Sturzo e il PPI: cosa resta attuale?



SPECIALE CENTENARIO - Guido Bodrato    31 Gennaio 2019       1

Dal riuscito e partecipato incontro sull’Attualità del Popolarismo da noi organizzato con la Fondazione Donat-Cattin lo scorso sabato 26 gennaio al Polo del ’900 di Torino, ricaviamo l’intervento del presidente emerito dei Popolari piemontesi Guido Bodrato, che insieme a Rosy Bindi e padre Francesco Occhetta ha composto il tavolo dei relatori.

 

Un attento studioso della storia contemporanea come Emilio Gentile, in una breve riflessione sulla “svolta provocata dalla Grande Guerra”, ha sostenuto che “la principale novità nella politica italiana del 1919 è stata la fondazione del Partito popolare.”. In realtà sin dal 1905, con il “discorso di Caltagirone”, don Luigi Sturzo aveva delineato il progetto di un partito nuovo capace di dare voce ai cattolici, costretti ai margini della vita nazionale dal contrasto tra Stato e Chiesa che ha caratterizzato il Risorgimento.

Quel discorso si riferiva a un orizzonte politico che non comprendeva la guerra del 1915/18 l'avvento del fascismo. Dopo quel discorso il cattolicesimo politico passa dall'esperienza dei democratico-cristiani – pensiamo a Romolo Murri – che animano l'Opera dei Congressi, a una significativa presenza nelle amministrazioni comunali, al Patto Gentiloni che nel 1913 garantisce il voto dei cattolici a Giolitti, per approdare infine all' appello “ai liberi e forti”: il18 gennaio del 1919.

La nascita del PPI definisce l'identità di un partito laico, autonomo, di ispirazione cristiana, e si lascia alle spalle l'astensionismo dei cattolici, con il Non Expedit decretato nel 1870 dall'autorità pontificia., e propone un proprio modello di Stato e di società

Non si può comunque ignorare che è stata la Grande Guerra del 1915/18 a sconvolgere la situazione.politica europea ed italiana, a rendere irreversibile la crisi dello “stato liberale”, a favorire l'ingresso in scena dei “partiti di massa”, tra cui il Partito popolare, ma anche ad aprire la strada alla “rivoluzione fascista”. Francesco Traniello ha invitato a riflettere su questo passaggio storico e al fatto che  alla vigilia della Grande Guerra “il Paese era scivolato dalle posizioni neutraliste, inizialmente prevalenti nei confronti della guerra, all'affermarsi dell'interventismo”. Si legga in proposito Pace o guerra? il volume edito dalla Fondazione Donat-Cattin sulla stampa cattolica delle diocesi piemontesi nel 1914-1915.

Questo mutamento di orizzonte ha influenzato anche alcuni cattolici – che saranno con Sturzo tra i promotori del Partito popolare – inducendoli a considerare quella guerra come “l'ultima occasione offerta ai cattolici per riconciliarsi con il Risorgimento” e a schierarsi con gli interventisti. Tuttavia cattolici come Ferrari e Donati, tornati dalle trincee con la medaglia d'argento, nei congressi del PPI si troveranno a fianco di uomini come Guido Miglioli e Piergiorgio Frassati, schierati con il Papa contro “l'inutile strage”. Tutti loro fronteggeranno insieme la violenza fascista, seguendo infine Sturzo, nell'esilio.dal 1924.

Nelle elezioni politiche del novembre 1919, aderiscono al partito “popolare”, alternativo al partito “di classe” dei socialisti e al “blocco individualista e conservatore” dei liberali, con i democratico-cristiani della Lega democratica, anche i liberal-cattolici e i cristiano sociali. E in quelle elezioni il 20% dei consensi al PPI sarà una sorpresa anche per Sturzo. Il PPI è favorito dalla introduzione del suffragio universale, anche se solo per gli uomini, mentre il “blocco liberal-conservatore” – che negli ultimi anni aveva governato soprattutto con Giolitti, capace di unificare tanti interessi individuali in un ”partito della maggioranza” che aveva mantenuto il potere anche nel 1913 grazie al voto cattolico “gentiloniano” – è penalizzato dalla presenza dei popolari.

Quelle prime elezioni confermano l'importanza del Partito socialista, peraltro in difficoltà con i massimalisti, mentre il partito fascista (allora si trattava dei Fasci di combattimento) non ottiene alcuna rappresentanza parlamentare.

Tuttavia, scriverà Sturzo quando rievocherà quella stagione elettorale, “nel 1920 le squadre fasciste iniziarono le scorrerie contro i socialisti e contro i popolari. La borghesia liberale, minacciata dalle violenze bolsceviche, rinunciando alle sue tradizionali convinzioni di libertà, cominciò a favorire le “camicie nere”.

E noto come l'irresistibile scalata al potere di Mussolini (l'ultimo congresso dei popolari è del 1925, Sturzo è già in esilio) sia stata favorita, oltre che dalla monarchia e dalla conversione a destra del moderatismo e dei clerico-fascisti, dalla Legge Acerbo – che cancella la proporzionale e favorisce i Blocchi elettorali – ma anche dalla incapacità di trovare un punto di convergenza politica tra popolari, socialisti e liberali.

Con gli esponenti di questi partiti, con Gobetti, Salvemini, Rosselli, il dialogo di Sturzo si farà più intenso quando ormai i fascisti avranno conquistato il potere.

 

L’importanza del programma

È consolidata l'opinione che il programma del popolarismo sturziano abbia rappresentato, in quel contesto storico, un progetto politico riformista, in alternativa alla politica opportunista e trasformista dei liberali, ma anche al massimalismo che insidiava il programma dei socialisti. Quando Sturzo ha progettato il “partito popolare”, il “fascismo” non era all'orizzonte...

Tuttavia per capire quanto abbia contato il ricorso alla violenza, nel determinare i comportamenti politici di quegli anni, non solo in Italia, aiuta una riflessione di Max Weber , forse il più grande politologo del '900. Era stato – in Germania – un convinto sostenitore del parlamentarismo, ma si piega al presidenzialismo, quando milioni di giovani ritornano dalle trincee:”Il Presidente, se non lo eleggiamo con il voto, lo sceglieranno con i pugnali”.

Sturzo aveva definito il partito che stava nascendo, un “partito di centro”, cioè un partito che si qualifica per il programma, per la responsabile che intende assumere (anche come opposizione). Il programma è azione, richiede attenzione ai problemi concreti del Paese...Tuttavia definendo di centro il partito Sturzo lo fa ha fatto anche in polemica con il “centro” cui si riferiva Giolitti, un centro come “partito della maggioranza”, un blocco elettorale (oggi diremmo “un’ammucchiata”) che si proponeva come forza di governo. Ma in polemica con il partito socialista, partito di classe,  il riferimento al centro significava anche “partito interclassista e pluralista”, impegnato a valorizzare il principio della solidarietà, e della sussidiarietà, contro ogni tendenza a concentrare il potere, a comprimere la vitalità sociale e del territorio.

In sintesi, la piattaforma sturziana era caratterizzata dalla difesa della famiglia, dalla libertà di insegnamento, dal lavoro inteso come diritto, dalla previsione di referendum locali come espressione di democrazia, dalla centralità delle autonomie locali e dalla previsione di uno Stato articolato sulle Regioni, da forme di previdenza sociale. Un partito immaginato sull'esperienza che il movimento cooperativo stava facendo, dalla rappresentanza proporzionale e dal voto alle donne, dalla libertà della Chiesa e dall'impegno ad operare per un nuovo ordine sociale.

È corretto sottolineare che si tratta di un programma riferito politicamente a quel tempo, a quella società, a un Paese ancora segnato da un sistema industriale molto fragile, da un Mezzogiorno ancora ancorato al passato, che viveva ai margini dell'economia nazionale. .E ricordare che l'elettorato socialista era concentrato nelle realtà industriali del Paese, quello liberale nelle città, quello popolare principalmente nelle realtà artigiane e contadine..Non a caso la presenza dei popolari, nella vita parlamentare e in quella, marginale, nei governi nazionali, fu caratterizzata prevalentemente dall'attenzione ai problemi della piccola proprietà agricola..Ma non si può ignorare che il popolarismo rappresentava anche organizzazioni sindacali e una consistente rete di cooperative..

La CIL, “confederazione bianca, si svluppa negli stessi anni e ha radici, come l'esperienza politica del PPI nella stessa enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Come non ricordare che tra i firmatari dell'Appello c'è anche Achille Grandi e che a Torino era attivo tra i popolari un giovane sindacalista, Giuseppe Rapelli, direttore de “Il Lavoratore”?

 

Cosa rimane di quella storia, cosa resta attuale?

Penso sbagli Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, quando nel corso di una bella intervista a “L’Espresso” in cui motiva l'obiezione dei sindaci alla legge Salvini sulla sicurezza, riconosce i meriti di Sturzo nell' aver sdoganato i cattolici rispetto alla politica e per il suo impegno “profetico” sul ruolo dei municipi, ma conclude: “Per me, i soggetti di riferimento sono don Milani, Tonino Bello, Dossetti... Semplificando, Sturzo è il chiodo, non il quadro”.

È vero che “il tempo cancella fin le ruine” ma non possiamo dimenticare  l'insistenza di Sturzo nel ricordarci che la morale è radice della buona politica, che il fine dello Stato è l'uomo, che la democrazia non è solo regole, ma cultura, spirito, coscienza.

Sturzo ha ribadito in ogni occasione che il potere deve avere un limite per non degenerare in totalitarismo, e ci ha fatto riflettere sul fatto che le masse, soggetto decisivo per la democrazia nel tempo che stiamo vivendo, possono essere indotte a cercare autorità più che libertà, e possono essere tentate da un capo.carismatico, dal sovranismo. Anche l'art. 1 della Costituzione, dopo aver proclamato che la sovranità appartiene al popolo, precisa che il popolo la esercita nel rispetto delle regole costituzionali. Questo articolo evidenzia l'importanza straordinaria del dibattito sulla Costituzione.

Questa considerazione aumenta il ruolo dei partiti democratici, ma sottolinea anche il rischio che i partiti degenerino in partitocrazia. Anche la corruzione, l'uso del denaro pubblico a fini privati o di potere minaccia la democrazia e la sua credibilità. Statalismo, partitocrazia, cattiva amministrazione: sono le “male bestie” contro le quali Sturzo si è impegnato al ritorno in Patria.

Certo, anche la concreta esperienza del Partito popolare, sconfitto dal fascismo, e l'azione di Luigi  Sturzo, hanno il limite di riferirsi politicamente a un tempo ormai lontano, e hanno compiuto errori. Si può discutere il contrasto tra La Pira e Sturzo sul ruolo dello Stato in economia, si possono discutere le incomprensioni tra De Gasperi e Sturzo sul “Centro che guarda a sinistra”..

Siamo tutti, in qualche modo, figli del nostro tempo. E tuttavia si può capire perché in questa congiuntura, in una stagione caratterizzata dal dilagare dell'antipolitica, dal diffondersi dell'indifferenza e dall'irrilevanza dei cattolici, chi non si arrende all'antipolitica e al populismo, chi non li considera irreversibili, colga questa occasione per avviare una riflessione sul futuro della democrazia. In un tempo segnato dalla globalizzazione e da una rivoluzione digitale che fanno temere – come ha scritto Darhendorf – un futuro caratterizzato da più competizione e da meno solidarietà, un secolo nuovo che minaccia anche le conquiste del '900 (il Welfare in primis) e che è minacciato dall'autoritarismo.

Che fare?

Porsi questa domanda – come stiamo facendo – e cercare una risposta, iniziando con una seria riflessione culturale sui valori e sul nostro tempo, sull'importanza del rapporto con le nuove generazioni, per dare un'anima alla democrazia, è un nostro dovere.


1 Commento

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*