Il bene comune sostituisca il liberalismo



Giuseppe Ladetto    18 Dicembre 2018       3

Bene comune e rivoluzione liberale sono riferimenti che talora capita di sentire evocare da una stessa persona (uomo politico, opinionista, conduttore televisivo) quando non addirittura vederli compresi in uno stesso programma politico. Credo che ciò sia una manifestazione della confusione di idee oggi dominante da quando nei partiti (e nei media) è venuto a mancare quel substrato culturale che un tempo reggeva l’elaborazione politica. Dico questo perché la nozione di “bene comune” non è condivisa da tutte le dottrine politiche e sociali, e in particolare ritengo che sia estranea al pensiero liberale oggi dominante.

Bene comune è un concetto caro al mondo cattolico, giunto ad esso dalla filosofia politica greca e romana, per la quale il bene comune è il fine principale della politica. La categoria di bene comune è il punto di riferimento della dottrina sociale della Chiesa: “L’ecologia umana è inseparabile dalla nozione del bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale” ha scritto papa Francesco.

Ma anche al di fuori del mondo cattolico, sono presenti riferimenti al bene comune, unitamente ad altri principi ad esso collegati quali quelli di socialità, solidarietà, e sussidiarietà. Troviamo tali riferimenti nei programmi di movimenti storicamente ispirati da un forte sentimento democratico, per i quali il fine della politica è dare risposte ai bisogni e ai problemi dei cittadini, di cui va sollecitata la partecipazione attiva alla vita del Paese e dei municipi, una partecipazione che non si risolve nel solo momento elettorale. Il bene comune è presente anche nei discorsi dei fautori del comunitarismo, in quelli dei critici dello sviluppo illimitato e di talune correnti ambientaliste e, in qualche misura, è un riferimento anche per i classici movimenti populisti che si richiamano al popolo rappresentato come un aggregato sociale omogeneo e depositario esclusivo di valori positivi.

Se nella società contemporanea il principio del bene comune è condiviso da tutte queste correnti politiche, è tuttavia avversato da quel pensiero neoliberale, oggi dominante, per il quale il bene comune viene strettamente associato al concetto di comunità, una istituzione ritenuta premoderna e quindi superata. Già con l’illuminismo, è stata privilegiata la sfera individuale rispetto alla comunità, e il bene è stato ricondotto ai soli diritti dell’uomo. Fra gli illuministi, solamente Rousseau anteponeva alla “volontà di tutti”, intesa come somma di volontà particolari tendenti all’interesse privato, la “volontà generale” volta al bene comune, declinato tuttavia in modo nuovo poiché ancorato all'idea di bene collettivo (fondato sui bisogni collettivi), un concetto che verrà a caratterizzare il socialismo.

Oggi, per la dominante ideologia neoliberale, il bene comune è un riferimento da respingere. Non avrebbe senso poiché, per i liberali, non esiste alcuna entità in grado di beneficiarne. Come disse Margaret Thatcher, “la società non esiste essendo composta unicamente di individui”: non c’è pertanto bene che possa essere loro comune. L’azione politica, per i liberali, deve essere tesa al benessere sociale che si consegue mirando a soddisfare i soli interessi individuali.

Aggiungo che il concetto di bene comune presuppone una società i cui componenti si riconoscano nella comune concezione del bene e nella condivisione di riferimenti e modi di vivere che manifestino una qualche continuità nel tempo; ma nella moderna società neoliberale, devono convivere differenti, anzi illimitate visioni del mondo e quindi non può essere accettata alcuna definizione del bene (che necessariamente implica una visione condivisa), e meno che mai del bene comune.

È una società di persone fra loro estranee che intrattengono relazioni labili, dettate da interessi o motivazioni contingenti. I sempre nuovi diritti invocati sono intesi a tutelare scopi e interessi meramente individuali.

Così la componente giuridica diventa il contenuto primo delle istituzioni di una società in cui individui fra loro estranei devono regolare in qualche limitata misura i loro rapporti sulla base di principi impersonali e neutrali, come se l’essere umano fosse un'entità astratta, sospesa nel vuoto geografico e temporale. A regolare i rapporti tra gli individui, oltre al diritto, c’è l’economia, che ha nel mercato il suo centro. Questo è il luogo ove l’homo oeconomicus soddisfa le proprie esigenze. L’homo oeconomicus, su cui è costruito il liberalismo, ha fini materiali ed egoistici, agisce esclusivamente per motivi interessati e strumentali; non fa niente per niente; rispetta le istituzioni e le regole sociali e ha il senso dello Stato perché crede che tutto ciò gli sia utile. Per i liberali, l’egoismo che muove ogni azione umana si risolve, grazie al mercato, in una utilità generale a vantaggio della società.

Ma mi pare evidente che i soli rapporti giuridici ed economici non bastino a fondare una società buona o giusta.

La ricerca del bene comune reclama una concezione della politica che non si riduca a “razionalizzazione tecnica” della convivenza sociale con il ricorso ai soli mezzi giuridici ed economici; essa richiede una visione della convivenza per la quale il bene della persona e il bene della società non siano mai in contrasto, ma complementari.

Ai fautori del bene comune, viene frequentemente rivolta l’accusa di essere sostenitori di uno Stato etico in quanto la ricerca del bene comune implica che lo Stato affermi valori volti a tale obiettivo: ne scaturirebbero legislazioni fondate su presupposti di natura ideologica ed espressione di una cultura della proibizione.

Ma chi fa questa critica pone come primo, quando non esclusivo, obiettivo dello Stato il compito di tutelare la libertà individuale, ciò che è a sua volta espressione di una scelta ideologica, quella liberale, che pertanto viene imposta a tutti. Lo Stato, secondo il pensiero liberale, dovrebbe limitarsi a fare l’arbitro nella competizione fra i cittadini tesi a realizzare il proprio bene individuale (secondo la diversa concezione che ciascuno ha di esso), ma non si tiene conto che nella competizione ci sono i vincitori e i vinti, e la libertà risulta essere solo quella di chi vince (individui e ceti sociali) i cui modelli comportamentali, corrispondenti al loro concetto di bene individuale, vengono di fatto imposti a tutta la società. Lo stiamo ormai vedendo tutti i giorni.

Alle tradizionali obiezioni liberali al concetto di bene comune, oggi se ne aggiunge un’altra. Si dice che la società attuale è sempre più interetnica o multiculturale: di conseguenza, uno Stato in cui convivono comunità di differente etnia e cultura non può proporre valori in quanto non potrebbero mai essere condivisi. Ma attenzione, anche una società multietnica necessita di riferimenti comuni senza i quali la convivenza è impossibile.

Il bene comune è un obiettivo ideale, umano e sociale, cui ogni comunità deve tendere costruendone gli elementi in un continuo confronto democratico. Del bene comune, sono comunque evidenti alcuni connotati che rispondono a bisogni radicati e profondi dell’uomo: in primo luogo, la disponibilità per tutti di beni vitali (alimenti, vestiario e abitazioni confacenti) e la tutela della salute; ne fanno parte, inoltre, una vita sociale gratificante e condizioni di sicurezza e di stabilità in tutti gli ambiti dell’esistenza (ambiente, famiglia, lavoro, rapporti sociali, ecc.). Sono esigenze che, per essere soddisfatte, presuppongono la progressiva riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali.

Non concorrono, certamente, alla realizzazione del bene comune coloro che pongono in primo piano la libertà intesa come rimozione di ogni ostacolo alla propria realizzazione e al successo personale: ciò vale sia per i liberisti sia per i libertari, e per quei membri dell’élite meritocratica che (come scrive Zygmunt Bauman) vanno dove le opportunità sono maggiori, sentendosi cittadini del mondo, senza doveri verso alcuna comunità territoriale.

Qualcuno dirà che sono stato ingiusto nei confronti del liberalismo. Ma ci sono vocaboli, come appunto “liberale”, che andrebbero sempre declinati al plurale perché, a seconda di chi li pronuncia e a seconda dei luoghi e dei tempi, assumono significati diversi.

Il liberalismo nella prima metà del XIX secolo è stato l’insegna della libertà e dell’emancipazione dei popoli nella lotta contro l’assolutismo, esaltando, fra gli europei, i sentimenti più nobili e le più alte virtù. È diventato in seguito l’espressione degli interessi della borghesia imprenditoriale e dei ceti possidenti, chiudendosi alle rivendicazioni di giustizia sociale delle classi popolari. In nome del rigetto di ogni autorità e diffidando di ogni potere, ha mirato a rendere sempre più debole il ruolo della politica e quindi di ogni azione collettiva. L’esaltazione della libertà individuale, che ha avuto un ruolo importante nel contrastare i totalitarismi, si è successivamente tradotta nel rifiuto di ogni limite ai desideri individuali e quindi in una forma di hybris.

Oggi, “liberale” è diventato l’abito che indossa il pensiero unico. L’odierno liberalismo privilegia l’individualismo, l’utilitarismo, il cosmopolitismo, l’economicismo, promuove un mercato totalizzante e pervasivo che mira a determinare ogni aspetto della vita in funzione della sola crescita del prodotto interno lordo. Come ha scritto Luciano Gallino, l’ideologia neoliberale ha penetrato ogni ambito della società fino a modificare la stessa natura antropologica delle persone.

Salvaguardare il pluralismo culturale è oggi più che mai essenziale, ma non è più il liberalismo a porsi questo obiettivo.


3 Commenti

  1. Intervento molto interessante e, in questo periodo, opportuno e necessario. Proprio per mettere in rilievo che coloro che intendono schierarsi per il “bene comune” e il “sistema” che ne consegue (che comprende il personalismo solidale e comunitario, la sussidiarietà, la giustizia sociale, la funzione universale dei beni) possono comprendere quali posizioni assumere e da quale parte schierarsi nell’agone pubblico e nell’azione politica. Insieme al bene comune è giusto ricordare l’importanza del pluralismo e della suddivisione dei poteri, proprio per evitare che vi sia una ideologizzazione e lo scadimento in uno Stato etico.

  2. D’accordo, ma il liberalismo thatcheriano oggi è principio filosofico ben presente nell’animo di molte persone (la maggioranza?) che, in campo economico, lo coprono, forse per pudore di apparire troppo egoisti, con l’assioma della “libertà dei mercati”, in cui i liberalistici, guarda caso, si trovano quasi tutti nel lato più forte. Non appare, invece, nel dibattito politico partitico. Tutti si dichiarano operatori per il bene comune!
    Il fatto è che non esiste il Bene Comune; il bene comune è inteso, da ogni partito, movimento, gruppo popolare o culturale ecc., a modo suo proprio.
    In effetti la sana lotta politica dovrebbe essere tra gruppi di persone che hanno contenuti di bene comune differenti, per cui ogni gruppo lotta affinché si affermi il proprio contenuto di bene comune, divenendo il bene comune della comunità; non già fra gruppi di persone che hanno lo stesso contenuto di bene comune, ma che lottano perché ogni gruppo vuole acquisire il potere (lotta di potere)!
    Il bene comune dipende dai valori etici prevalenti in ogni gruppo e, se nessun gruppo ha la maggioranza assoluta della popolazione, sarà una mediazione fra i concetti di bene comune posseduti dai gruppi che trovano un accordo per governare la comunità.
    Beppe Ladetto fa un’esemplificazione del contenuto di bene comune, che non è molto distante da quello presente nei valori cristiani, ma i cristiani, un po’ ovunque, non sentono la responsabilità di entrare nell’agone politico per presentare i propri valori e per far sì che essi democraticamente si affermino.
    Dicono che essi operano come lievito, che non si vede perché opera all’interno della pasta. Sembra che non siano stati così efficaci come l’ideologia neoliberale, secondo le parole di Luciano Gallino.
    Forse se svolgessero la funzione della candela posta sul candelabro per rischiarare la stanza e se il candelabro fosse posto sul monte per rischiarare tutto il mondo…

  3. Devo una replica alle interessanti osservazioni degli amici Ciravegna e Baviera.
    1° Non tutti si pongono come obiettivo il bene comune (sia pure secondo una propria visione dello stesso). Per l’imperante individualismo (e le dottrine che fanno perno su di esso), c’è, per ogni individuo, la sola ricerca del proprio bene; manca totalmente ogni riferimento alla comunità perché l’individualista non ha alcuna appartenenza.
    2°Il bene comune, di cui parlavano già nell’antichità uomini di pensiero, è il bene di una comunità che abita un territorio, non è quanto condividono, a proprio beneficio, gruppi, categorie, ceti, corporazioni, ecc. All’interno della comunità di appartenenza, possono esserci diversi interessi e diverse visioni del bene della comunità stessa. Per questo, il bene comune condiviso si costruisce in un confronto democratico sulla base di quei connotati che rispondono a bisogni radicati e profondi dell’uomo.
    3° Il bene comune è sempre quello di una comunità dai confini ben definiti. E’ certamente opportuno tenere conto delle altre comunità con cui collaborare, ma il bene della propria comunità resta centrale. Sarei pertanto molto cauto nell’introdurre in questo discorso riferimenti di ordine universale (come la condivisione dei beni, a partire da quelli del proprio territorio).
    In proposito, ho già avuto occasione di citare Giacomo Leopardi quando scrive che “Questa signora (la filosofia illuminista) ha trattato l’amor patrio d’illusione. Ha voluto che il mondo fosse tutta una patria… L’effetto è stato che in fatti l’amor di patria non c’è più, ma in vece che tutti gl’individui del mondo riconoscessero una patria, tutte le patrie si son divise in tante patrie quanti sono gl’individui, e la riunione universale promossa dall’egregia filosofia s’è convertita in una separazione individuale”. Mondialismo cosmopolita e individualismo sono le due facce di una stessa medaglia. Certamente il mondialismo cosmopolita non è equivalente all’universalismo, ma sovente ad esso si sovrappone e con esso si confonde: è quanto oggi diffusamente avviene.

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