«La dimensione della personalità di don Franco Peradotto l’ho avuta nel 1996. Ero sindaco di Torino dal 1993 e, in ottemperanza a una legge della Regione Piemonte, in Comune facemmo una delibera per assegnare gli alloggi popolari anche a quelle che oggi chiamiamo “coppie di fatto”: non erano omosessuali ma conviventi non sposati. Il cardinale arcivescovo Giovanni Saldarini, prese una posizione molto dura. Con un fax in Municipio ci (e mi) rammentò la posizione della Chiesa: la famiglia è solo quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna».
Il PDS chiedeva una legge sulle coppie di fatto; i Verdi ricordavano che quella era una norma varata dalla Regione, presieduta da un cattolico doc come Gian Paolo Brizio. «Io dissi che il Comune era obbligato ad applicare la legge regionale e che le abitudini sessuali non dovevano interessarci. Andai da don Franco in Curia e gli raccontai la mia amarezza di cattolico impegnato in politica “sgridato” dal suo vescovo. Lui non disse se avevo ragione io o l’arcivescovo ma: “Vai e comportati come ti dice la tua coscienza”».
L’episodio è raccontato dall’ex sindaco di Torino, Valentino Castellani, alla presentazione del volume di Pier Giuseppe Accornero Franco Peradotto prete giornalista e il suo tempo (Effatà). Castellani si laureò in ingegneria elettronica nel 1963 al Politecnico di Torino. Risale ad allora la conoscenza con don Peradotto: «Eravamo giovani e prendemmo sul serio l’enciclica Mater et magistra di Giovanni XXIII che ci spingeva alla solidarietà con il Terzo Mondo. Con Giorgio Ceragioli demmo vita alla Quaresima di Fraternità e don Franco ci appoggiò. Andavo a trovarlo ricoverato al “Cottolengo” e mi accoglieva: “Ma cosa viene a fare il sindaco da me?”».
Commossi i ricordi da Diego Novelli, sindaco comunista dal 1975 al 1985, figlio di un antifascista, cresciuto in un oratorio salesiano: «Un pomeriggio dell’estate 1977 don Franco mi telefonò. Pellegrino voleva parlare di ciò che stava accadendo: il terrorismo e le agitazioni sociali. Presente Peradotto, ebbi l’impressione che il cardinal Pellegrino non avesse colto la drammaticità della situazione che mi sprofondava nel più nero pessimismo. Reagii alla sua apparente insensibilità e gli dissi con tono risentito: “Lei è sereno perché crede in Dio e quando un credente vive momenti drammatici, apre il rubinetto della bombola della fede, ne tira una boccata e torna sereno. Purtroppo io non ho questa fortuna e mi trovo terribilmente solo”. Pellegrino mi rispose: “Lei non crede in Dio ma crede negli uomini. Ricorderà la proprietà transitiva in geometria: se in un triangolo l’angolo A è uguale all’angolo B e questo è uguale all’angolo C, vuol dire che gli angoli A e C sono uguali. Se A è Dio, B sono gli uomini, vuol dire che lei, credendo negli uomini, crede anche in Dio. La fede non è l’isola dei beoti: richiede coerenza, rigore, tormento, verifiche”. Don Franco, sorridendo, disse: “Adesso possiamo andare”. In piazza San Carlo mi offrì un caffè. Mi disse: “Se ben ricordo la proprietà transitiva vale per i triangoli equilateri. Mica male!”».
Franco Peradotto (1928-2010) è stato stretto collaboratore di quattro arcivescovi (Michele Pellegrino, Anastasio Ballestrero, Giovanni Saldarini, Severino Poletto) con mansioni sempre più impegnative: viceparroco e assistente dell’Azione Cattolica; giornalista professionista e capo della redazione de “L’Italia” (poi “Avvenire”), collaboratore di numerose testate, direttore de “La Voce del Popolo”; vicario episcopale e vicario generale; rettore del santuario della Consolata e “civis taurinensis”. Uno dei padri fondatori e secondo presidente della Federazione settimanali cattolici; animatore del Centro orientamento pastorale; collaboratore della Conferenza episcopale italiana. Gira la Penisola a portare la Parola di Dio e a parlare del Vaticano II. “ponte” tra il Duomo e il Municipio, tra i cattolici e i laici, dialoga nelle parrocchie, nelle sezioni politiche e sindacali, nei circoli borghesi, con i laici, i comunisti, i non credenti.
Umanità e dialogo sono le sue principali caratteristiche. Lo confermano i relatori testimoni all’incontro torinese.
Gianfranco Morgando, direttore della Fondazione Donat-Cattin: «Sono canavesano come lui. Quando ci incontravamo ci salutavamo: “Canavese”, “Canavese sempre”. Per anni fu nel Consiglio d’amministrazione della Fondazione in rappresentanza della diocesi».
Ottavio Losana, segretario del Consiglio Pastorale diocesano: «Pellegrino era molto coraggioso. Chiese a me di diventare segretario del Pastorale: non mi conosceva per nulla, provenivo dall’esperienza scoutistica. Don Franco gli suggerì il mio nome. Nei convegni nazionali venivamo segnati a dito: “Quelli che prendono l’ostia in mano vengono da Torino”. Tutti gli altri continuavano a mostrare la lingua. Accanto a Pellegrino, o appena un passo dietro di lui, c’era don Franco Peradotto. Il vescovo era la mente e il cuore, don Franco ne era il braccio, sempre presente e mai stanco. Scontò la fedeltà a Pellegrino e alla lettera pastorale “Camminare insieme”, e non fu mai fatto vescovo».
Marco Bonatti, collaboratore e primo successore alla direzione de “La Voce del Popolo” ricorda «le mie notti con lui quando lo portavo a tenere qualche conferenza e lo riportavo a casa. Le sue erano lezioni di vita, di fede, di giornalismo. Un prete che non aveva il male della pietra come tanti parroci, e non era per niente clericale, come constatarono in tutta Italia con sua attività nazionale».
«Grazie alla spinta di don Franco, alle elezioni universitarie dopo il Sessantotto – racconta l’ex consigliere e assessore regionale Giampiero Leo – abbiamo fatto una lista di cattolici popolari che ha avuto buon successo. È stato un vero politico senza essere uomo di partito».
La giornalista Marina Lomunno: «Fui la prima donna a essere assunta da lui. Mi disse: “Sono molto contento, ma lavorando per la Chiesa devi preservare la fede”».
Monsignor Pier Giorgio Micchiardi, vescovo emerito di Acqui Terme: «Abbiamo lavorato bene insieme, io come vescovo ausiliare e vicario generale, lui come pro-vicario generale. Aveva una grande umiltà».
La nipote Laura: «Abbiamo avuto il privilegio di averlo come zio. Ci manca molto».
Guido Bodrato, ex parlamentare ed ex ministro: «Veniva e casa di mia sorella come assistente delle Équipes Nôtre-Dame e infondeva tranquillità e serenità».
L’economista Pier Carlo Frigero: «Era amico di tutti. Nella Giunta del Consiglio Pastorale portava allegria».
Ma si riconoscerebbe in Franco Peradotto prete giornalista e il suo tempo? Qui risponde don Pier Giuseppe Accornero, che ha scritto la corposa biografia di oltre 500 pagine prevalentemente con ritagli di giornali e rassegne stampa: «Spero di sì. Forse mi sgriderebbe perché non ho insistito abbastanza sulla sua fame e sete di pregare».
Il PDS chiedeva una legge sulle coppie di fatto; i Verdi ricordavano che quella era una norma varata dalla Regione, presieduta da un cattolico doc come Gian Paolo Brizio. «Io dissi che il Comune era obbligato ad applicare la legge regionale e che le abitudini sessuali non dovevano interessarci. Andai da don Franco in Curia e gli raccontai la mia amarezza di cattolico impegnato in politica “sgridato” dal suo vescovo. Lui non disse se avevo ragione io o l’arcivescovo ma: “Vai e comportati come ti dice la tua coscienza”».
L’episodio è raccontato dall’ex sindaco di Torino, Valentino Castellani, alla presentazione del volume di Pier Giuseppe Accornero Franco Peradotto prete giornalista e il suo tempo (Effatà). Castellani si laureò in ingegneria elettronica nel 1963 al Politecnico di Torino. Risale ad allora la conoscenza con don Peradotto: «Eravamo giovani e prendemmo sul serio l’enciclica Mater et magistra di Giovanni XXIII che ci spingeva alla solidarietà con il Terzo Mondo. Con Giorgio Ceragioli demmo vita alla Quaresima di Fraternità e don Franco ci appoggiò. Andavo a trovarlo ricoverato al “Cottolengo” e mi accoglieva: “Ma cosa viene a fare il sindaco da me?”».
Commossi i ricordi da Diego Novelli, sindaco comunista dal 1975 al 1985, figlio di un antifascista, cresciuto in un oratorio salesiano: «Un pomeriggio dell’estate 1977 don Franco mi telefonò. Pellegrino voleva parlare di ciò che stava accadendo: il terrorismo e le agitazioni sociali. Presente Peradotto, ebbi l’impressione che il cardinal Pellegrino non avesse colto la drammaticità della situazione che mi sprofondava nel più nero pessimismo. Reagii alla sua apparente insensibilità e gli dissi con tono risentito: “Lei è sereno perché crede in Dio e quando un credente vive momenti drammatici, apre il rubinetto della bombola della fede, ne tira una boccata e torna sereno. Purtroppo io non ho questa fortuna e mi trovo terribilmente solo”. Pellegrino mi rispose: “Lei non crede in Dio ma crede negli uomini. Ricorderà la proprietà transitiva in geometria: se in un triangolo l’angolo A è uguale all’angolo B e questo è uguale all’angolo C, vuol dire che gli angoli A e C sono uguali. Se A è Dio, B sono gli uomini, vuol dire che lei, credendo negli uomini, crede anche in Dio. La fede non è l’isola dei beoti: richiede coerenza, rigore, tormento, verifiche”. Don Franco, sorridendo, disse: “Adesso possiamo andare”. In piazza San Carlo mi offrì un caffè. Mi disse: “Se ben ricordo la proprietà transitiva vale per i triangoli equilateri. Mica male!”».
Franco Peradotto (1928-2010) è stato stretto collaboratore di quattro arcivescovi (Michele Pellegrino, Anastasio Ballestrero, Giovanni Saldarini, Severino Poletto) con mansioni sempre più impegnative: viceparroco e assistente dell’Azione Cattolica; giornalista professionista e capo della redazione de “L’Italia” (poi “Avvenire”), collaboratore di numerose testate, direttore de “La Voce del Popolo”; vicario episcopale e vicario generale; rettore del santuario della Consolata e “civis taurinensis”. Uno dei padri fondatori e secondo presidente della Federazione settimanali cattolici; animatore del Centro orientamento pastorale; collaboratore della Conferenza episcopale italiana. Gira la Penisola a portare la Parola di Dio e a parlare del Vaticano II. “ponte” tra il Duomo e il Municipio, tra i cattolici e i laici, dialoga nelle parrocchie, nelle sezioni politiche e sindacali, nei circoli borghesi, con i laici, i comunisti, i non credenti.
Umanità e dialogo sono le sue principali caratteristiche. Lo confermano i relatori testimoni all’incontro torinese.
Gianfranco Morgando, direttore della Fondazione Donat-Cattin: «Sono canavesano come lui. Quando ci incontravamo ci salutavamo: “Canavese”, “Canavese sempre”. Per anni fu nel Consiglio d’amministrazione della Fondazione in rappresentanza della diocesi».
Ottavio Losana, segretario del Consiglio Pastorale diocesano: «Pellegrino era molto coraggioso. Chiese a me di diventare segretario del Pastorale: non mi conosceva per nulla, provenivo dall’esperienza scoutistica. Don Franco gli suggerì il mio nome. Nei convegni nazionali venivamo segnati a dito: “Quelli che prendono l’ostia in mano vengono da Torino”. Tutti gli altri continuavano a mostrare la lingua. Accanto a Pellegrino, o appena un passo dietro di lui, c’era don Franco Peradotto. Il vescovo era la mente e il cuore, don Franco ne era il braccio, sempre presente e mai stanco. Scontò la fedeltà a Pellegrino e alla lettera pastorale “Camminare insieme”, e non fu mai fatto vescovo».
Marco Bonatti, collaboratore e primo successore alla direzione de “La Voce del Popolo” ricorda «le mie notti con lui quando lo portavo a tenere qualche conferenza e lo riportavo a casa. Le sue erano lezioni di vita, di fede, di giornalismo. Un prete che non aveva il male della pietra come tanti parroci, e non era per niente clericale, come constatarono in tutta Italia con sua attività nazionale».
«Grazie alla spinta di don Franco, alle elezioni universitarie dopo il Sessantotto – racconta l’ex consigliere e assessore regionale Giampiero Leo – abbiamo fatto una lista di cattolici popolari che ha avuto buon successo. È stato un vero politico senza essere uomo di partito».
La giornalista Marina Lomunno: «Fui la prima donna a essere assunta da lui. Mi disse: “Sono molto contento, ma lavorando per la Chiesa devi preservare la fede”».
Monsignor Pier Giorgio Micchiardi, vescovo emerito di Acqui Terme: «Abbiamo lavorato bene insieme, io come vescovo ausiliare e vicario generale, lui come pro-vicario generale. Aveva una grande umiltà».
La nipote Laura: «Abbiamo avuto il privilegio di averlo come zio. Ci manca molto».
Guido Bodrato, ex parlamentare ed ex ministro: «Veniva e casa di mia sorella come assistente delle Équipes Nôtre-Dame e infondeva tranquillità e serenità».
L’economista Pier Carlo Frigero: «Era amico di tutti. Nella Giunta del Consiglio Pastorale portava allegria».
Ma si riconoscerebbe in Franco Peradotto prete giornalista e il suo tempo? Qui risponde don Pier Giuseppe Accornero, che ha scritto la corposa biografia di oltre 500 pagine prevalentemente con ritagli di giornali e rassegne stampa: «Spero di sì. Forse mi sgriderebbe perché non ho insistito abbastanza sulla sua fame e sete di pregare».
Don Franco, informato ad una cena in casa della pratica del nostro Gruppo Guatemala (convivio cristiano con commento della lettura da parte di un laico) mi chiese: è presente un ” ministro”? Certo risposi, sempre. Allora anche la nostra cena potrebbe essere un convivio cristiano. Che uomo!