La Conferenza di Palermo sulla Libia era stata celebrata dal premier Conte come un grande successo italiano per la stabilizzazione della nostra ex colonia. Ma è davvero cosi? Dalle ultime notizie si potrebbe dire che la Total avanza mentre l’Italia guarda!
In Libia non è solo in gioco il prestigio internazionale dell’Italia e la tutela degli interessi delle tante società che operano nel territorio libico ma è in gioco la nostra sicurezza nazionale. Lo scontro tra due governi rivali: uno guidato dall’uomo forte della Cirenaica Haftar, sostenuto dalla Francia nonché dalla Russia e dagli Emirati Arabi, l’altro il cosiddetto Governo di Accordo Nazionale, sostenuto dall’ONU e dal governo Italiano, presieduto da Fayez al-Sarraj ha trasformato questa area in un centro di anarchia in prossimità delle coste italiane. Tale situazione dovrebbe suggerire al nostro governo di considerare ogni opzione sul campo.
Ma facciamo un passo indietro. Anzi due. La Libia come entità statuale è una creazione recente essendo sorta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il Paese sotto la guida del re Idris I al Senussi prese le sembianze di una monarchia costituzionale a “ispirazione federale”, confermando il ruolo delle tribù quali autorità politiche a livello locale. Ma a causa della neutralità assunta dal monarca nel 1967 durante la Guerra dei sei giorni, alla fine si giunse ad un colpo di Stato militare guidato da Gheddafi, che portò alla proclamazione della Repubblica. A sostegno del nuovo regime intervenne Gamal Nasser e il suo Egitto che mandò i sui funzionari a partecipare attivamente alla riorganizzazione dello stato libico. Ne uscì un’organizzazione fortemente centralizzata, ideologizzata con l’obbiettivo di rivoluzionare la struttura tribale del potere nel Paese. A tale scelta interna corrispose sul piano internazionale la ricollocazione della Libia sul fronte del panarabismo, che mise fine alla politica filo-occidentale della fase monarchica.
Per consolidare la legittimità del suo potere, Gheddafi rinfocolò l’ostilità anti-italiana, essendo questo un tema di riscossa molto gradito a tutti i gruppi tribali del Paese. A questo seguì un caso unico nei rapporti di un Stato europeo e una sua ex colonia: l’istituzione della “giornata della vendetta”, che sanciva la commemorazione annuale dell’espulsione degli italiani, e la rivendicazione di un nuovo risarcimento per i danni arrecati alla Libia a partire dal 1911. Tra sfide plateali e trattative sottobanco con Roma il Colonnello continuò a consolidare il suo potere interno e sebbene teorizzò lo smantellamento della società libica tradizionale fu molto attento nel compensare il primato delle tribù della Tripolitania nelle posizioni di governo e negli apparati amministrativi redistribuendo anche una discreta ricchezza con i sussidi statali che elargiva su tutto il territorio.
Dopo la fase calda del 1969-1970, fecero seguito le intese stipulate dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti nel 1972, che garantirono il ritorno di alcune società italiane in territorio libico. La funzione “stabilizzante” della Libia di Gheddafi non fu mai rinnegata dal governo italiano neanche durante la crisi diplomatico-militare del 1986. Dopo questo evento, la Libia rimase sostanzialmente isolata e trovò nell’Italia il suo unico interlocutore occidentale. Il primo tentativo volto a chiudere definitivamente il contenzioso ereditato dall’epoca coloniale fu avanzato dal primo governo di Romano Prodi nel 1998 anche se non fu mai ratificata dal parlamento perché non prevedeva alcun cenno ai beni confiscati agli italiani nel 1970.
Come si può notare un elemento di continuità della nostra politica estera è sempre stata avere una “relazione privilegiata” con la nostra ex colonia. Nel 2003 con l’incontro del presidente Silvio Berlusconi ci fu la svolta nelle relazioni tra Libia e Italia. Accordi poi confermati dal secondo governo Prodi e ribaditi anche in un incontro del novembre 2007 tra il ministro degli Affari esteri Massimo D’Alema, il suo omologo Abdelrahm Shalgam e il rais. All’intensificarsi delle relazioni politiche seguirono anche l’intensificarsi dei rapporti commerciali ponendo l’italiana ENI in una posizione di forza difficilmente attaccabile nel settore del gas libico.
Nel 2011, poi, abbiamo assistito inermi alle cosiddette “Primavere Araba” che di primavera alla fine non ebbero quasi niente. Quella libica in particolare si caratterizzò subito con connotati distinti. Infatti i clan opposti ai Gheddafi sostenuti dalla Francia in particolar modo ma anche da UK, Turchia, Qatar, Emirati Arabi e alla fine anche dalla Clinton cavalcarono l’effetto snowballing delle proteste indotte e si riunirono in un Consiglio Nazionale di Transizione. Gheddafi alla fine fu ucciso il 20 ottobre catturato solo grazie ai bombardamenti francesi. La Francia infatti, si appellò al “principio di ingerenza umanitaria” formulato nel 1999 per la missione in Kosovo, per bombardare il Paese. Inoltre gli Stati Uniti con la presidenza Obama spostarono l’attenzione dal Medio-Oriente al quadrante Asia-Pacifico con il “pivot to Asia” e lasciarono di fatto campo libero ai loro alleati nelle zone non considerate più strategiche.
L’Italia nel periodo compreso tra febbraio e l’aprile 2011 ebbe un atteggiamento orientato alla prudenza. Questo tentennamento italiano si confrontò e scontrò con l’atteggiamento spregiudicato della Francia e dell’UK che portò alla fine una guerra civile a 300 km da Lampedusa. L’ONU varò a quel punto la missione “Usmil” nata con l’obiettivo di stabilizzare il paese e traghettarlo verso un rilancio economico. Nel frattempo il nuovo inquilino della Casa Bianca, Trump, non offrì alcuno appoggio concreto, se non di facciata, al presidente al-Sarraj che di fatto ha avuto difficoltà persino a controllare la capitale Tripoli. La posizione del governo italiano è quella di continuare a sostenere il Governo di Accordo Nazionale presieduto da al-Serraj così come confermato dal Premier Conte in questi giorni, a Sharm el-Sheik a margine del primo summit UE-Lega Araba. Sul campo però, la situazione ci sta sfuggendo di mano.
È notizia del 12 febbraio che l’Esercito Nazionale Libico di cui Haftar è comandante, ha annunciato di aver preso il controllo del più importante giacimento petrolifero libico. Dopo aver occupato Sheba, e il campo petrolifero di Sharara, ha occupato anche l’area gestita da ENI “El Feel” senza bisogno di combattere. Haftar sostenuto dalla Russia e dalla Francia sta cercando con il suo esercito di riportare l’ordine nella regione ed ergersi a unificatore della Nuova Libia in vista delle prossime elezioni. Il momento è molto delicato perché per la prima volta sembra esserci una road map molto concreta: Conferenza Nazionale, referendum e emendamenti costituzionali e infine elezioni. Tutto questo entro l’anno. Le mosse del Generale Haftar rischiano di bloccare tutto questo processo e rischiano anche di estromettere l’ENI a favore della francese TOTAL. Il governo italiano quindi, sembra essere preso in contropiede dalle mosse dell’uomo forte della Cirenaica anche se il nuovo ambasciatore, Giuseppe Buccino, si è messo subito al lavoro incontrando nei giorni precedenti l’inviato dell’ONU, Salamé, e il generale Haftar per colloqui sugli sviluppi della situazione nella regione meridionale del Fezzen. Il problema però è che il Governo di Accordo Nazionale è privo di un reale e incisivo supporto da parte del governo italiano e quindi Haftar continua l’avanzata senza una adeguata resistenza.
Si può dire quindi che gli obbiettivi strategici della Francia, che come abbiamo visto nel 2011 iniziò a sottrarre all’Italia l’influenza sulla Libia, sembrano andare avanti senza nessun ostacolo concreto. Sarebbe opportuno a questo punto che il governo italiano agisca immediatamente prima che Haftar sfrutti l’imminente Conferenza Nazionale della Libia per mettere la comunità internazionale di fronte al fatto compiuto. E’ necessario quindi, rendersi conto che l’Italia ha bisogno di garantirsi gli approvvigionamenti energetici (prendiamo dalla Libia 1/5 del fabbisogno petrolifero e 1/3 di quello di gas), ed è necessario mantenere la Libia unita evitando una “balcanizzazione”. L’Italia si trova ad un bivio: o concede un reale supporto, anche strategico/militare, ad al-Serraj e alle locali tribù Tebu (che sono in ottimi rapporti con l’Italia e sono le uniche che si sono realmente opposte ad Haftar) oppure sarà il caso di cambiare strategia.
Per fare questo il nostro Paese deve necessariamente dialogare con gli attori internazionali che sostengono Haftar e dunque principalmente con la Francia e la Russia. Se con Macron è attualmente molto complesso immaginare un dialogo non solo per l’atteggiamento che l’Eliseo ha avuto nei nostri confronti fin dal 2011 ma anche visto gli ultimi scontri diplomatici a causa del caso “sui gilet gialli”. Con Putin invece, potrebbero esserci maggiori possibilità di collaborazione. Le preoccupazioni di una parte degli osservatori, che vedono il coinvolgimento di Putin paragonabile a quello in Siria e del tutto pretestuoso perché Mosca in questo caso, da grande esclusa del dopo Gheddafi, intende solo far valere i propri interessi nell’ambito di una mediazione piuttosto che nel proseguimento di una escalation militare. Si potrebbero sfruttare i buoni e consolidati rapporti con la Russia in funzione anti francese per cercare un obbiettivo comune strategico sulla Libia, e riportare Haftar a più miti consigli. Altro elemento importante è l’alleanza tra i due giganti degli idrocarburi, ENI e Rosneft, che potrebbe esserci molto utile. Per anni ENI con il suo cane a sei zampe, è stata una sorta di monopolista dell’estrazione libica e la Russia avrebbe tutto l’interesse a non andare contro un partner fondamentale per il gas nel Mediterraneo, visto anche l’intreccio egiziano.
Alla luce di questo l’Italia potrebbe sfruttare il suo capitale di fiducia con alcuni attori tripolini per mediare un accordo intra-libico con Mosca. In questo modo si potrebbe spingere, grazie all’asse con Putin, la comunità internazionale a stabilizzare il Paese, cosa per noi strategica non solo a tutela dei nostri interessi economici ma anche per impedire un asse fra Mosca e Parigi che per noi sarebbe un colpo durissimo.
Almeno ché l’Italia non intenda inviare soldati a sostegno di al-Saraj è indispensabile trovare subito un accordo diplomatico con la Russia. Se il governo invece continuerà a lusingarsi delle vuote parole di Trump sulla Libia e a non capire il neo-isolazionismo statunitense, allora possiamo dire addio al gas e al petrolio libico e aspettarci con l’arrivo dell’estate nuove ondate migratorie dalla Libia. Infatti sullo sfondo di questo rebus di interessi geopolitici resta la questione migratoria per noi cruciale, sia in termini di ordine pubblico che in termini umanitari, e sulla quale dobbiamo agire con prospettiva e coraggio.
In conclusione, non possiamo sottrarci alle responsabilità che derivano dalla Libia né tanto meno ignorare che in quel Paese c’è in ballo una questione di sicurezza nazionale quindi tutte le opzioni dovrebbero essere prese in considerazione. Il rischio altrimenti, è subire come nel 2011, scelte di altri Paesi che evidentemente sono a noi ostili. Ogni riferimento alla Francia è puramente voluto.
(Tratto da www.farefuturofondazione.it)
In Libia non è solo in gioco il prestigio internazionale dell’Italia e la tutela degli interessi delle tante società che operano nel territorio libico ma è in gioco la nostra sicurezza nazionale. Lo scontro tra due governi rivali: uno guidato dall’uomo forte della Cirenaica Haftar, sostenuto dalla Francia nonché dalla Russia e dagli Emirati Arabi, l’altro il cosiddetto Governo di Accordo Nazionale, sostenuto dall’ONU e dal governo Italiano, presieduto da Fayez al-Sarraj ha trasformato questa area in un centro di anarchia in prossimità delle coste italiane. Tale situazione dovrebbe suggerire al nostro governo di considerare ogni opzione sul campo.
Ma facciamo un passo indietro. Anzi due. La Libia come entità statuale è una creazione recente essendo sorta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il Paese sotto la guida del re Idris I al Senussi prese le sembianze di una monarchia costituzionale a “ispirazione federale”, confermando il ruolo delle tribù quali autorità politiche a livello locale. Ma a causa della neutralità assunta dal monarca nel 1967 durante la Guerra dei sei giorni, alla fine si giunse ad un colpo di Stato militare guidato da Gheddafi, che portò alla proclamazione della Repubblica. A sostegno del nuovo regime intervenne Gamal Nasser e il suo Egitto che mandò i sui funzionari a partecipare attivamente alla riorganizzazione dello stato libico. Ne uscì un’organizzazione fortemente centralizzata, ideologizzata con l’obbiettivo di rivoluzionare la struttura tribale del potere nel Paese. A tale scelta interna corrispose sul piano internazionale la ricollocazione della Libia sul fronte del panarabismo, che mise fine alla politica filo-occidentale della fase monarchica.
Per consolidare la legittimità del suo potere, Gheddafi rinfocolò l’ostilità anti-italiana, essendo questo un tema di riscossa molto gradito a tutti i gruppi tribali del Paese. A questo seguì un caso unico nei rapporti di un Stato europeo e una sua ex colonia: l’istituzione della “giornata della vendetta”, che sanciva la commemorazione annuale dell’espulsione degli italiani, e la rivendicazione di un nuovo risarcimento per i danni arrecati alla Libia a partire dal 1911. Tra sfide plateali e trattative sottobanco con Roma il Colonnello continuò a consolidare il suo potere interno e sebbene teorizzò lo smantellamento della società libica tradizionale fu molto attento nel compensare il primato delle tribù della Tripolitania nelle posizioni di governo e negli apparati amministrativi redistribuendo anche una discreta ricchezza con i sussidi statali che elargiva su tutto il territorio.
Dopo la fase calda del 1969-1970, fecero seguito le intese stipulate dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti nel 1972, che garantirono il ritorno di alcune società italiane in territorio libico. La funzione “stabilizzante” della Libia di Gheddafi non fu mai rinnegata dal governo italiano neanche durante la crisi diplomatico-militare del 1986. Dopo questo evento, la Libia rimase sostanzialmente isolata e trovò nell’Italia il suo unico interlocutore occidentale. Il primo tentativo volto a chiudere definitivamente il contenzioso ereditato dall’epoca coloniale fu avanzato dal primo governo di Romano Prodi nel 1998 anche se non fu mai ratificata dal parlamento perché non prevedeva alcun cenno ai beni confiscati agli italiani nel 1970.
Come si può notare un elemento di continuità della nostra politica estera è sempre stata avere una “relazione privilegiata” con la nostra ex colonia. Nel 2003 con l’incontro del presidente Silvio Berlusconi ci fu la svolta nelle relazioni tra Libia e Italia. Accordi poi confermati dal secondo governo Prodi e ribaditi anche in un incontro del novembre 2007 tra il ministro degli Affari esteri Massimo D’Alema, il suo omologo Abdelrahm Shalgam e il rais. All’intensificarsi delle relazioni politiche seguirono anche l’intensificarsi dei rapporti commerciali ponendo l’italiana ENI in una posizione di forza difficilmente attaccabile nel settore del gas libico.
Nel 2011, poi, abbiamo assistito inermi alle cosiddette “Primavere Araba” che di primavera alla fine non ebbero quasi niente. Quella libica in particolare si caratterizzò subito con connotati distinti. Infatti i clan opposti ai Gheddafi sostenuti dalla Francia in particolar modo ma anche da UK, Turchia, Qatar, Emirati Arabi e alla fine anche dalla Clinton cavalcarono l’effetto snowballing delle proteste indotte e si riunirono in un Consiglio Nazionale di Transizione. Gheddafi alla fine fu ucciso il 20 ottobre catturato solo grazie ai bombardamenti francesi. La Francia infatti, si appellò al “principio di ingerenza umanitaria” formulato nel 1999 per la missione in Kosovo, per bombardare il Paese. Inoltre gli Stati Uniti con la presidenza Obama spostarono l’attenzione dal Medio-Oriente al quadrante Asia-Pacifico con il “pivot to Asia” e lasciarono di fatto campo libero ai loro alleati nelle zone non considerate più strategiche.
L’Italia nel periodo compreso tra febbraio e l’aprile 2011 ebbe un atteggiamento orientato alla prudenza. Questo tentennamento italiano si confrontò e scontrò con l’atteggiamento spregiudicato della Francia e dell’UK che portò alla fine una guerra civile a 300 km da Lampedusa. L’ONU varò a quel punto la missione “Usmil” nata con l’obiettivo di stabilizzare il paese e traghettarlo verso un rilancio economico. Nel frattempo il nuovo inquilino della Casa Bianca, Trump, non offrì alcuno appoggio concreto, se non di facciata, al presidente al-Sarraj che di fatto ha avuto difficoltà persino a controllare la capitale Tripoli. La posizione del governo italiano è quella di continuare a sostenere il Governo di Accordo Nazionale presieduto da al-Serraj così come confermato dal Premier Conte in questi giorni, a Sharm el-Sheik a margine del primo summit UE-Lega Araba. Sul campo però, la situazione ci sta sfuggendo di mano.
È notizia del 12 febbraio che l’Esercito Nazionale Libico di cui Haftar è comandante, ha annunciato di aver preso il controllo del più importante giacimento petrolifero libico. Dopo aver occupato Sheba, e il campo petrolifero di Sharara, ha occupato anche l’area gestita da ENI “El Feel” senza bisogno di combattere. Haftar sostenuto dalla Russia e dalla Francia sta cercando con il suo esercito di riportare l’ordine nella regione ed ergersi a unificatore della Nuova Libia in vista delle prossime elezioni. Il momento è molto delicato perché per la prima volta sembra esserci una road map molto concreta: Conferenza Nazionale, referendum e emendamenti costituzionali e infine elezioni. Tutto questo entro l’anno. Le mosse del Generale Haftar rischiano di bloccare tutto questo processo e rischiano anche di estromettere l’ENI a favore della francese TOTAL. Il governo italiano quindi, sembra essere preso in contropiede dalle mosse dell’uomo forte della Cirenaica anche se il nuovo ambasciatore, Giuseppe Buccino, si è messo subito al lavoro incontrando nei giorni precedenti l’inviato dell’ONU, Salamé, e il generale Haftar per colloqui sugli sviluppi della situazione nella regione meridionale del Fezzen. Il problema però è che il Governo di Accordo Nazionale è privo di un reale e incisivo supporto da parte del governo italiano e quindi Haftar continua l’avanzata senza una adeguata resistenza.
Si può dire quindi che gli obbiettivi strategici della Francia, che come abbiamo visto nel 2011 iniziò a sottrarre all’Italia l’influenza sulla Libia, sembrano andare avanti senza nessun ostacolo concreto. Sarebbe opportuno a questo punto che il governo italiano agisca immediatamente prima che Haftar sfrutti l’imminente Conferenza Nazionale della Libia per mettere la comunità internazionale di fronte al fatto compiuto. E’ necessario quindi, rendersi conto che l’Italia ha bisogno di garantirsi gli approvvigionamenti energetici (prendiamo dalla Libia 1/5 del fabbisogno petrolifero e 1/3 di quello di gas), ed è necessario mantenere la Libia unita evitando una “balcanizzazione”. L’Italia si trova ad un bivio: o concede un reale supporto, anche strategico/militare, ad al-Serraj e alle locali tribù Tebu (che sono in ottimi rapporti con l’Italia e sono le uniche che si sono realmente opposte ad Haftar) oppure sarà il caso di cambiare strategia.
Per fare questo il nostro Paese deve necessariamente dialogare con gli attori internazionali che sostengono Haftar e dunque principalmente con la Francia e la Russia. Se con Macron è attualmente molto complesso immaginare un dialogo non solo per l’atteggiamento che l’Eliseo ha avuto nei nostri confronti fin dal 2011 ma anche visto gli ultimi scontri diplomatici a causa del caso “sui gilet gialli”. Con Putin invece, potrebbero esserci maggiori possibilità di collaborazione. Le preoccupazioni di una parte degli osservatori, che vedono il coinvolgimento di Putin paragonabile a quello in Siria e del tutto pretestuoso perché Mosca in questo caso, da grande esclusa del dopo Gheddafi, intende solo far valere i propri interessi nell’ambito di una mediazione piuttosto che nel proseguimento di una escalation militare. Si potrebbero sfruttare i buoni e consolidati rapporti con la Russia in funzione anti francese per cercare un obbiettivo comune strategico sulla Libia, e riportare Haftar a più miti consigli. Altro elemento importante è l’alleanza tra i due giganti degli idrocarburi, ENI e Rosneft, che potrebbe esserci molto utile. Per anni ENI con il suo cane a sei zampe, è stata una sorta di monopolista dell’estrazione libica e la Russia avrebbe tutto l’interesse a non andare contro un partner fondamentale per il gas nel Mediterraneo, visto anche l’intreccio egiziano.
Alla luce di questo l’Italia potrebbe sfruttare il suo capitale di fiducia con alcuni attori tripolini per mediare un accordo intra-libico con Mosca. In questo modo si potrebbe spingere, grazie all’asse con Putin, la comunità internazionale a stabilizzare il Paese, cosa per noi strategica non solo a tutela dei nostri interessi economici ma anche per impedire un asse fra Mosca e Parigi che per noi sarebbe un colpo durissimo.
Almeno ché l’Italia non intenda inviare soldati a sostegno di al-Saraj è indispensabile trovare subito un accordo diplomatico con la Russia. Se il governo invece continuerà a lusingarsi delle vuote parole di Trump sulla Libia e a non capire il neo-isolazionismo statunitense, allora possiamo dire addio al gas e al petrolio libico e aspettarci con l’arrivo dell’estate nuove ondate migratorie dalla Libia. Infatti sullo sfondo di questo rebus di interessi geopolitici resta la questione migratoria per noi cruciale, sia in termini di ordine pubblico che in termini umanitari, e sulla quale dobbiamo agire con prospettiva e coraggio.
In conclusione, non possiamo sottrarci alle responsabilità che derivano dalla Libia né tanto meno ignorare che in quel Paese c’è in ballo una questione di sicurezza nazionale quindi tutte le opzioni dovrebbero essere prese in considerazione. Il rischio altrimenti, è subire come nel 2011, scelte di altri Paesi che evidentemente sono a noi ostili. Ogni riferimento alla Francia è puramente voluto.
(Tratto da www.farefuturofondazione.it)
Sarà un po’ lungo. Ho letto con attenzione questo pezzo di Mario Presutti e mi complimento per l’analisi che ha fatto sulla Libia. Anche da questa si desume come, purtroppo, quel Paese è di fatto il ring sul quale si misurano le potenze, e già che c’è, il ring, anche le non potenze (ma cosa ci fanno lì gli Emirati, il Quatar, ecc.ma stiano a casa loro!).
Gli ingredienti del dilemma Libia sono tanti, troppi, per supporre di porvi facilmente rimedio. Ne richiamo qualcuno solo per memoria, ma Presutti li tratta molto bene. Perchè lo faccio? Perchè mi arrogo il titolo di cittadino italiano (come altri milioni) che vorrebbe voler bene alla Libia e al Mondo, ma non può e non vede apparire nulla che lo faccia sperare. Per noi, Italia, più che per altri, ci sono in ballo: la sicurezza, i legittimi interessi, e ricordo solo sfiorandoli i nomi di chi ci ha finora messo mano inutilmente: Andreotti, Prodi, Berlusconi, D’Alema. E’ uno scenario dove tutti giocano per interessi propri e noi, “povera Italia”, siamo col rischio più alto che si chiama invasione di migranti dei quali la Libia è stazione di partenza.
E tutto il mondo perbene si rende conto che questo “divertimento” sulla Libia non porta a nulla se non, ecco il punto, ad avvicinare il momento nel quale mezza Africa invaderà l’Europa, e lascio dire. Con buona pace dei “principi”, della nostra civiltà, del nostro credo religioso, della nostra economia… L’avremo voluto.
Se posso cambio lo scenario. Se ne sono sentiti, raramente, accenni, subito smorzati perchè il gioco dei singoli Paesi è altro e certi traguardi, forse anche risolutivi, non convengono agli interessi dei singoli Paesi sul ring.
Creiamo in Africa occasioni di vita, di lavoro, economiche e sostenibili, per trattenere gli africani sulle loro terre, in primis i libici. Messaggi suggestivi caduti, ahimè, nel nulla.
Voglio qui richiamare una proposta da me curata con consigli di esperti. Non la posso qui dettagliare, ma il progetto consiste nel realizzare nel deserto libico di prossimità, un grande quadrante ove irrigare, coltivare, allevare, urbanizzare, partendo dal presupposto che quel Paese, la Libia, ha disponibilità praticamente smisurata di energia per fornire acqua dissalata al suo interno, necessaria per qualsiasi attività umana.
Evito di addentrarmi nei numeri, importanti, ma sono obbligato a fare due considerazioni: una quasi banale e l’altra di alta strategia. Quella banale è che l’on. Maurizio Martina, quand’era Ministro, fu interessato al progetto di cui sopra, ma non si degnò di una risposta. In queste ore sta “correndo” lui per guidare un partito che vorrà guidare il Paese, usando categorie di pensiero usuali e direi consunte. La considerazione strategica è che la classe politica non sa più capire come a volte l’ingenuità (o presunta tale) e l’utopia possano essere strette parenti e generare obiettivi importanti. Mi corre l’obbligo di un esempio: Giulio Andreotti, lo ricorderete, che pure non era l’ultimo in queste faccende, definì utopia (forse anche ingenuità) l’ipotesi della riunificazione della Germania. Poi si sa com’è andata, sol che si abbandonasse il solo “masticare” di politica come fan tutti.