Senza alcuna presunzione e senza alcuna arroganza culturale e politica credo sia corretto chiarire qualche equivoco che continuano ad aleggiare quando si parla di PD, di partito plurale e della prospettiva politica dei cattolici popolari.
Voglio essere volutamente schematico per essere il più chiaro possibile.
Le elezioni del 4 marzo scorso hanno archiviato, almeno per il momento, la stagione dei "partiti plurali". Nello specifico mi riferisco alla vicenda del Partito Democratico. Come, sul versante per così dire alternativo, si potrebbe tranquillamente parlare di Forza Italia. Ma, per fermarsi al PD, è chiaro che la stagione del partito veltroniano è ormai alle nostre spalle. E mi riferisco, per essere ancora più esplicito, al tramonto della "vocazione maggioritaria", del "partito plurale" come sintesi tra le grandi culture politiche del Novecento, della identificazione tra il capo del partito e il candidato a Premier e della sostanziale cancellazione della "cultura della coalizione". Cioè delle alleanze. Tutto semplicemente cancellato.
In secondo luogo, piaccia o non piaccia, sono ritornate le identità. Certamente rinnovate e modernizzate rispetto anche solo ad un recente passato. Ma sono ritornate. Innanzitutto la sinistra. Come dicono comprensibilmente i due candidati alla segretaria nazionale del PD, cioè Zingaretti e Martina. Ovvero, entrambi si impegnano e auspicano "la rifondazione, la riscoperta e il rilancio del pensiero e della cultura della sinistra italiana". È ritornata, in chiave fortemente minoritaria, la sinistra radicale. Grazie alla intelligenza e alla abilità di Salvini è in campo una destra europea, moderna, di governo e chiaramente identificabile. Resiste una ideologia, la definisco così per comodità, antisistema, populista e fortemente antipolitica. Cioè i 5 Stelle.
In un quadro del genere può restare a bordo campo la cultura, la tradizione e la ricchezza ideale del cattolicesimo democratico, sociale e popolare del nostro Paese?
In ultimo, la domanda di un rinnovato protagonismo – ovviamente laico, aconfessionale, riformista e moderno – dei cattolici italiani, nel pieno rispetto di un ormai consolidato e acquisito pluralismo delle scelte politiche, richiede una risposta credibile. Politica e adesso, anche organizzativa. Una domanda che non parte dall'alto di qualche pulpito. Certo, anche da alcuni settori della gerarchia. Ma soprattutto dalla base, da settori sempre più consistenti dell'associazionismo, da una moltitudine di elettori delusi e senza più alcuna rappresentanza politica credibile e coerente e da persone, gruppi sociali e "movimenti civici" che non intendono più, nell'attuale fase storica italiana, consegnare agli archivi una storia e una cultura politica che continua a conservare una bruciante attualità e anche modernità. Anche e soprattutto nell'affrontare e cercare di risolvere i problemi che attraversano la società contemporanea. E a questa domanda politica, quindi, va data una risposta politica.
Ecco perché, di fronte al tentativo, peraltro legittimo anche se un po' curioso, di Zingaretti e altri di accreditare il futuro PD come partito che può farsi anche tranquillamente carico della cultura cattolico democratica e sociale, è bene essere chiari e coerenti. Certo, il problema non riguarda quegli esponenti cattolico-democratici che hanno la necessità, e la priorità – peraltro comprensibili – di conservare e consolidare il proprio spazio di potere all'interno del futuro PD, o PDS che dir si voglia. Comportamento ovviamente legittimo ma che non va affatto confuso con la riscoperta, la rifondazione e il rilancio della cultura politica popolare di ispirazione cristiana.
È giunto il momento della chiarezza e anche del coraggio. Il profondo cambiamento della geografia politica italiana accompagnato da un nuovo riassetto delle varie forze politiche, ha definitivamente aperto una nuova fase. È inutile, e forse anche inconsapevolmente un po' patetico, riproporre le stesse formule del passato fingendo che tutto è rimasto uguale rispetto ai tempi della fondazione del Partito Democratico nell’ormai lontano 2007. Dopo la felice e feconda stagione veltroniana c'è stata la lunga stagione renziana che ha sostanzialmente distrutto quel PD e con il PD anche il tradizionale centrosinistra. Pensare oggi, come mi pare sostengano a giorni alterni i futuri leader del PD, che si possono riportare tranquillamente indietro le lancette della storia, mi pare più una operazione da furbacchioni che non una credibile e consapevole operazione politica.
È cambiata una fase politica e storica. Dobbiamo prenderne atto tutti. Da Zingaretti ai Popolari, dal futuro PDS, oggi ancora PD, al mondo cattolico seppur variegato e complesso, dagli altri partiti di centrosinistra allo stesso episcopato. Pensare che dopo il voto del 4 marzo tutto si può aggiustare, oltre che un gesto politico irresponsabile sarebbe anche disonesto a livello intellettuale.
E i futuri capi del PD certamente non lo sono.
Voglio essere volutamente schematico per essere il più chiaro possibile.
Le elezioni del 4 marzo scorso hanno archiviato, almeno per il momento, la stagione dei "partiti plurali". Nello specifico mi riferisco alla vicenda del Partito Democratico. Come, sul versante per così dire alternativo, si potrebbe tranquillamente parlare di Forza Italia. Ma, per fermarsi al PD, è chiaro che la stagione del partito veltroniano è ormai alle nostre spalle. E mi riferisco, per essere ancora più esplicito, al tramonto della "vocazione maggioritaria", del "partito plurale" come sintesi tra le grandi culture politiche del Novecento, della identificazione tra il capo del partito e il candidato a Premier e della sostanziale cancellazione della "cultura della coalizione". Cioè delle alleanze. Tutto semplicemente cancellato.
In secondo luogo, piaccia o non piaccia, sono ritornate le identità. Certamente rinnovate e modernizzate rispetto anche solo ad un recente passato. Ma sono ritornate. Innanzitutto la sinistra. Come dicono comprensibilmente i due candidati alla segretaria nazionale del PD, cioè Zingaretti e Martina. Ovvero, entrambi si impegnano e auspicano "la rifondazione, la riscoperta e il rilancio del pensiero e della cultura della sinistra italiana". È ritornata, in chiave fortemente minoritaria, la sinistra radicale. Grazie alla intelligenza e alla abilità di Salvini è in campo una destra europea, moderna, di governo e chiaramente identificabile. Resiste una ideologia, la definisco così per comodità, antisistema, populista e fortemente antipolitica. Cioè i 5 Stelle.
In un quadro del genere può restare a bordo campo la cultura, la tradizione e la ricchezza ideale del cattolicesimo democratico, sociale e popolare del nostro Paese?
In ultimo, la domanda di un rinnovato protagonismo – ovviamente laico, aconfessionale, riformista e moderno – dei cattolici italiani, nel pieno rispetto di un ormai consolidato e acquisito pluralismo delle scelte politiche, richiede una risposta credibile. Politica e adesso, anche organizzativa. Una domanda che non parte dall'alto di qualche pulpito. Certo, anche da alcuni settori della gerarchia. Ma soprattutto dalla base, da settori sempre più consistenti dell'associazionismo, da una moltitudine di elettori delusi e senza più alcuna rappresentanza politica credibile e coerente e da persone, gruppi sociali e "movimenti civici" che non intendono più, nell'attuale fase storica italiana, consegnare agli archivi una storia e una cultura politica che continua a conservare una bruciante attualità e anche modernità. Anche e soprattutto nell'affrontare e cercare di risolvere i problemi che attraversano la società contemporanea. E a questa domanda politica, quindi, va data una risposta politica.
Ecco perché, di fronte al tentativo, peraltro legittimo anche se un po' curioso, di Zingaretti e altri di accreditare il futuro PD come partito che può farsi anche tranquillamente carico della cultura cattolico democratica e sociale, è bene essere chiari e coerenti. Certo, il problema non riguarda quegli esponenti cattolico-democratici che hanno la necessità, e la priorità – peraltro comprensibili – di conservare e consolidare il proprio spazio di potere all'interno del futuro PD, o PDS che dir si voglia. Comportamento ovviamente legittimo ma che non va affatto confuso con la riscoperta, la rifondazione e il rilancio della cultura politica popolare di ispirazione cristiana.
È giunto il momento della chiarezza e anche del coraggio. Il profondo cambiamento della geografia politica italiana accompagnato da un nuovo riassetto delle varie forze politiche, ha definitivamente aperto una nuova fase. È inutile, e forse anche inconsapevolmente un po' patetico, riproporre le stesse formule del passato fingendo che tutto è rimasto uguale rispetto ai tempi della fondazione del Partito Democratico nell’ormai lontano 2007. Dopo la felice e feconda stagione veltroniana c'è stata la lunga stagione renziana che ha sostanzialmente distrutto quel PD e con il PD anche il tradizionale centrosinistra. Pensare oggi, come mi pare sostengano a giorni alterni i futuri leader del PD, che si possono riportare tranquillamente indietro le lancette della storia, mi pare più una operazione da furbacchioni che non una credibile e consapevole operazione politica.
È cambiata una fase politica e storica. Dobbiamo prenderne atto tutti. Da Zingaretti ai Popolari, dal futuro PDS, oggi ancora PD, al mondo cattolico seppur variegato e complesso, dagli altri partiti di centrosinistra allo stesso episcopato. Pensare che dopo il voto del 4 marzo tutto si può aggiustare, oltre che un gesto politico irresponsabile sarebbe anche disonesto a livello intellettuale.
E i futuri capi del PD certamente non lo sono.
Caro Merlo, per ora vedo solo molta confusione nell’orizzonte politico dei cattolici. Spero che tutto si chiarisca prima delle europee. Ma davvero in Salvini tu vedi una destra moderna e di stampo europeo? Mah…