Il prossimo congresso del PD assume una importanza non secondaria ai fini della ripartenza di un nuovo e rinnovato centrosinistra italiano. Una coalizione sostanzialmente distrutta dalla stagione del comando renziano dove una maldestra "vocazione maggioritaria" accompagnata da una volontà di onnipotenza aveva, di fatto, azzerato ogni sorta di alleanza. E, di conseguenza, cancellando un tassello fondamentale della cultura democratica del nostro Paese, cioè la cultura delle alleanze.
Ora, pare si voglia invertire la rotta sin qui intrapresa, condivisa –.va pur detto senza la solita ipocrisia di rito – dalla stragrande maggioranza di quel partito. Cioè da tutti coloro che sono stati turborenziani per quattro lunghi anni e poi hanno scoperto, improvvisamente e misteriosamente, la necessità di cambiare pagina, arrivando al punto di coltivare l'obiettivo di "derenzizzare" il partito. La lista di questi personaggi, come sempre capita nella politica italiana, non è solo lunga ma addirittura lunghissima. Un nome fra tutti: l'ex sindaco di Torino Piero Fassino.
Ma, al di là di questo fisiologico malcostume, il prossimo congresso del PD – almeno stando ai candidati che oggi appaiono più competitivi – rischia anche di essere una contesa tutta proiettata all'interno della sinistra. Ovvero, viene riproposta in termini aggiornati la storica dicotomia tra altri due veri leader della sinistra italiana, ovvero Veltroni e D'Alema. Perché l'eventuale contesa tra Zingaretti e Minniti rientra in questa lunga e storica dialettica tra le rispettive posizioni politiche che hanno accompagnato l'evoluzione e il cammino della sinistra post-comunista italiana.
Un confronto, seppur arricchito da altre candidature "comparsa" – e fatte salve altre novità, sempre possibili in un partito dominato da svariate bande interne – che però non cancella la vera posta in gioco per un partito come il PD, protagonista di ripetute sconfitte elettorali e incerto sulla stessa prospettiva politica da intraprendere. Ovvero, come rilanciare oggi la sinistra italiana.
Perché di questo si tratta. Anche perché la stragrande maggioranza di quell'elettorato è scivolato su altri partiti andando a ingrossare le fila di partiti antisistema e qualunquisti come i 5 Stelle o di partiti sovranisti e populisti come la Lega di Salvini. Ma quello resta comunque l'obiettivo centrale del PD di oggi, come sottolineano un po' tutti i principali leader di quel partito e i potenziali candidati alla segreteria nazionale.
Proprio all'interno di questo contesto che si inserisce la necessità di ridare voce e rappresentanza anche ad altre culture politiche, altri filoni ideali che possono e devono rafforzare e affinare una coalizione alternativa al blocco sovranista, populista e antisistema. Culture politiche che non sono riconducibili alla storia e all'esperienza della sinistra italiana ma che sono necessarie e indispensabili se si vuole ricostruire una alleanza riformista, democratica, plurale. E con una spiccata cultura di governo. Ed è in questo contesto che si inserisce la necessità, ormai non più prorogabile, di dar vita a un soggetto politico che richiami la tradizione e l'esperienza del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nel nostro Paese.
È perfettamente inutile pensare che il voto del 4 marzo sia stato un semplice incidente di percorso. Ha invece cambiato profondamente la geografia politica del nostro Paese e se si vuole ridare fiato, voce e rappresentanza a una coalizione che rilancia, seppur con venature e modalità diverse, il tradizionale centrosinistra, occorre prendere atto che un partito da solo non può certamente essere esaustivo ed esclusivo. Il PD, appunto, può e deve ritornare ad essere un partito capace di rilanciare e di riattualizzare il pensiero e la cultura della sinistra italiana. Sarebbe curioso, al riguardo, se dopo la continua litania sul recupero di una politica e dell'elettorato di sinistra si pensasse, dopo le ripetute batoste elettorali, di aggirare il nucleo centrale della questione: ovvero, ritornare ad essere un partito autenticamente di sinistra.
Ecco perché è arrivato il momento per recuperare e rilanciare la fecondità e la ricchezza delle singole tradizioni politiche e culturali. Non per chiudersi in un recinto identitario e autoreferenziale ma, al contrario, per ricostruire una casa riformista e plurale che, sola, può essere una vera alternativa democratica al blocco politico e sociale che ha vinto le elezioni del 4 marzo.
Alimentare ulteriori equivoci sarebbe del tutto innaturale e nocivo. A cominciare dal ruolo, dalla identità e dalla prospettiva politica che vuole percorrere il Partito Democratico. Non più un partito pigliatutto, ma un partito che sappia qualificarsi per la sua identità e per la sua mission, cioè ricostruire la sinistra italiana.
Ora, pare si voglia invertire la rotta sin qui intrapresa, condivisa –.va pur detto senza la solita ipocrisia di rito – dalla stragrande maggioranza di quel partito. Cioè da tutti coloro che sono stati turborenziani per quattro lunghi anni e poi hanno scoperto, improvvisamente e misteriosamente, la necessità di cambiare pagina, arrivando al punto di coltivare l'obiettivo di "derenzizzare" il partito. La lista di questi personaggi, come sempre capita nella politica italiana, non è solo lunga ma addirittura lunghissima. Un nome fra tutti: l'ex sindaco di Torino Piero Fassino.
Ma, al di là di questo fisiologico malcostume, il prossimo congresso del PD – almeno stando ai candidati che oggi appaiono più competitivi – rischia anche di essere una contesa tutta proiettata all'interno della sinistra. Ovvero, viene riproposta in termini aggiornati la storica dicotomia tra altri due veri leader della sinistra italiana, ovvero Veltroni e D'Alema. Perché l'eventuale contesa tra Zingaretti e Minniti rientra in questa lunga e storica dialettica tra le rispettive posizioni politiche che hanno accompagnato l'evoluzione e il cammino della sinistra post-comunista italiana.
Un confronto, seppur arricchito da altre candidature "comparsa" – e fatte salve altre novità, sempre possibili in un partito dominato da svariate bande interne – che però non cancella la vera posta in gioco per un partito come il PD, protagonista di ripetute sconfitte elettorali e incerto sulla stessa prospettiva politica da intraprendere. Ovvero, come rilanciare oggi la sinistra italiana.
Perché di questo si tratta. Anche perché la stragrande maggioranza di quell'elettorato è scivolato su altri partiti andando a ingrossare le fila di partiti antisistema e qualunquisti come i 5 Stelle o di partiti sovranisti e populisti come la Lega di Salvini. Ma quello resta comunque l'obiettivo centrale del PD di oggi, come sottolineano un po' tutti i principali leader di quel partito e i potenziali candidati alla segreteria nazionale.
Proprio all'interno di questo contesto che si inserisce la necessità di ridare voce e rappresentanza anche ad altre culture politiche, altri filoni ideali che possono e devono rafforzare e affinare una coalizione alternativa al blocco sovranista, populista e antisistema. Culture politiche che non sono riconducibili alla storia e all'esperienza della sinistra italiana ma che sono necessarie e indispensabili se si vuole ricostruire una alleanza riformista, democratica, plurale. E con una spiccata cultura di governo. Ed è in questo contesto che si inserisce la necessità, ormai non più prorogabile, di dar vita a un soggetto politico che richiami la tradizione e l'esperienza del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nel nostro Paese.
È perfettamente inutile pensare che il voto del 4 marzo sia stato un semplice incidente di percorso. Ha invece cambiato profondamente la geografia politica del nostro Paese e se si vuole ridare fiato, voce e rappresentanza a una coalizione che rilancia, seppur con venature e modalità diverse, il tradizionale centrosinistra, occorre prendere atto che un partito da solo non può certamente essere esaustivo ed esclusivo. Il PD, appunto, può e deve ritornare ad essere un partito capace di rilanciare e di riattualizzare il pensiero e la cultura della sinistra italiana. Sarebbe curioso, al riguardo, se dopo la continua litania sul recupero di una politica e dell'elettorato di sinistra si pensasse, dopo le ripetute batoste elettorali, di aggirare il nucleo centrale della questione: ovvero, ritornare ad essere un partito autenticamente di sinistra.
Ecco perché è arrivato il momento per recuperare e rilanciare la fecondità e la ricchezza delle singole tradizioni politiche e culturali. Non per chiudersi in un recinto identitario e autoreferenziale ma, al contrario, per ricostruire una casa riformista e plurale che, sola, può essere una vera alternativa democratica al blocco politico e sociale che ha vinto le elezioni del 4 marzo.
Alimentare ulteriori equivoci sarebbe del tutto innaturale e nocivo. A cominciare dal ruolo, dalla identità e dalla prospettiva politica che vuole percorrere il Partito Democratico. Non più un partito pigliatutto, ma un partito che sappia qualificarsi per la sua identità e per la sua mission, cioè ricostruire la sinistra italiana.
Quando nacque il PD si dichiarò che si trattava di una esperienza nuova in grado di valorizzare la sinistra ed il centro (cattolico e democratico). Come stanno andando le cose è sotto gli occhi fissi tutti. Ci spiegano però che per ottenere consenso si deve spaventare (Lega) o scandalizzare (M5S). Ma la politica dov’è? Nel vuoto assoluto generale come non sentire la nostalgia verso i valori cattolico-democratici che conservano ancora oggi la loro attualità! Il degrado di oggi è figlio dell’abbandono dei valori in nome della personalizzazione della politica.