Un linguaggio nuovo per una politica nuova



Oreste Calliano    25 Ottobre 2018       1

Alla due giorni di Susa su Cattolici e politica, peraltro ben organizzata e ricca di contenuti, sono a mio avviso emersi alcuni spunti di riflessione.

  • La fase di transizione tra vecchi paradigmi novecenteschi e nuovi paradigmi ancora in formazione pone la società in uno stato di attesa ansiogena, la cultura in uno stato di “dissolvenza”, la politica in una fase di “afasia gridata”.

  • Occorre individuare le pietre angolari (valori, principi, regole) adatti alla nuova fase che definirei della economia digitalizzata , della prevalenza della tecnologia sulla cultura umanistica, del neo-nazionalismo protezionistico, chiedendoci se si tratta di una società che necessita di nuovi valori o abbisogna dei vecchi-eterni, da riaggiornare linguisticamente.

  • Compito degli intellettuali (di ogni provenienza, settore, formazione) è quello di portare un tassello alla nuova architettura, non più a torre o a grattacielo (dall’alto in basso) ma a rete (orizzontale, interdisciplinare, tra pari) per rendere visibile ciò che ora spesso è opaco, incerto, non ben definito. Cioè essere un po’ profeti e un po’ visionari.

  • Occorre ripartire dal linguaggio, ripulirlo dalle scorie di metà e fine ‘900, decostruirlo e poi , se si è in grado, rielaborarlo e ricostruirlo, al fine di trasformarlo in uno strumento utile a comprendere le nuove realtà, a comunicare tra generazioni per trasferire la tradizione a chi innova e recepire l’innovazione per chi gestisce.

  • Come dicono i cinesi, lo sforzo maggiore è “dare un nome alle cose” soprattutto con un alfabeto fonetico e radicale (intonazione e significato) che, se complicano la comprensione, hanno una ricchezza significativa enorme. Così occorre, nel linguaggio alfabetico occidentale, risalire all’origine storico-linguistica della parola per scoprirne il significato autentico o darle un nuovo significato.


Stimolato da queste riflessioni cercherò di sviluppare un tale metodo sui temi socio-politici che meglio conosco, per dare a chi agisce o intende agire direttamente in politica uno strumentario da collaudare, trasformare in obiettivi politici, ed infine tradurre in parole d’ordine e anche slogan utili ad ottenere ascolto e consenso. Mi auguro che altri contributori di “Rinascita popolare”, correggendomi e integrandomi, possano dare nuovi stimoli a questo percorso.

Parto da una premessa, individuata da Valentino Castellani: il nuovo paradigma che sta emergendo è quello della società, economia, formazione digitalizzata. Se si legge il recente pamphlet The Game di Baricco, che fa la storia della informatizzazione della società ,ci si pongono i problemi che tutti vediamo: chi comanderà in una economia concentrata in pochi attori dell’informazione? chi saranno gli esclusi? quali conseguenze creeranno i rivolgimenti sociali (rilevanza dei social network), culturali (scuola, letteratura, arte), politici (l’esperimento dei 5 Stelle è solo l’inizio di una onda che sta travolgendo i partiti) sull’organizzazione politica e lo stesso linguaggio politico novecentesco (destra/sinistra, conservatori/innovatori, responsabili/progressisti).

Mi chiedo da un po’ quando il linguaggio politico del,’900 si è modificato. Penso che si debba risalire alla insurrezione del ’68, con le sue parole d’ordine ed i suoi slogan. Dalla scuola di Francoforte è stato ripreso (l’uomo a una dimensione) il principio di libertà individuale (dalla comunità ristretta, dalla famiglia patriarcale, dalla repressione sessuale) imputandolo a una cultura catto-comunista del primo ’900 che impediva l’esplicarsi della piena personalità dell’individuo in una società ormai opulenta, che poteva permettersi una fetta di giovani inattivi, improduttivi, avulsi dai processi sociali collettivi, in quanto la gran parte dei cittadini-lavoratori era tenuta alla catena (una dimensione) del sistema capitalistico.

Quindi le parole d’ordine “L’immaginazione al potere” , “Non è che l’inizio, continueremo la battaglia”, il mito della rivoluzione permanente, la mitizzazione di icone perdenti (Che Guevara) o di padri autoritari, ma dissacratori delle tradizioni (Mao). Tipica espressione della protesta e reazione adolescenziale dei figli che non sanno “uccidere”(cioè superare) i padri per diventare adulti, ma si limitano a contestarli nei loro limiti senza saper aprire nuove alternative, progetti, linguaggi costruttivi.

Bravissimi a distruggere il vecchio, meno bravi a proporre il nuovo, che richiede audacia e “prudentia”, pessimi nel proclamare che il metodo “contestatorio” è l’unico che vince. Certo efficace nel breve termine ma poi, intimorendo gli avversari che si coalizzano, devastante. Così sono finite tutte le insurrezioni, da Masaniello a Savonarola alla prima Rivoluzione francese.

È mancato accanto ai proclamati valori della libertà e dell’eguaglianza, il valore della responsabilità (verso la società, in particolare i più deboli, verso le generazioni future, verso la famiglia, verso se stessi).

Eppure gli attori di allora, nel 2018 a 50 anni da quei tristi avvenimenti (tristi per loro, tristi per l’Italia e tristi per l’Europa), seppure ammettendo di aver perso, dichiarano comunque di aver avuto ragione. Evidentemente non hanno mai letto Estremismo, malattia infantile del rivoluzionarismo!

Ma quel linguaggio si è introdotto nei media, nella scuola,  nella cultura, nella politica. Si pensi a “Il corpo è mio e me lo gestisco io” slogan femminista radicale che non teneva in alcun conto il ruolo della paternità in una coppia; oppure a “La libertà di stampa non può essere compressa di fronte alla dignità della persona” (limitando il diritto alla privacy e all’oblio); “L’indipendenza della magistratura è inviolabile anche in tema di pensioni” (recente proroga dei pensionamenti solo per i vertici della Suprema Corte, del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dell’Avvocatura dello Stato). Nei Fratelli Karamazov, Dostoevskij scrive: “Posto che tutti si debba soffrire, per comperare a prezzo di sofferenza la futura armonia, che c’entrano però i bambini, me lo dici tu per favore? È assolutamente incomprensibile perché debbano soffrire anch’essi”. Dove sta scritto che i bambini appena nati devono farsi carico di pensioni sussidiate a beneficio non di persone in difficoltà ma in condizione di agio?. E infine c’è chi sostiene che “l’Università non è una impresa e quindi non deve rendere conto ai suoi stakeholder ( studenti, famiglie, imprese, professioni)” e non si rende conto invece che si tratta di un servizio pubblico pagato dalla collettività con le imposte e spesso a vantaggio dei ceti abbienti, in alcuni casi elusori fiscali.

Si è proclamata la società dei diritti (individuali, sessuali, di genere) come diritti fondamentali senza riequilibrarla con la società dei doveri civici e sociali (solidarietà, difesa dei corpi intermedi , inclusività), aprendo la deriva a un individualismo narcisista, che da un lato ha giovato al “consumismo sfrenato” di cui la società neocapitalista aveva assoluto bisogno, data la sovrapproduzione di beni da smaltire, dall’altro ha reso l’individuo solo, che da “ persona” si è trasformato in “soggetto” neutro, talmente neutro che qualcuno arriva a identificare come “genitore 1 e 2”.

Se questo è il quadro occorre essere innovatori responsabili e iniziare a decostruire e ricostruire un nuovo linguaggio. Possiamo provarci.


1 Commento

  1. Caro Oreste, temo che sulla base di quanto scrivi (e che condivido in ogni parola), finirai per essere considerato un reazionario. Certamente, non bisogna lasciarsene spaventare, ancorché la conseguenza di tale posizione, nel mondo del politicamente corretto, è essere estromesso dal dibattito pubblico. Dobbiamo allora ringraziare Rinascita popolare che consente, come non accade nella più parte dei media, di esprimere liberamente opinioni anche quando non allineate alle tesi dominanti.

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