Il nostro editoriale sulla “vera contrapposizione” tra cattolici, ripreso anche da “Il Domani d’Italia”, ha avuto qualche centinaio di lettori e ha suscitato significativi interventi. Proprio partendo dalle opinioni di chi ha partecipato al dibattito – che ringrazio per il contributo – cerco di trarre qualche ulteriore considerazione.
Sostanzialmente tutti concordiamo sul fatto che la divisione tra “cattolici del sociale” e “cattolici della morale” abbia poco senso. Anche ammesso che in parte esista, va superata e non riproposta, come ci ha esortati a fare il cardinal Bassetti.
Siamo poi d’accordo con Merlo che “è ancora possibile ridare cittadinanza alla tradizione, ovviamente rinnovata e rivista, del cattolicesimo politico italiano”, e possiamo anche convenire con lui che nel mondo cattolico sta emergendo “una forte domanda di partecipazione politica e di una nuova rappresentanza”. Dice bene Infante che non si tratta di “una esigenza di parte; della nostra parte”, ma “sono le condizioni più generali del Paese a richiedere una presenza organica” dopo l’epoca del bipolarismo, “rivelatosi tanto nefasto per il nostro Paese”. E Chiapello bene si integra con loro quando si domanda: “se non si torna autonomi, liberi, non significa non credere davvero nel valore della propria cultura politica?”.
Tutti d’accordo anche nel ritenere che il pluralismo politico dei cattolici sia un dato “largamente acquisito e radicato” (Merlo), che “la diaspora da noi vissuta negli ultimi 25 anni ha contribuito all’aggravarsi della crisi, non ha aiutato a risolverla” (Infante), e che “un mondo cattolico diventato terreno di divisione, falso unanimismo, aspirazioni personali e altrui conquiste rischia di avere come immagine esplicativa quella dei capponi di Renzo” (Chiapello). Sono poi molti altri i passaggi apprezzabili nei loro interventi: Merlo, da politico navigato, esorta a evitare due rischi “letali per qualsiasi formazione politica che cerca di richiamarsi al patrimonio del cattolicesimo politico italiano. E cioè, dire immediatamente chi è il ‘capo’ di questo movimento e, soprattutto, pronunciarsi sul ‘con chi stai’ ”. Chiapello punta il dito contro “la cedevolezza all'individualismo che ha significato cedimento al turbo liberismo che tanto male ha fatto all'Italia ed all'Europa”. E dall’ampio scritto di Infante riprendo la convinzione che “solo il combinato disposto Costituzione e Dottrina sociale della Chiesa può proporre per affrontare, assieme, i problemi economici e sociali e quelli antropologici che ci stanno investendo”, e che un progetto di rinascita della nostra Italia “deve ruotare attorno al recupero della solidarietà, della giustizia sociale, della valorizzazione delle nostre donne e dei nostri uomini, colti nelle difficoltà quotidiane che, però, non sono solo di ordine materiale”.
Bisogna però riconoscere che né loro né gli altri intervenuti sono entrati nel merito della “vera contrapposizione tra cattolici”, quella tra “democratici” e “conservatori”. Nessuno ha obiettato sulla tesi centrale dell’editoriale, a dire il vero assai ardua da scalfire in quanto supportata non solo dalle chiarissime parole di Luigi Sturzo, ma dalla storia lontana, dalla storia recente e dalle divisioni che vediamo anche oggi, tanto nel laicato quanto nella gerarchia.
Chiavario vorrebbe solo “che le contrapposizioni non fossero assolutizzate”, creando un legame ideale con quanto scrive Infante: “potremmo avere la sorpresa di scoprire che le nostre opinioni finiscono per convergere su gran parte delle soluzioni da offrire al Paese. Scopriremmo che tanto potremmo portare a favore del ‘bene comune’, pur continuando ad avere sensibilità diverse. Vogliamo essere proprio noi a non seguire l’insegnamento di Giovanni XXIII a fare, almeno, un tratto di strada con l’altro viandante che va nella stessa direzione?”
Certo che no, mi viene da rispondere. E aderendo a tale spirito ecumenico non ribadisco la validità storica di quella distinzione e accolgo anche l’osservazione di Calliano e di Zolla sull’inutilità di discutere sulle etichette, ricomprendendovi pure l’attualizzazione della dicotomia tra destra e sinistra. Dimentichiamo quindi gli insegnamenti di Bobbio, reprimiamo i dubbi sull’attualità delle “Amicizie Cattoliche” del Lanteri (torniamo alla Restaurazione post napoleonica…) e assecondiamo la bella frase di don Mazzolari che ci ha ricordato Chiapello, cercando di andare non a destra o a sinistra ma verso l’alto. Dato che parliamo di politica, siamo nella Città dell’Uomo e non nel Regno dei Cieli. Quindi “andare in alto” significa guardare al prossimo, ai suoi problemi colti nella dimensione collettiva.
Ed eccoci arrivati al vero nocciolo delle questioni che stiamo discutendo.
Una qualsiasi iniziativa politica, sia chiami Rete Bianca, Nuova DC, Popolari o Comevipare, si qualifica con le scelte concrete, i programmi. Il PPI di Sturzo fu infatti un partito programmatico, proposto laicamente a tutti i ‘liberi e forti’ esistenti nella società italiana del primo dopoguerra. E oggi più che mai il programma deve concentrarsi sui temi dell’economia e delle crescenti disuguaglianze sociali, provocate soprattutto dalla progressiva scomparsa del lavoro manifatturiero e dalla precarizzazione dei redditi e dei progetti di vita.
La pensiamo così in diversi: “Non basta aderire a uno schieramento riformatore, per esser tali (…) occorre cambiare le politiche (…) per poter attuare nei fatti politiche di concreta riduzione delle disuguaglianze” ( Davicino). “Alla crepa geografica (l’Europa in bilico, ndr) si aggiungono le tante mancanze di equità che restano tra le generazioni, tra le categorie e i gruppi sociali e concorrenti ad aggiungere alle vecchie nuove forme di povertà. Investiti ne sono i ceti medi con i giovani e gli anziani, quasi a confermare che abbiamo creato una società immemore e ingrata verso il passato e, allo stesso tempo, indifferente rispetto al proprio futuro” (Infante). “Salvaguardia dei lavoratori ritornando ad una economia sociale di mercato, difesa delle istituzioni (pensiamo alla pessima riforma delle Province e ai ricorrenti tentativi di manomissione della Costituzione)” sono punti di un possibile programma sottolineati da Chiapello, che si aggiungono a quelli che avevamo elencato: “ rispetto del creato, ricostruzione della coesione sociale, partecipazione ed educazione democratica, valorizzazione dei corpi intermedi, primi fra tutti la famiglia e i municipi”.
Ma soprattutto i “liberi e forti” non possono eludere il problema delle diseguaglianze, da ridurre con politiche solidali, che siano ispirate dal Vangelo o da un laico senso di giustizia sociale.
Come scrivevo, occorre operare “scelte politiche tra bene comune o interessi privati, tra solidarietà o individualismo. Scelte che, necessariamente, sono divisive”. Quindi bisogna avere il coraggio di risposte chiare (che, per inciso, nessuno si è sentito di dare): “patrimoniale sì o patrimoniale no? tassazione progressiva o Flat Tax? taglio delle tasse sul lavoro o abolizione dell’IMU? equità tra persone e generazioni o mantenimento dei privilegi acquisiti? aiuti alle giovani famiglie o spesa sociale sbilanciata sulle pensioni? intransigenza con gli evasori o condoni (palesi e occulti)? uso del contante ridotto alle piccole spese o senza limiti?”.
Dopo tutto, a noi cattolici dovrebbe venire naturale rispondere con chiarezza – “Sia il vostro parlare: ‘sì, sì’, ‘no, no’; il di più viene dal Maligno (Mt 5, 37) –. Non sono questi i tempi per i don Abbondio che cercano di non dispiacere a nessuno, né per contenitori politici che vogliono tenere tutti dentro, creando ambiguità e reticenze.
Infine, anche per rispondere ai dubbi espressi da amici non credenti su proposte politiche a marcata impronta cattolica, vale sempre la pena di sottolineare, come ha fatto Zolla, che ovviamente ogni iniziativa non dovrebbe mai “acquisire natura confessionale”: clericalismo e “gentilonismo” sono estranei al cattolicesimo democratico – saldato invece alla laicità – e ne indeboliscono la presenza e la proposta politica. Dispiacerà sentirlo ripetere, ma tra “sinceramente democratici” e “sinceramente conservatori”, tra “cattolici popolari-sociali-solidali” e “clerico-conservatori” ci sono forti differenze e scelte spesso in contrapposizione.
Riprendiamo allora la citazione di papa Giovanni fatta da Infante, che da sempre mi è cara: “Se incontri un viandante, non chiedergli da dove viene, ma dove sta andando”. Appunto, per camminare insieme possiamo benissimo provenire da culture, esperienze o sensibilità diverse, ma dobbiamo avere una meta chiara e condivisa. Senza un programma definito non si crea una forza politica, e non si va da nessuna parte.
Sostanzialmente tutti concordiamo sul fatto che la divisione tra “cattolici del sociale” e “cattolici della morale” abbia poco senso. Anche ammesso che in parte esista, va superata e non riproposta, come ci ha esortati a fare il cardinal Bassetti.
Siamo poi d’accordo con Merlo che “è ancora possibile ridare cittadinanza alla tradizione, ovviamente rinnovata e rivista, del cattolicesimo politico italiano”, e possiamo anche convenire con lui che nel mondo cattolico sta emergendo “una forte domanda di partecipazione politica e di una nuova rappresentanza”. Dice bene Infante che non si tratta di “una esigenza di parte; della nostra parte”, ma “sono le condizioni più generali del Paese a richiedere una presenza organica” dopo l’epoca del bipolarismo, “rivelatosi tanto nefasto per il nostro Paese”. E Chiapello bene si integra con loro quando si domanda: “se non si torna autonomi, liberi, non significa non credere davvero nel valore della propria cultura politica?”.
Tutti d’accordo anche nel ritenere che il pluralismo politico dei cattolici sia un dato “largamente acquisito e radicato” (Merlo), che “la diaspora da noi vissuta negli ultimi 25 anni ha contribuito all’aggravarsi della crisi, non ha aiutato a risolverla” (Infante), e che “un mondo cattolico diventato terreno di divisione, falso unanimismo, aspirazioni personali e altrui conquiste rischia di avere come immagine esplicativa quella dei capponi di Renzo” (Chiapello). Sono poi molti altri i passaggi apprezzabili nei loro interventi: Merlo, da politico navigato, esorta a evitare due rischi “letali per qualsiasi formazione politica che cerca di richiamarsi al patrimonio del cattolicesimo politico italiano. E cioè, dire immediatamente chi è il ‘capo’ di questo movimento e, soprattutto, pronunciarsi sul ‘con chi stai’ ”. Chiapello punta il dito contro “la cedevolezza all'individualismo che ha significato cedimento al turbo liberismo che tanto male ha fatto all'Italia ed all'Europa”. E dall’ampio scritto di Infante riprendo la convinzione che “solo il combinato disposto Costituzione e Dottrina sociale della Chiesa può proporre per affrontare, assieme, i problemi economici e sociali e quelli antropologici che ci stanno investendo”, e che un progetto di rinascita della nostra Italia “deve ruotare attorno al recupero della solidarietà, della giustizia sociale, della valorizzazione delle nostre donne e dei nostri uomini, colti nelle difficoltà quotidiane che, però, non sono solo di ordine materiale”.
Bisogna però riconoscere che né loro né gli altri intervenuti sono entrati nel merito della “vera contrapposizione tra cattolici”, quella tra “democratici” e “conservatori”. Nessuno ha obiettato sulla tesi centrale dell’editoriale, a dire il vero assai ardua da scalfire in quanto supportata non solo dalle chiarissime parole di Luigi Sturzo, ma dalla storia lontana, dalla storia recente e dalle divisioni che vediamo anche oggi, tanto nel laicato quanto nella gerarchia.
Chiavario vorrebbe solo “che le contrapposizioni non fossero assolutizzate”, creando un legame ideale con quanto scrive Infante: “potremmo avere la sorpresa di scoprire che le nostre opinioni finiscono per convergere su gran parte delle soluzioni da offrire al Paese. Scopriremmo che tanto potremmo portare a favore del ‘bene comune’, pur continuando ad avere sensibilità diverse. Vogliamo essere proprio noi a non seguire l’insegnamento di Giovanni XXIII a fare, almeno, un tratto di strada con l’altro viandante che va nella stessa direzione?”
Certo che no, mi viene da rispondere. E aderendo a tale spirito ecumenico non ribadisco la validità storica di quella distinzione e accolgo anche l’osservazione di Calliano e di Zolla sull’inutilità di discutere sulle etichette, ricomprendendovi pure l’attualizzazione della dicotomia tra destra e sinistra. Dimentichiamo quindi gli insegnamenti di Bobbio, reprimiamo i dubbi sull’attualità delle “Amicizie Cattoliche” del Lanteri (torniamo alla Restaurazione post napoleonica…) e assecondiamo la bella frase di don Mazzolari che ci ha ricordato Chiapello, cercando di andare non a destra o a sinistra ma verso l’alto. Dato che parliamo di politica, siamo nella Città dell’Uomo e non nel Regno dei Cieli. Quindi “andare in alto” significa guardare al prossimo, ai suoi problemi colti nella dimensione collettiva.
Ed eccoci arrivati al vero nocciolo delle questioni che stiamo discutendo.
Una qualsiasi iniziativa politica, sia chiami Rete Bianca, Nuova DC, Popolari o Comevipare, si qualifica con le scelte concrete, i programmi. Il PPI di Sturzo fu infatti un partito programmatico, proposto laicamente a tutti i ‘liberi e forti’ esistenti nella società italiana del primo dopoguerra. E oggi più che mai il programma deve concentrarsi sui temi dell’economia e delle crescenti disuguaglianze sociali, provocate soprattutto dalla progressiva scomparsa del lavoro manifatturiero e dalla precarizzazione dei redditi e dei progetti di vita.
La pensiamo così in diversi: “Non basta aderire a uno schieramento riformatore, per esser tali (…) occorre cambiare le politiche (…) per poter attuare nei fatti politiche di concreta riduzione delle disuguaglianze” ( Davicino). “Alla crepa geografica (l’Europa in bilico, ndr) si aggiungono le tante mancanze di equità che restano tra le generazioni, tra le categorie e i gruppi sociali e concorrenti ad aggiungere alle vecchie nuove forme di povertà. Investiti ne sono i ceti medi con i giovani e gli anziani, quasi a confermare che abbiamo creato una società immemore e ingrata verso il passato e, allo stesso tempo, indifferente rispetto al proprio futuro” (Infante). “Salvaguardia dei lavoratori ritornando ad una economia sociale di mercato, difesa delle istituzioni (pensiamo alla pessima riforma delle Province e ai ricorrenti tentativi di manomissione della Costituzione)” sono punti di un possibile programma sottolineati da Chiapello, che si aggiungono a quelli che avevamo elencato: “ rispetto del creato, ricostruzione della coesione sociale, partecipazione ed educazione democratica, valorizzazione dei corpi intermedi, primi fra tutti la famiglia e i municipi”.
Ma soprattutto i “liberi e forti” non possono eludere il problema delle diseguaglianze, da ridurre con politiche solidali, che siano ispirate dal Vangelo o da un laico senso di giustizia sociale.
Come scrivevo, occorre operare “scelte politiche tra bene comune o interessi privati, tra solidarietà o individualismo. Scelte che, necessariamente, sono divisive”. Quindi bisogna avere il coraggio di risposte chiare (che, per inciso, nessuno si è sentito di dare): “patrimoniale sì o patrimoniale no? tassazione progressiva o Flat Tax? taglio delle tasse sul lavoro o abolizione dell’IMU? equità tra persone e generazioni o mantenimento dei privilegi acquisiti? aiuti alle giovani famiglie o spesa sociale sbilanciata sulle pensioni? intransigenza con gli evasori o condoni (palesi e occulti)? uso del contante ridotto alle piccole spese o senza limiti?”.
Dopo tutto, a noi cattolici dovrebbe venire naturale rispondere con chiarezza – “Sia il vostro parlare: ‘sì, sì’, ‘no, no’; il di più viene dal Maligno (Mt 5, 37) –. Non sono questi i tempi per i don Abbondio che cercano di non dispiacere a nessuno, né per contenitori politici che vogliono tenere tutti dentro, creando ambiguità e reticenze.
Infine, anche per rispondere ai dubbi espressi da amici non credenti su proposte politiche a marcata impronta cattolica, vale sempre la pena di sottolineare, come ha fatto Zolla, che ovviamente ogni iniziativa non dovrebbe mai “acquisire natura confessionale”: clericalismo e “gentilonismo” sono estranei al cattolicesimo democratico – saldato invece alla laicità – e ne indeboliscono la presenza e la proposta politica. Dispiacerà sentirlo ripetere, ma tra “sinceramente democratici” e “sinceramente conservatori”, tra “cattolici popolari-sociali-solidali” e “clerico-conservatori” ci sono forti differenze e scelte spesso in contrapposizione.
Riprendiamo allora la citazione di papa Giovanni fatta da Infante, che da sempre mi è cara: “Se incontri un viandante, non chiedergli da dove viene, ma dove sta andando”. Appunto, per camminare insieme possiamo benissimo provenire da culture, esperienze o sensibilità diverse, ma dobbiamo avere una meta chiara e condivisa. Senza un programma definito non si crea una forza politica, e non si va da nessuna parte.
Sono sincero: ho seguito con qualche difficoltà le dotte disquisizioni degli amici giacché ho un preparazione non filosoficamente professorale ma prevalentemente economica. Le conclusioni di Alessandro sono però quelle ovvie: bisogna inventarsi un aggiornamento dei vecchi programmi ormai obsoleti. Tutto è cambiato se si guarda soltanto al principio della solidarietà in un mondo diventato molto piccolo a seguito dei progressi incredibili della tecnologia e dei mezzi di comunicazione.
Ottima sintesi ragionata di un dibattito di grande attualità e dalle potenzialità sorprendenti.
Condivido le sempre opportune considerazioni sulle prospettive dei popolari oggi; anche perchè evitano di parlare di schieramenti senza aver prima pensato soprattutto al programma e alla collocazione al fianco dei deboli e della socialità.
Due sole aggiunte: non sempre e tutte le scelte sono cosi “secche” come proposto (ad esempio si deve essere per politiche famigliari, ma nel contempo per adeguare le pensioni più basse, trovare modalità perchè i giovani di oggi abbiano possibilità di accedervi prima della morte, e consentire di ritirarsi dal lavoro prima di essere decrepiti); perciò per il cosiddetto conflitto generazionale si possono trovare modalità di gestione che stemperino tante contrapposizioni tra misure economiche.
E poi avere come prospettiva sempre la costruzione della Comunità federata europea: l’Europa va cambiata, ma dobbiamo riaffermare che anche noi siamo Europa e vogliamo uno Stato più grande.
Concordo con la sostanza del suo discorso, si parli di contenuti, si cerchi la bussola dentro casa e non guardando altrove. Sia questo il bagaglio e luce del cammino e se ciò è condiviso sinceramente da altri anche al di fuori del perimetro cattolico cristiano: non vietare bensì accogliere.
Ma dice bene serve chiarezza e posizione chiara. Io su questo tavolo porto il mio, immigrazione possibile che tra accoglienza e respingere, per riassumere anche in modo molto rude, pare non lasciare spazi ad altre visioni. Il guaio per me è che nemmeno si vuole riflettere, ecco un punto fondamentale, non si riflette ed è andata in disuso la propria capacità di discernimento. Usiamo la voce non per mettere in discussione tutto ma per avere l’umiltà di capire il dolore e la confusione che attanaglia questo nostro mondo: il segreto di che mondo vogliamo l’abbiamo custodito da secoli e non è cambiato, a cambiare siamo stati Noi.
Quali cattolici ?
Quello che si cerca di ricostituire é LA DC MI PARE
Cattolici ci possono essere E CI SONO STATI anche nella LEGA, NEL PD ETC
IN FORZA ITALIA, NEL PRI
ANCHE FONTANA DELLA LEGA E’ UN CATTOLICO
ANCHE RUTELLI ERA (e’?) CATTOLICO
LA SECONDA DOMANDA DOVREBBE ESSERE QUALE DC ?
QUELLA DI DE GASPERI, DI STURZO E MALAVASI
QUELLA DI MORO O FANFANI?
O QUELLA DI FORLANI O DE MITA ?