annullato i diversi modi di leggere la politica. Il Centro ha sicuramente dovuto sacrificare qualcosa nel rapporto con una Sinistra ancora alle prese con la sua eredità, ma non ha sacrificato tutto. A ben guardare, forse per caso o forse no, nei decenni di vita del Centro-Sinistra, organizzato infine nel PD, le due componenti fondamentali del Centro e della Sinistra si sono alternate nella leadership del Paese (quando ve ne è stata l’occasione) e del partito. Giorgio Napolitano, per esempio, ha passato il testimone a Sergio Mattarella. Luigi Bersani ha passato a Matteo Renzi, il testimone ricevuto da Dario Franceschini e oggi raccolto da Nicola Zingaretti. Prima del nuovo corso giallo-verde, l’Italia ha avuto tre presidenti del consiglio iscrivibili tutti all’area centrista, Letta, Renzi e Gentiloni. E non abbiamo menzionato il ruolo determinante di Romano Prodi.

L’anniversario dell’Appello ai liberi e forti forse oggi ci può ricordare, tuttavia, che la rilevanza politica non si gioca solo sul terreno della presenza o della leadership (frammentata peraltro in tante individualità), ma sulla capacità di esprimere l’energia della società civile nella politica. E qui forse i “centristi” del PD hanno talvolta, e non tutti, smarrito la strada, lasciando che prevalesse una sorta di giovane notabilato, un po’ distante da quella che Benigno Zaccagnini chiamava la “politica come servizio”. A questo proposito è ben curioso che il 2019, insieme all’anniversario dei “Liberi e Forti”, sia anche l’anniversario della nascita di Carlo Donat Cattin, che della politica come espressione del radicamento sociale è stato uno fra i migliori interpreti della storia italiana. In effetti proprio in Donat Cattin l’impegno sociale precedette quello politico e in politica non ebbe bisogno di un nuovo partito (cui peraltro pensò) per affermare la sua rilevanza. Bastarono la sua capacità organizzativa, la passione per le idee e i progetti, la capacità di condividere la sua azione politica.


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