Piccoli Comuni per un nuovo Welfare



Angelo Moretti    19 Febbraio 2019       0

Un intervento pubblicato pochi giorni fa da “Avvenire”, sostiene la necessità di un“manifesto” che “dichiari una visione politica di breve, medio e lungo termine, (...) che inviti tutti i credenti a uscire dalle nicchie, dalla timidezza, a venire allo scoperto e schierarsi apertamente (...) che parli del futuro, dell’economia, della pedagogia, della democrazia, delle città dal punto di vista della moderna Dottrina sociale, dal punto di vista delle esperienze più significative già presenti sui territori”. Per leggerlo si può cliccare qui.

Questa lettera ci ha permesso di conoscere il suo autore, promotore del Consorzio Sale della Terra, costituito a Benevento e concreta emanazione del “Manifesto Piccoli Comuni del Welfare”. Un documento che ci pare pienamente in linea con la visione del municipalismo sturziano con una declinazione moderna, capace di rispondere ai gravi e sottaciuti problemi dell’invecchiamento, dello spopolamento e dell’abbandono ambientale di vaste Aree Interne, con riflessi negativi sulla demografia del Paese. In un’ottica di politica dei servizi, di accoglienza e integrazione in grado di dare un futuro a Comuni destinati all’abbandono.

Del Manifesto pubblichiamo di seguito l’introduzione di Angelo Moretti e, in calce al testo, il link che permette di leggere il testo completo

 

Piccole Comunità, pietre di scandalo

L’Italia dei piccoli numeri può essere l’Italia delle grandi risposte?

I dati ufficiali parlano di almeno 1.940 Comuni in Italia che contano meno di 1.000 abitanti, distribuiti tra Nord, Sud e Centro, ma con una netta prevalenza al Nord (1.248). In moltissimi casi i residenti reali sono ancora meno di quelli dichiarati all’anagrafe. Quattro milioni e mezzo di persone vivono in Italia nelle cosiddette Aree Interne, quelle che distano almeno 40 km da servizi pubblici essenziali come stazioni e ospedali, quelle che presentano un digital divide ancora elevatissimo, offrendo ai propri abitanti servizi di connessione internet più scadenti rispetto ai grandi centri abitati.

In questa fetta di Italia, che rappresenta in chilometri quadrati e in spazio simbolico e culturale molto di più di ciò che si possa immaginare, c’è un problema principale, da cui discendono tutti gli altri e che costituisce il vero grande spettro da cui difendersi per il futuro: lo spopolamento progressivo, l’invecchiamento progressivo, l’abbandono ambientale progressivo. C’è un’Italia che ha un saldo emigratorio imponente, in cui negli ultimi dieci anni gli emigrati e i morti superano dieci/cento volte gli immigrati e i nuovi nati.

Anche se nessuna forza politica sembra volerne parlare nei talk show e nei social, luoghi in cui si crea l’opinione pubblica nazionale molto più che in Parlamento o alle Regioni, l’Italia ha un enorme problema di svuotamento progressivo di se stessa.

Il dibattito nazionale si ferma sui dati e le notizie di poche decine di città italiane, delle sue periferie scoppiate o facilmente “scoppiabili”, dello sciopero dei trasporti pubblici locali che isolano quelle stesse periferie dal centro di città, di quelle poche decine di migliaia di nuovi immigrati che si trasferiscono nelle nostre periferie, e non vede, non sente, non avverte lo svuotamento progressivo che siamo vivendo.

Tutta l’Italia è incredibilmente vecchia, con un indice di vecchiaia (il saldo tra quindicenni e sessantacinquenni) consegnato dall’Istat nel 2017 pari solo a quello del 1917, quando i giovani uomini e i padri vennero falcidiati a dalla prima guerra mondiale. L’Italia del 2017 ha un indice di natalità tra i più bassi d’Europa e una SUA (Superficie Utilizzata in Agricoltura) sempre più ridotta, un numero di case sempre più sfitte e abbandonate (l’analisi del sito Solo Affitti parla di più di 7 milioni di case sfitte nel 2016).

Questa Italia può essere la grande risposta al rinnovo dei piani di sviluppo locale e alla crisi? Può essere questa l’Italia che innova il rapporto ecologico tra donne, uomini e creato e i rapporti tra economia reale e finanza virtuale? Può essere questa l’Italia che riesce a trovare una nuova chiave di volta per il suo Welfare sempre più stretto tra politiche di Maastricht e cultura della solidarietà in discesa?

In un’antropologia postmoderna che orienta le comunità degli uomini a organizzarsi attorno alle esigenze di una vita liquida, fatta di relazioni umane fragili e frequentemente scomponibili, di rapporti virtuali più significativi e costanti di quelli reali e di prossimità, le piccole comunità possono essere ancora la pietra di scandalo del sistema globale.

Ma stanno per morire nell’incuria generale e in assenza totale di strategie forti.

Un Manifesto per questi piccoli comuni è proprio ciò che si intende etimologicamente nella parola stessa: è una mano che fende, che squarcia, che prova a rigenerare scuotendo, mescolando e progettando, proprio come si fa con le terre incolte quando un gruppo di sognatori immaginano la loro nuova e prossima rifioritura.

Per leggere l'intero documento Manifesto-Piccoli-Comuni-Welcome-hd


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