Dunque, la manifestazione di Torino organizzata da un gruppo di signore dell'alta borghesia subalpina ha registrato un successo di pubblico non indifferente. Al di là dei numeri che, com’è noto, sono sempre ballerini e opinabili. Comunque sia, c'erano migliaia di persone e tanto basta per arrivare alla conclusione che si è trattato di un evento popolare e di massa non secondario.
Ora, tutti concordano almeno su un punto. E cioè, il grande sconfitto dopo questa manifestazione si chiama Movimento 5 Stelle. E, su tutti, il Sindaco Chiara Appendino. E con lei l'intero gruppo dirigente pentastellato che oggi è di fatto isolato nel contesto culturale, produttivo, sociale e politico torinese. Un isolamento che va oltre la stessa manifestazione per il Sì al TAV e per chi l'ha organizzata, a partire dal circuito industriale, giornalistico, editoriale, produttivo e di sistema che a Torino contava, conta e conterà sempre. Si tratta, semmai, di un isolamento frutto di scelte politiche sbagliate che bloccano, alla radice, qualsiasi ipotesi di sviluppo, crescita e rilancio di Torino, e quindi del Piemonte. Allora nessun pregiudizio di carattere ideologico. Anzi.
Meno chiaro, però, è individuare chi ha vinto dopo la manifestazione di sabato 10 novembre in Piazza Castello. Una domanda che serpeggia in quasi tutti i crocicchi politici e giornalistici.
Certo, ha vinto indubbiamente la partecipazione popolare, indotta da una martellante propaganda giornalistica locale – e del relativo sistema di potere – ma soprattutto da un "comune sentire" che ha fatto scendere in piazza persone che per molti anni alle manifestazioni di protesta hanno preferito le passeggiate in via Po, via Roma e piazza San Carlo. Questa volta le cose sono cambiate. Complice il Tav, ma non solo. Se è vero, com'è vero, che addirittura una delle sette organizzatrici della protesta ha detto candidamente durante la trasmissione di Lilli Gruber che lei era sostanzialmente digiuna di qualunque nozione sull’Alta Velocità.
Era una piazza "civica", cioè senza bandiere di partito e con l'obbligo di non dire a nessuno con chi si sta nell’attuale scenario politico. E si è trattato di una piazza che non può essere strumentalizzata da nessuno. Su questo versante è apparso quasi patetico l'atteggiamento del segretario pro tempore del PD Martina, e con lui di altri esponenti di quel partito clamorosamente sconfitto alle elezioni amministrative del 2016, già pronti a sostenere che il PD è il naturale interlocutore di quella piazza civica e popolare. Una deduzione che qualsiasi commentatore, minimamente oggettivo ed imparziale, può tranquillamente smentire senza problema. Qualcuno è arrivato a tracciare un parallelismo con la marcia dei 40mila della FIAT di circa quarant’anni fa. In un clima di crescente confusione e disorientamento tutto è permesso e tollerabile.
Comunque sia, se è abbastanza evidente che chi ha fretta di incassare elettoralmente e rapidamente le ricadute di Piazza Castello – e di altre piazze italiane mobilitate su altri temi ma con massicce presenze popolari politicamente trasversali – può prendersi qualche mese di ferie, è altrettanto vero che la protesta Sì TAV può contribuire a cambiare, almeno parzialmente, la geografia politica del nostro Paese. Come, ad oggi, nessuno lo sa. Ma è indubbio che il "civismo" può essere una carta a sorpresa in tutto il Paese, a macchia di leopardo sicuramente, ma legato da un filo rosso che nutre profonda sfiducia nei confronti dell'incapacità di governo manifestata dai 5 Stelle e non più disponibile a farsi riassorbire da una sinistra ormai del tutto autoreferenziale, incapace di sintonizzarsi con l'onda lunga della protesta e, soprattutto, non in grado di intercettare la sfiducia crescente di ampi ceti popolari e piccolo-medio borghesi.
Discorso diverso riguarda la Lega di Salvini che continua a non sbagliare un colpo nella traduzione concreta del suo programma politico e nella capacità comunicativa del suo capo. Come è emerso platealmente anche dopo la protesta di piazza Castello.
Comunque, il civismo può dar vita a nuove esperienze e addirittura a nuovi soggetti politici, civici e post ideologici. Il tutto al di là delle intenzioni e della volontà degli stessi promotori della bella manifestazione di piazza Castello.
Dunque, nessuna strumentalizzazione e quasi nessuna possibilità per tutti coloro che sono già pronti a incassare politicamente la protesta, la proposta e i desideri di migliaia di cittadini che liberamente sono scesi in piazza per dire Sì alla TAV, Sì allo sviluppo, Sì al lavoro e Sì al futuro.
Ma una riflessione sul nuovo corso della politica italiana è necessaria. Se da un lato sono ritornati di attualità i partiti identitari, dall'altro emerge forte la necessità di raccogliere il consenso nella società attraverso la soluzione a singoli problemi, importanti per una città, una regione o per l'intero Paese. Toccherà ai partiti, o ad altre modalità organizzative, declinare progetti di governo e farsi carico di individuare soluzioni concrete ai problemi che settori crescenti – e culturalmente trasversali – della pubblica opinione pongono all'attenzione di chi vuole impegnarsi nella politica e nell’amministrazione locale.
A volte, e come capita sempre di più, è la categoria dell'imprevedibile a dettare l'agenda politica. Come è stato per la manifestazione di Torino.
Ora, tutti concordano almeno su un punto. E cioè, il grande sconfitto dopo questa manifestazione si chiama Movimento 5 Stelle. E, su tutti, il Sindaco Chiara Appendino. E con lei l'intero gruppo dirigente pentastellato che oggi è di fatto isolato nel contesto culturale, produttivo, sociale e politico torinese. Un isolamento che va oltre la stessa manifestazione per il Sì al TAV e per chi l'ha organizzata, a partire dal circuito industriale, giornalistico, editoriale, produttivo e di sistema che a Torino contava, conta e conterà sempre. Si tratta, semmai, di un isolamento frutto di scelte politiche sbagliate che bloccano, alla radice, qualsiasi ipotesi di sviluppo, crescita e rilancio di Torino, e quindi del Piemonte. Allora nessun pregiudizio di carattere ideologico. Anzi.
Meno chiaro, però, è individuare chi ha vinto dopo la manifestazione di sabato 10 novembre in Piazza Castello. Una domanda che serpeggia in quasi tutti i crocicchi politici e giornalistici.
Certo, ha vinto indubbiamente la partecipazione popolare, indotta da una martellante propaganda giornalistica locale – e del relativo sistema di potere – ma soprattutto da un "comune sentire" che ha fatto scendere in piazza persone che per molti anni alle manifestazioni di protesta hanno preferito le passeggiate in via Po, via Roma e piazza San Carlo. Questa volta le cose sono cambiate. Complice il Tav, ma non solo. Se è vero, com'è vero, che addirittura una delle sette organizzatrici della protesta ha detto candidamente durante la trasmissione di Lilli Gruber che lei era sostanzialmente digiuna di qualunque nozione sull’Alta Velocità.
Era una piazza "civica", cioè senza bandiere di partito e con l'obbligo di non dire a nessuno con chi si sta nell’attuale scenario politico. E si è trattato di una piazza che non può essere strumentalizzata da nessuno. Su questo versante è apparso quasi patetico l'atteggiamento del segretario pro tempore del PD Martina, e con lui di altri esponenti di quel partito clamorosamente sconfitto alle elezioni amministrative del 2016, già pronti a sostenere che il PD è il naturale interlocutore di quella piazza civica e popolare. Una deduzione che qualsiasi commentatore, minimamente oggettivo ed imparziale, può tranquillamente smentire senza problema. Qualcuno è arrivato a tracciare un parallelismo con la marcia dei 40mila della FIAT di circa quarant’anni fa. In un clima di crescente confusione e disorientamento tutto è permesso e tollerabile.
Comunque sia, se è abbastanza evidente che chi ha fretta di incassare elettoralmente e rapidamente le ricadute di Piazza Castello – e di altre piazze italiane mobilitate su altri temi ma con massicce presenze popolari politicamente trasversali – può prendersi qualche mese di ferie, è altrettanto vero che la protesta Sì TAV può contribuire a cambiare, almeno parzialmente, la geografia politica del nostro Paese. Come, ad oggi, nessuno lo sa. Ma è indubbio che il "civismo" può essere una carta a sorpresa in tutto il Paese, a macchia di leopardo sicuramente, ma legato da un filo rosso che nutre profonda sfiducia nei confronti dell'incapacità di governo manifestata dai 5 Stelle e non più disponibile a farsi riassorbire da una sinistra ormai del tutto autoreferenziale, incapace di sintonizzarsi con l'onda lunga della protesta e, soprattutto, non in grado di intercettare la sfiducia crescente di ampi ceti popolari e piccolo-medio borghesi.
Discorso diverso riguarda la Lega di Salvini che continua a non sbagliare un colpo nella traduzione concreta del suo programma politico e nella capacità comunicativa del suo capo. Come è emerso platealmente anche dopo la protesta di piazza Castello.
Comunque, il civismo può dar vita a nuove esperienze e addirittura a nuovi soggetti politici, civici e post ideologici. Il tutto al di là delle intenzioni e della volontà degli stessi promotori della bella manifestazione di piazza Castello.
Dunque, nessuna strumentalizzazione e quasi nessuna possibilità per tutti coloro che sono già pronti a incassare politicamente la protesta, la proposta e i desideri di migliaia di cittadini che liberamente sono scesi in piazza per dire Sì alla TAV, Sì allo sviluppo, Sì al lavoro e Sì al futuro.
Ma una riflessione sul nuovo corso della politica italiana è necessaria. Se da un lato sono ritornati di attualità i partiti identitari, dall'altro emerge forte la necessità di raccogliere il consenso nella società attraverso la soluzione a singoli problemi, importanti per una città, una regione o per l'intero Paese. Toccherà ai partiti, o ad altre modalità organizzative, declinare progetti di governo e farsi carico di individuare soluzioni concrete ai problemi che settori crescenti – e culturalmente trasversali – della pubblica opinione pongono all'attenzione di chi vuole impegnarsi nella politica e nell’amministrazione locale.
A volte, e come capita sempre di più, è la categoria dell'imprevedibile a dettare l'agenda politica. Come è stato per la manifestazione di Torino.
Io c’ero! A tutte le considerazioni aggiungo che si è trattata di una manifestazione prevalentemente di persone adulte e parecchie di età avanzata come me che, se il TAV si farà, non ne vedrà l’inaugurazione. Credo si sia trattato di un meraviglioso atto di responsabilità di gente saggia, perché ha vissuto, nei confronti dei giovani che, come si sa, sono rivoluzionari per istinto e natura. E’ stato fatto perché è dovere dei padri difendere il futuro dei propri figli. Il discorso del noto “comico” è stato accattivante per i giovani ma le persone sagge capiscono perfettamente che la “decrescita felice” porta solo miseria. La crescita porta lavoro e ricchezza ma, ovviamente, va fatta nel rigoroso rispetto dell’ambiente e della tanto declamata “onestà”! Questi giovani a cui abbiamo dato il potere ora mi preoccupano perché sono imbevuti di ideologie senza costrutto che sono foriere di guai seri per la nostra nazione. Se non correggono rapidamente il loro percorso di governo, ci saranno problemi seri per tutti e saremo costretti a combatterli per mandarli a casa dicendo: “era una speranza ma abbiamo sbagliato”!
Non entro in merito alla Tav, ma debbo contraddire l’amico Giuseppe Cicoria quando contrappone la “decrescita felice”, che ci riserva solo povertà, ad uno “sviluppo responsabile”, che ci farà ricchi e felici.
Il ministro dell’Ecologia francese Nicolas Hulot ha dato le dimissioni riconoscendo che l’ecologia non è compatibile con il capitalismo liberale, né con la logica del profitti perché ad essi si devono attribuire la degradazione dell’ambiente e le modificazioni climatiche che oggi vediamo. Su La Stampa (tuttoscienze) di ieri, accanto a fantascientifiche tecnologie per rimediare ai gas serra, c’è il realistico contributo di Jeffrey Sachs (consigliere di tre segretari generali dell’Onu) che, per evitare di giungere alla fine della storia (sottinteso del genere umano), propone un masterplan (da avviare subito) che è palesemente incompatibile con l’attuale modello di sviluppo. Temo che la vera alternativa che ci attende sia fra una decrescita (o scarsa crescita dei consumi individuali) assai poco felice ed una crescita disastrosa e mortifera.