Per una nuova generazione di “liberi e forti”



SPECIALE CENTENARIO - Giacomo Costa SJ    16 Gennaio 2019       0

“La potenza di un testo come l’Appello ai liberi e forti non risiede nelle soluzioni, ma nel continuare a rappresentare una fonte di ispirazione per le modalità con cui si approcciano i problemi nuovi e quelli che nel tempo si sono modificati”. Il direttore di “Aggiornamenti Sociali” Giacomo Costa dimostra nel suo ultimo editoriale di aver colto il valore perenne del documento lanciato un secolo fa da Luigi Sturzo con gli altri costituenti Popolari all’Albergo Santa Chiara di Roma.

“Dell’Appello colpisce innanzi tutto la brevità: in due sole pagine riesce ad articolare in modo coerente uno sfondo valoriale preciso, una visione antropologica e politica di riferimento, una lettura della società e dei suoi problemi che conduce a identificare misure pratiche da inserire in un programma politico. Colpisce ancora di più se lo si colloca nel suo contesto storico, ben precedente alle riflessioni del Concilio sulla coscienza, sulla libertà religiosa o sulla legittima autonomia delle realtà temporali e quindi sulla laicità; e in una fase in cui il magistero sociale della Chiesa consisteva di un’unica enciclica, la Rerum novarum.”

Padre Costa guarda però al presente e al futuro: “Occorrono soggetti politici “liberi e forti” che elaborino proposte per qualcosa che risulti chiaramente alternativo e capace di coagulare il consenso dei molti che non si riconoscono nella retorica politica oggi dominante. Del resto anche l’Appello si presentava come alternativo alle proposte muscolari (di destra e di sinistra) in circolazione ai suoi tempi. (...) E l’Appello non si rivolge ai soli cattolici. Rileggendole oggi, ci rendiamo conto che quelle parole hanno un significato più ampio: fanno appello alla capacità di collaborare per il bene comune superando tutte le appartenenze, non solo quelle confessionali, ma anche quelle ideologiche, culturali, sociali, economiche, compresi quindi gli interessi di parte e il tornaconto individuale o di gruppo”.

E hanno un quadro di riferimento che non è ristretto nei confini nazionali: “Proprio come la Società delle Nazioni nel 1919, anche per noi italiani oggi l’Europa resta una scelta e volere l’Europa non può significare arrendersi a un’Europa qualunque e neanche accontentarsi di quella esistente, che in alcuni suoi aspetti è indifendibile” dato che l’Unione Europea resta “un ideale, un sogno più alto”. “Un’Europa ‘libera e forte’ sarà capace di articolare autorevolmente unità e rispetto delle differenze, senza obbligare tutti a marciare con lo stesso passo, ma senza nemmeno concedere a nessuno diritti di veto più o meno mascherati. Questa Europa potrà allora chiedere ai singoli Paesi che la compongono di essere a loro volta “liberi e forti”, cioè di rinunciare a interpretare la sovranità di cui dispongono in modo autoreferenziale”.

Il direttore della rivista dei Gesuiti milanesi ritiene che il compito primo di una nuova generazione di “liberi e forti” è “promuovere concretamente la partecipazione dei cittadini, promuovere la coesione sociale e la formazione di capitale sociale. È probabilmente questa la differenza fondamentale tra una politica popolare, che rispetta il popolo e la sua autonomia originaria, e una politica populista, che rende il popolo un ostaggio di chi è al potere”.

Ma l’Appello sturziano è una pietra di paragone scomoda, perché molto impegnativa: “Se qualcosa ci insegna la lettura dell’Appello è che il cambiamento di cui abbiamo bisogno sarà possibile solo se i ‘liberi e forti’ che anche oggi popolano la società italiana ed europea sentiranno ancora «il dovere di cooperare», senza chiudersi dietro barriere di interessi e appartenenze”.

Ne saranno capaci?

Ne saremo capaci?

Per leggere l'intero editoriale cliccate sul link sottostante.

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