La grandezza di Luigi Sturzo



Aldo Novellini    28 Novembre 2018       2

Una serie di manifestazioni, organizzate congiuntamente dall'associazione I Popolari del Piemonte e dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin, intende ricordare i cento anni della fondazione del Partito popolare italiano. Il primo appuntamento si è tenuto venerdì 23 novembre nell'ampio salone conferenze del Seminario metropolitano di via XX Settembre a Torino.

Tema di questo incontro iniziale, una riflessione sulla figura di don Sturzo, il sacerdote che diede vita al PPI con il famoso appello “ai liberi e forti”. A introdurre i lavori, il direttore della Fondazione Carlo Donat-Cattin, Gianfranco Morgando e il presidente dei Popolari del Piemonte, Alessandro Risso. A parlare di questo straordinario protagonista della politica italiana, la cui vita attraversò quasi un secolo, due studiosi di Sturzo: il direttore del Centro studi dei Comuni italiani, Lucio D’Ubaldo, e l'economista, ed ex docente all'Università Bocconi di Milano, Marco Vitale.

Luigi Sturzo, nato a Caltagirone in Sicilia, nel 1871, sentì presto sia la vocazione religiosa sia quella, altrettanto forte, verso la politica. Nel 1905 divenne sindaco della sua città natale, dando origine ad un'interessante esperienza municipale, scorgendo proprio nella dimensione comunale la prima, e forse più autentica, cellula della vita politica e sociale del Paese. Su scala nazionale il suo nome iniziò a legarsi al faticoso ingresso dei cattolici nell'arena politica, dopo la rimozione del non expedit, che per espressa volontà del Papa vietava la partecipazione dei fedeli alla vita dello Stato.

Nel 1919 Sturzo fondò il Partito popolare italiano con un programma riformista che aveva come orizzonte la Dottrina sociale della Chiesa. Nessun cedimento però, nonostante fosse un sacerdote, a qualsiasi deriva clericale: le due sfere, quella religiosa e quella politica, nell'idea sturziana, dovevano essere rigorosamente separate.

Il fascismo lo individuò presto come il suo principale nemico, anche per la potenziale capacità del neonato Partito popolare di meglio interpretare le esigenze della società, rispetto al vecchio, ed elitario, liberalismo, e a un socialismo massimalista e parolaio, buono solo a spaventare i ceti medi. Così, anche su pressioni del Vaticano, interessato a venire in qualche modo a patti con Mussolini, il prete siciliano fu costretto all'esilio negli Stati Uniti. Rientrò in Italia nel 1946 a guerra finita, nel periodo in cui nascevano le nuove istituzioni democratiche. E nell'Italia del dopoguerra, nonostante la vittoria della Democrazia cristiana, erede del suo Partito popolare, conobbe non poche amarezze.

Molti suoi principi, specialmente quelli legati alla libertà economica, come elemento  di crescita e responsabilità della persona, entrarono in contrasto con la nuova generazione DC, da Amintore Fanfani e Giuseppe Dossetti, caratterizzata da una forte impronta statalista. Da qui una serie di incomprensioni che portarono l'anziano sacerdote a isolarsi sempre più sino alla morte, avvenuta a 88 anni nel 1959.

Una vita dunque intensa e difficile. Quasi sempre controcorrente: col fascismo prima, ed era inevitabile, data l'inconciliabilità tra l'ideologia littoria e il popolarismo, ma anche – e qui le cose sono più sorprendenti – nel dopoguerra con la DC. “Il suo impegno pubblico – ricorda Vitale – lo vide principale artefice della grande novità dell'ingresso dei cattolici in politica. Avvenimento che Antonio Gramsci considera come il più importante, e il più denso di conseguenze, dopo il Risorgimento e l'unificazione nazionale. Con l'ingresso dei cattolici nell'arena pubblica inizia una presenza che troverà il momento più alto nella stesura della Carta costituzionale cui seguirà la lunga responsabilità di governo nei decenni successivi. L'attività politica di Sturzo mai offuscherà la sua vocazione religiosa; il suo essere, a tutto tondo un sacerdote, in  piena coerenza con lo spirito cristiano ma nello stesso tempo senza dare spazio a qualsiasi approccio confessionale”.

L'appello “ai liberi e forti” del 18 gennaio 1919, giunge dopo una lunga esperienza amministrativa nel comune di Caltagirone. Ai cattolici, a causa del non expedit, era concesso soltanto di operare a livello locale, che Sturzo trasformò da ambito di mera amministrazione a sede di proposta politica. Un comune autonomo dallo Stato ma non isolato, prima cellula a tutela dei bisogni della collettività e punto di partenza per l'attività di governo del Paese.

Sturzo propugna un'economia libera a sfondo solidale, e va considerato un po' l'antesignano di quella che, oltre trent'anni dopo, nei primi anni Cinquanta, sarà l'economia sociale di mercato nella Germania di Konrad Adenauer e Ludwig Erhard. Egli si pone nella prospettiva della Rerum Novarum che propone la collaborazione, e non la lotta, tra le classi, pur riconoscendo al lavoro il primato sul capitale. Impresa e proprietà diffusa sono i cardini della sua visione. Un pensiero, quello sturziano, che contiene molti richiami all'attualità, in particolare riguardo al municipalismo, come società che si governa dal basso, e al popolarismo, come concezione di una politica aperta alla partecipazione delle masse per includerle nella vita del Paese.

“Il suo municipalismo – sottolinea D'Ubaldo – è cosa ben diversa da un dimesso campanilismo da strapaese. Il concetto stesso di comune subisce un'evoluzione: non più l'organismo di vago stampo medievale, come era in Giuseppe Toniolo, imbevuto di forti reminiscenze corporativistiche, ma un ente capace di autogoverno e una sorta di ‘macchina sociale’ a tutela dei più deboli e di una visione inclusiva della società. Proprio da questa esperienza municipale si alimenterà la futura presenza cattolica nella politica italiana: un'ispirazione di fondo che prende le mosse dalla Rerum Novarum. Un percorso sulle orme del programma di Torino del 1899, contrassegnato da dodici punti, esattamente come lo sarà il manifesto ‘ai liberi e forti’ del 1919”. Venti anni che servono a far maturare la proposta del cattolicesimo politico e nella quale Sturzo pone come elemento decisivo il senso di responsabilità verso il Paese, tratto distintivo e peculiare di un modo di far politica avverso a qualsiasi fuga in avanti e a qualunque avventato radicalismo.

Anni dopo, notando la situazione italiana del 1948, con un Parlamento dominato dalla DC che ha appena conquistato la maggioranza assoluta alle elezioni, colse appieno l'importanza che, in qualsiasi sistema politico, ha l'opposizione, arrivando a teorizzare, con due decenni di anticipo su Aldo Moro, la necessità per lo scudo crociato di fare opposizione a se stesso, mantenendo una libera dialettica tra governo, partito e gruppi parlamentari.

Sturzo ammonisce che quando la politica e l'economia non sono sorrette da una forte etica perdono di razionalità e non servono ai bisogni dell'uomo; quasi l'anticipazione dell'attuale strapotere della finanza. E sin dagli anni Trenta, in piena ubriacatura nazionalista, ci parla della necessità di un'unione europea sovranazionale. Grandi intuizioni di un uomo che non fu capito dal suo tempo, ma che oggi può rivelarsi di bruciante attualità.


2 Commenti

  1. L’articolo di Aldo Novellini traccia un ritratto di Sturzo particolarmente espressivo. Il ruolo delle entità sovranazionali trova riconoscimento nell’Appello e nel Programma del ‘19, in quanto si compone con la sovranità popolare e la democrazia, come Luigi Sturzo ribadì al Congresso di Venezia del PPI nel 1921: «Le funzioni fondamentali dello Stato, politica interna, estera, finanze e tesoro, guerra, marina, colonie, giustizia, trattati commerciali, servizi generali, non possono avere che unica espressione popolare: il parlamento nazionale, unico organo di attuazione: il governo dello Stato, unica ragione fondamentale, gl’interessi collettivi della nazione».

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