Chi governa l’Italia continua a inseguire il facile consenso con leggi e leggine di favore per adulti e anziani, senza preoccuparsi del futuro che si troveranno a vivere le giovani generazioni. Un articolo del direttore del sito www.linkiesta.it commenta un semplice e impietoso confronto di dati, realizzato dall’economista Claudio Baccianti, tra la spesa pro capite per gli interessi sul debito pubblico e quella per l’istruzione.
1291 contro 1267.
Stampatevi bene in testa queste due cifre, magari usatele al prossimo corteo studentesco, perché meglio non si può raccontare il furto generazionale che le giovani generazioni italiane stanno subendo, che stiamo sbagliando strada, che stiamo accelerando sulla strada sbagliata, e che se continuiamo così finiremo contro a un muro. 1291 sono gli euro che abbiamo speso pro-capite, tra il 2015 e il 2017 nell’istruzione. 1267 sono invece ciò che ciascuno di noi ha speso, nel medesimo periodo, per gli interessi sul debito pubblico.
L’idea di mettere insieme i due numeri e di confrontarli con quelli di tutte le grandi economie occidentali è venuta al giovane economista Claudio Baccianti, che nel suo sito web “Italia dati alla mano” ha scoperto che in nessun altro Paese europeo queste due grandezze si avvicinano così tanto, al punto di collimare, cosa che probabilmente accadrà nel 2018, peraltro. Per dire: la spesa pro-capite per l’istruzione è una volta e mezzo gli interessi sul debito pro-capite in Spagna, più del doppio nel Regno Unito, due volte e mezzo negli usa, il triplo in Francia, cinque volte tanto in Germania, più di trenta volte in Svizzera o in Finlandia. Persino in Grecia, la spesa pro capite per l’istruzione è una volta e mezzo il debito pro-capite.
Attenzione, che non sono due grandezze a caso, ma sono di fatto la rappresentazione di due orientamenti culturali ben precisi e opposti: quello di chi, per avere benefici domani, investe in istruzione oggi. E quello di chi per avere benefici che non può permettersi oggi, lascia il conto a chi verrà nei prossimi anni. Bastano queste due cifre per comprendere che in Italia il secondo approccio è oggi più che mai egemone, che fonda la sua egemonia sul peso elettorale delle generazioni più anziane e che prospera, in questo contesto, perché non c’è forza politica che possa dirsi immune dalla malattia. Prima che alziate i forconi contro i gialloverdi: questi sono dati relativi al triennio dei mille giorni di Matteo Renzi, preceduto dai mille e rotti giorni di Mario Monti e dagli anni e anni di potere di Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Nessuno di loro ha mai invertito la rotta, nessuno di loro – nemmeno Renzi – ci ha mai davvero provato.
Lega e Cinque Stelle semmai stanno facendo peggio - o meglio: dipende da come la si vede: stanno semplicemente fregandosene della scuola, cui hanno aggiunto e tolto briciole, al solito. E hanno invece rivendicato la volontà politica di fare più deficit - quindi più spesa a debito - per far andare prima la gente in pensione. Il bello è che lo rivendicano, senza nemmeno un briciolo di ipocrisia, quasi fosse un vanto, quello di spendere poco per la scuola e tanto a causa dei debiti contratti.
Se questa è la nostra anomalia, se davvero siamo un Paese che preferisce pagare interessi che ricercatori, forse qualcuno dovrebbe prendersi la briga di farla notare, di costruire su queste due cifre una parvenza di opposizione, anziché passare il tempo attorno ai pugni di Toninelli e ai congiuntivi di Di Maio. Allo stesso modo, sarebbe altrettanto auspicabile che gli studenti puntassero il dito contro questa anomalia. Magari potrebbero chiedere che a ogni euro in più di interessi sul debito se ne aggiunga uno e mezzo in spesa per l’istruzione. Che si renda obbligatorio questo rapporto. Che si ancori il debito che accumuliamo ogni anno per mancette e sussidi a qualcosa che serve per farci crescere. Anzi, alla cosa che serve di più, molto più del debito in sé. Fossimo in chi ci governa, una pensata la faremmo.
1291 contro 1267.
Stampatevi bene in testa queste due cifre, magari usatele al prossimo corteo studentesco, perché meglio non si può raccontare il furto generazionale che le giovani generazioni italiane stanno subendo, che stiamo sbagliando strada, che stiamo accelerando sulla strada sbagliata, e che se continuiamo così finiremo contro a un muro. 1291 sono gli euro che abbiamo speso pro-capite, tra il 2015 e il 2017 nell’istruzione. 1267 sono invece ciò che ciascuno di noi ha speso, nel medesimo periodo, per gli interessi sul debito pubblico.
L’idea di mettere insieme i due numeri e di confrontarli con quelli di tutte le grandi economie occidentali è venuta al giovane economista Claudio Baccianti, che nel suo sito web “Italia dati alla mano” ha scoperto che in nessun altro Paese europeo queste due grandezze si avvicinano così tanto, al punto di collimare, cosa che probabilmente accadrà nel 2018, peraltro. Per dire: la spesa pro-capite per l’istruzione è una volta e mezzo gli interessi sul debito pro-capite in Spagna, più del doppio nel Regno Unito, due volte e mezzo negli usa, il triplo in Francia, cinque volte tanto in Germania, più di trenta volte in Svizzera o in Finlandia. Persino in Grecia, la spesa pro capite per l’istruzione è una volta e mezzo il debito pro-capite.
Attenzione, che non sono due grandezze a caso, ma sono di fatto la rappresentazione di due orientamenti culturali ben precisi e opposti: quello di chi, per avere benefici domani, investe in istruzione oggi. E quello di chi per avere benefici che non può permettersi oggi, lascia il conto a chi verrà nei prossimi anni. Bastano queste due cifre per comprendere che in Italia il secondo approccio è oggi più che mai egemone, che fonda la sua egemonia sul peso elettorale delle generazioni più anziane e che prospera, in questo contesto, perché non c’è forza politica che possa dirsi immune dalla malattia. Prima che alziate i forconi contro i gialloverdi: questi sono dati relativi al triennio dei mille giorni di Matteo Renzi, preceduto dai mille e rotti giorni di Mario Monti e dagli anni e anni di potere di Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Nessuno di loro ha mai invertito la rotta, nessuno di loro – nemmeno Renzi – ci ha mai davvero provato.
Lega e Cinque Stelle semmai stanno facendo peggio - o meglio: dipende da come la si vede: stanno semplicemente fregandosene della scuola, cui hanno aggiunto e tolto briciole, al solito. E hanno invece rivendicato la volontà politica di fare più deficit - quindi più spesa a debito - per far andare prima la gente in pensione. Il bello è che lo rivendicano, senza nemmeno un briciolo di ipocrisia, quasi fosse un vanto, quello di spendere poco per la scuola e tanto a causa dei debiti contratti.
Se questa è la nostra anomalia, se davvero siamo un Paese che preferisce pagare interessi che ricercatori, forse qualcuno dovrebbe prendersi la briga di farla notare, di costruire su queste due cifre una parvenza di opposizione, anziché passare il tempo attorno ai pugni di Toninelli e ai congiuntivi di Di Maio. Allo stesso modo, sarebbe altrettanto auspicabile che gli studenti puntassero il dito contro questa anomalia. Magari potrebbero chiedere che a ogni euro in più di interessi sul debito se ne aggiunga uno e mezzo in spesa per l’istruzione. Che si renda obbligatorio questo rapporto. Che si ancori il debito che accumuliamo ogni anno per mancette e sussidi a qualcosa che serve per farci crescere. Anzi, alla cosa che serve di più, molto più del debito in sé. Fossimo in chi ci governa, una pensata la faremmo.
Paesi che hanno investito efficacemente ed efficientemente nell’istruzione di base, tecnica ed universitaria sono nel tempo usciti da condizioni di diseguaglianza socio-economica, hanno rilanciato lo sviluppo economico e sono ora all’avanguardia a livello europeo: sono la Finlandia, la Danimarca, l’Irlanda, i Paesi baltici, la Slovacchia. Basta comparare e come prescrive il metodo qualità giapponese: “Analizzare, Copiare, Migliorare”.