La nuova intesa franco-tedesca



Giampiero Cardillo    19 Febbraio 2019       0

È stato firmato il 22 gennaio scorso un trattato di 28 articoli di cooperazione e integrazione franco-tedesca dal presidente Macron e dalla cancelliera Merkel. Il luogo dove è avvenuto l’evento, oggi tedesco, è già pieno di memorie: Aquisgrana – in francese Aix-la-Chapelle, la Cappella di Carlo Magno – ove furono siglate: la pace Spagna e Francia nel 1668; la fine della secessione austriaca nel 1748; la conclusione della Santa Alleanza nel 1818.

Il nuovo trattato aiuterà forse a rendere Aquisgrana ancora più presente alla nostra futura memoria, perché potrebbe segnare un nuovo ordine europeo in rapida costruzione. Il precedente dichiarato del trattato, dice il sito della Presidenza francese, è il Traité de l’Elysée del 1963, di riconciliazione franco-tedesca dopo la Seconda guerra mondiale.

Lo scopo del Trattato è: “fissare un nuovo obiettivo di maggior convergenza tra la Francia e la Germania e preparare i due Paesi alle sfide che si prospettano nel XXI secolo. Oggetto del trattato è il rafforzamento della convergenza e dell’integrazione dei due Paesi in tema di economia, politica estera e di sicurezza, educazione e cultura, ricerca e tecnologia, clima e ambiente.

L’art. 3 in particolare recita: “I due Stati approfondiscono la loro cooperazione in materia di politica estera, di difesa, di sicurezza esterna e interna e di sviluppo nell’intento di rinforzare la capacità di azione autonoma dell’Europa”. Si insiste sulla difesa e sulla sicurezza, quando si afferma che i due Stati vorranno far convergere: “sempre più i loro obiettivi e politiche di sicurezza e difesa”, stabilendo di volta in volta posizioni comuni in occasione di decisioni che toccano interessi di entrambe le nazioni, prestando reciproca assistenza “con tutti (compresa la force de frappe?) i mezzi di cui dispongono, comprese le forze armate, in caso di aggressione contro i loro territori”.

Tale assistenza reciproca non dovrà prescindere dal creare una cultura militare comune, per operare congiuntamente in modo efficace ed efficiente, nonostante la materia sia sottoposta, nel caso tedesco, alla competenza parlamentare. In materia di sicurezza interna si dovrà raggiungere l’obiettivo di una forte integrazione delle forze anti-terrorismo e di quelle schierate contro la criminalità organizzata, ivi compresa una stretta collaborazione giudiziaria, dei Servizi di Informazione e di polizia. Il Trattato cita: “L’efficacia, la coerenza e la credibilità dell’Europa in campo militare”.

Può essere interpretato come l’esigenza di sviluppare queste capacità anche per l’intera Europa?

Un cammino interrotto nell’Unione molti decenni fa, quando la Francia si oppose alla nascita delle forze armate Europee. Oggi è proprio la Francia a rilanciare il progetto. Macron aveva avanzato nello scorso settembre una idea dirompente: la European intervention initiative (Ei2). Una prima lettera d’intenti è stata firmata alla fine di giugno 2018 dai ministri della Difesa di Francia, Germania, Belgio, Regno Unito, Danimarca, Estonia, Olanda, Spagna, Portogallo e Finlandia. L’obiettivo dichiarato consisteva nel voler creare una struttura estranea all’Unione europea e alla NATO,che avrebbe dovuto servire a garantire una risposta rapida in caso di crisi, militari e civili.

La proposta francese dello scorso settembre comprendeva sia la collaborazione a livello di pianificazione e analisi, sia il concreto intervento congiunto,ove necessario: “In un ambiente in cui minacce e sconvolgimenti geopolitici o di natura climatica si moltiplicano, l’iniziativa deve mandare il messaggio che l’Europa è pronta, che l’Europa è capace”. Così dichiarò il Ministero della Difesa francese l’anno scorso.

Il nostro generale Camporini commentò la vicenda rilevando un atteggiamento tedesco inclusivo rispetto agli altri Paesi UE. Il generale riteneva che la Germania avrebbe contrastato la spinta esclusiva della Francia, la quale evidenziava uno spirito men che egemonico nel trattare la questione.

Si può pensare che la Francia abbia giudicato un sostanziale fallimento l’accordo PESCO – cooperazione strutturata permanente, già operante – constatandone l’assenza di quel vigore e temibilità necessarie per essere un protagonista rispettato nel mondo. La PESCO è in effetti un accordo che appare essere diventato fin troppo inclusivo (vi aderiscono ben 25 Stati), evidenziando una inevitabile tendenza alla paralisi operativa in caso di necessità.

A questa conclusione sembra sia giunta la Germania, giacché con l’accordo di Aquisgrana ha accolto una evidente emulsione elitistica della precedente proposta francese di settembre, molto poco inclusiva per come appare nell’articolato sottoscritto. Quello nato martedì 22 gennaio è infatti un trattato per ora solo bilaterale, anche se nei suoi articoli si fa cenno a un programma “europeo”. Ma è un programma che molti dei Paesi UE non possono sostenere e che molti altri, è possibile, non vorranno sottoscrivere.

Il precedente progetto di Macron, lanciato a settembre scorso, ammetteva di voler superare la dipendenza dell’UE dalla NATO. Nell’accordo con la Germania questo moto di indipendenza è stato molto più sfumato. Il Trattato di Aquisgrana 2019 intende stimolare “grandi investimenti nel settore difesa e sicurezza, per colmare il notevole gap tecnico e tecnologico rispetto alle grandi potenze militari, nel rispetto dei trattati NATO, pilastro della difesa UE da sempre”, come ha affermato con forza Ursula von der Leynen, ministro tedesco della Difesa.

L’accordo prevede non solo di dare un impulso importante alle trattative per la realizzazione di sistemi di difesa comuni, ma anche un impegno per la creazione di una via preferenziale all’esportazione di armi congiunta dei e tra i due Paesi. Un punto, questo, ancora suscettibile di sviluppi concreti, per una certa resistenza istituzionale tedesca sull’argomento.

Il Trattato prevede l’insediamento di un “Consiglio Franco-tedesco di difesa e di sicurezza” come organo politico permanente, per consultazioni e decisioni nel comune interesse. Sul piano della Politica Estera i due Stati si scambieranno personale diplomatico di alto rango presso la NATO, l’ONU e presso l’UE. In particolare sarà intrapresa un’azione diplomatica di vasto raggio, onde permettere alla Germania di far parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

È un trattato che vede la Francia concedere molto alla Germania. In particolare il trattato non esclude, perciò consente, che la Francia condivida con la Germania l’arma nucleare, in forza di quanto si legge nell’articolo 3. Una Germania dotata di armi nucleari è poi la premessa necessaria e sufficiente per consentirle di sedere nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU (art. 8), evento che la Francia si impegna a favorire.

Sta nascendo l’EU a due velocità? La Francia e Germania “tirano la volata” a tutti gli altri partner, o sono in fuga solitaria?

In ogni caso si tratta di dare corpo alla raccomandazione di Jean Monnet: “La Comunità stessa non è che una tappa verso forme di organizzazione del mondo di domani”.

Il nuovo trattato in quale modo può essere interpretato come una necessaria tappa del cammino comunitario? Se lo fosse, dovremmo assistere a una rapida accelerazione del processo integrativo dell’intera UE nei settori cruciali di cui si occupa l’accordo franco-tedesco,per superare l’esclusività dell’ambito finanziario e commerciale ove si sono concentrati i grandi obiettivi UE degli ultimi decenni. Obiettivi raggiunti, che, però, mostrano segni di crisi. Si tratta di obiettivi aggrediti da una realtà mondiale in rapida trasformazione. Raggiungere nuovi traguardi è necessario, anzi, indispensabile. Una altra ipotesi può essere azzardata. Qualunque effetto si registrerà per questa accelerazione centripeta, Francia e Germania potrebbero non trascinare nel trattato tutta l’Unione, ma solo quei Paesi UE (e forse anche non UE) con i quali sono già più integrati, o che appaiono più integrabili per molti degli aspetti essenziali che sono oggetto del patto siglato.

Le carte da giocare per chi ne resterà fuori non sono molte, sia se appariranno recalcitranti o siano troppo indeboliti per diventare azionisti capaci di sostenere la spinta del new deal sottoscritto.

L’Italia sembra essere fra questi ultimi, tenuto conto delle oggettive difficoltà tecniche a partecipare o per una scelta strategica del Governo in carica. Del resto il nostro Paese già non aveva aderito all’appello francese di settembre, che ambiva di riporre in soffitta la PESCO. I ministri Elisabetta Trenta e Enzo Moavero Milanesi, in audizione alle commissioni Esteri e Difesa di Senato e Camera, dichiararono a proposito del progetto Macron di settembre: “Esiste un accordo in Europa che si chiama PESCO e l’Ei2 altro non fa che prendere i Paesi che vi aderiscono più la Gran Bretagna e dargli una missione simile. È un’iniziativa parzialmente europea”, da guardare con cauta e doverosa prudenza”.

Vedremo nei prossimi mesi gli sviluppi del nuovo trattato Francia-Germania. Anche alla luce di quanto accadrà in Gran Bretagna e dopo le elezioni europee di fine maggio. Certo è che la cauta e doverosa prudenza dovrà lasciar posto a rapide e coraggiose decisioni.

Jean Monnet ammoniva fin dal 1976: “Ma il tempo passa e l’Europa si attarda sul cammino nel quale si è già molto inoltrata. Non possiamo fermarci, quando intorno a noi il mondo intero è in movimento”.

L’ ammonimento valeva allora e a maggior ragione oggi, perché la velocità dei cambiamenti nel mondo cui far fronte è molto aumentata. Chi chiede di uscire dall’Europa, come chi chiede più indipendenza da essa, potrebbe rimanere fermo o restare molti passi indietro dai moti della storia, paralizzato e a rischio di essere travolto assieme a molta Europa di serie B. La Francia e la Germania sembrano aver ingranato una marcia veloce e staranno a vedere chi riuscirà a stargli dietro.

E sembra che stavolta Francia e Germania abbiano studiato una formula che gli USA possano accettare o non contrastare, premessa essenziale per il successo dell’iniziativa intrapresa da Francia e Germania. Vedremo.

(Tratto da www.servirelitalia.it)


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