Chi interpreta il civismo?



Giorgio Merlo    18 Dicembre 2018       0

Dunque, tutti adesso invocano le virtù salvifiche del "civismo" ma pochi, se non pochissimi, sanno come intercettarlo e interpretarlo. Un civismo che si è imposto all'attenzione del dibattito politico per varie motivazioni che vanno dalla persistente sfiducia nei confronti dei partiti alla "discesa" in piazza di settori della società italiana che mal sopportano di essere intermediati dai partiti.

Dalla protesta di Roma contro la sindaca Raggi guidata da un gruppo di giovani donne della capitale alla manifestazione delle cosiddette "madamin" a Torino contro la sindaca Appendino e la politica dei 5 Stelle sul No alla TAV.

Ora, il punto politico della questione è semplice: questa protesta di piazza – organizzata o spontanea che sia ha poca importanza – può cambiare la geografia politica nazionale e locale oppure è destinata a rientrare nei ranghi e ad essere uno strumento di supporto per qualche partito o notabile di partito? Avanzo questa domanda perché qualsiasi protesta di contenuto, o di sistema, assume una valenza politica nel momento in cui si pone come soggetto politico alle elezioni. Oppure, nella versione minore ma anch'essa in campo, come semplice stimolo ad alcune forze politiche che si facciano carico di quelle tesi in vista delle competizioni elettorali locali o nazionali. Questo nodo sarà sciolto solo attraverso il confronto tra la "piazza" e le forze politiche e, soprattutto, nella capacità dei singoli partiti di saper farsi carico di quelle istanze.

Ma c'è un aspetto che merita di essere ricordato in questo interessante protagonismo civico E cioè, la riscoperta della politica e di alcuni specifici contenuti avanzati da gruppi della società civile – come la gestione concreta del comune di Roma o la realizzazione di un progetto dibattuto come la Torino/Lione – corre il rischio poi di essere monopolizzato e gestito da vecchi marpioni della politica e dei partiti? Ovvero, se la protesta è sana, libera, trasparente e spontanea difficilmente potrà essere gestita e patrocinata dai "soliti noti"?

Ecco perché lo stesso civismo è ad un bivio: o riesce a trasformarsi in soggettualità politica e quindi a misurarsi concretamente con i cittadini attorno a un progetto politico e di governo del territorio, oppure inesorabilmente si limita ad essere un elemento di supporto e di invito ad alcuni partiti e ad alcuni esponenti di quei partiti a farsi carico di quelle istanze. È persin scontato arrivare alla conclusione che se dovesse prevalere la seconda ipotesi quel civismo si sgonfierebbe rapidamente per trasformarsi in un semplice prolungamento della propaganda di qualche partito.

Un primo assaggio di questo dibattito lo verificheremo alle prossime elezioni regionali piemontesi. Certo, non può essere solo la TAV l'elemento discriminante di questo dibattito. Anche perché, su quel tema specifico, tutti sanno in Piemonte che la coalizione di centrodestra è unita e compatta mentre l'ex centrosinistra è profondamente diviso perché oltre alla contrarietà di Sinistra Italiana non possiamo dimenticare l'opposizione dei sindaci PD No-TAV della Val Susa. Ci dovrà essere anche dell'altro.

Ma, in ultimo, la vera sfida politica del civismo – anche e soprattutto in vista delle elezioni regionali piemontesi – sarà quella di saper recuperare al voto e all'impegno politico concreto quella porzione di società che si è progressivamente allontanata dalla partecipazione politica e pubblica andando ad ingrossare le fila dell'astensionismo. Su questo versante si giocherà, dunque, l'efficacia e la bontà di questo nuovo ed inedito civismo. Purché il tutto non si traduca solo in una operazione gattopardesca dove un giorno si annunciano grandi proclami politici e di trasparente spontaneismo e il giorno dopo si scopre che i protagonisti della protesta sono e restano semplici supporter di alcuni vecchi professionisti della politica. Solo le scelte concrete, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, ci diranno quale sarà la linea che prevarrà.


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