Ispirazione e obiettivo condivisibili quelli espressi da Valter Veltroni nel suo recente articolo su “La Repubblica”. Chi lo volesse prima leggere, può cliccare qui.
Ci sono tuttavia quattro omissioni, riparabili a mio modo di vedere, che indicano ancora quali passi debba fare la “sinistra” sulla strada della rigenerazione.
1. La "percezione" di quello che sta accadendo.
Limitare l’analisi all’effetto conclamato di disamore e addirittura di ostilità verso l’Europa e l’idea di fermare la globalizzazione da parte dell’elettorato significa cogliere la dimensione politica internazionale della “risposta” che nasce oggi dalla destra nei Parlamenti e nei social media, tralasciando maldestramente il (ri)sentimento tutto rivolto all’interno del Paese verso una classe dirigente (politica, istituzionale, economica, finanziaria, culturale) che ha mostrato la sua efficienza nel rafforzare le proprie posizioni e di trascurare la responsabilità verso l’insieme sociale da far crescere ed equilibrare.
La percezione dal basso di quel che sta accadendo e che tuttora (certa) “sinistra”, (certi) “democratici” ragionino avendo la pancia piena, ossia non avendo reali preoccupazioni per quanto concerne mettere insieme il proprio pasto e la propria cena, in senso reale e metaforico. Mentre la gran parte della gente, del “popolo”, si misura con l’esatto incastro fra il salario e i consumi mensili, quando non con l’assenza del lavoro, o con la retribuzione da meno di 5 euro all’ora senza contributi o con la durata semestrale dei contratti.
Il progetto della Sinistra al governo deve dare risposte a partire da come essa pensi debba essere gestita l’economia delle famiglie: le entrate e le uscite, la tutela della salute e l’incidenza delle tasse, la prospettiva di crescere i figli e di badare agli anziani. Non basta l’analisi (le famiglie italiane hanno perso undici punti di reddito rispetto alla fase pre-crisi, la differenza tra ricchi e poveri è aumentata), si deve pronunciare qualche idea soluzione, mettere sul tavolo qualche carta su cui scommettere.
E non disdegnare l’impresa diffusa delle “partite Iva” a favore unicamente delle grandi imprese.
2. La sinistra, per come la intendo, era nel sacrificio di Ian Palach e non nei carri armati.
Grande il riferimento al martire della primavera di Praga Ma quanti iscritti al Partito strapparono la tessera dopo quel fatto? o quanti – come può aver fatto lo stesso Veltroni – decisero di “lavorare dall’interno” per correggere l’ideologismo della Sinistra? Ma non è questo l’argomento da mettere a fuoco.
Piuttosto, il compianto (postumo) per le vittime del totalitarismo rosso è pernicioso se non si prendono le misure di quello che nei cinque decenni ultimi è ancora accaduto in nome del “comunismo di Stato” o di una malintesa “rivoluzione popolare”. E se non si procede a denunciare quanto oggi stesso stanno perpetrando regimi che si coprono di retorica “di sinistra” per violentare il popolo che dovrebbero accompagnare verso “il Sol dell’avvenire” (vedi ad esempio Venezuela, Nicaragua, Eritrea: e lo si riconosca pur con la personale sofferenza per aver confidato nel sogno antimperialista), la stessa nobile sublimazione del concetto di sinistra quale “democrazia pura” è poco credibile.
3. Un partito orizzontale, fatto di cittadini e movimenti, di associazioni e autonome organizzazioni.
L’idea di radunare le persone in un partito deve essere perseguita con un paio di avvertenze di fondo:
Primo: non si può passare ciclicamente con il cestino delle offerte (vedi il momento elettorale) trascurando la necessità di alimentare quotidianamente le relazioni e la partecipazione delle persone. Se si parla di partito, si deve parlare di un’organizzazione che viva di vita propria e non parassitariamente a carico del volontariato, del terzo settore, dei mondi della ricerca e della divulgazione… Diversamente, il solo tratto di unione di questa “base” sono la tempestività e l’efficacia del “leader”, degli slogan e dei tweet. Forse perché la sfida è alta in questa direzione, se ne vuole parlare poco. O scivolare, come sembra fare lo stesso Walter, sull’idea di “movimento”.
Secondo: è delicato stabilire una relazione diretta fra forme associative – di diverso oggetto e di diversa struttura – e un “raggruppamento” che le dovrebbe unire sotto una sola bandiera al momento del voto: non si può disconoscere il valore “pre-politico” di ciascuna di esse, ossia ciò che alimenta la vita sociale e culturale senza la necessità di mettere qualche bandierina ideologica o di schieramento. È poco lungimirante pensare che il tessuto sociale (particolarmente in fase di polarizzazione) debba formarsi e alimentarsi secondo una linea di appartenenza a una parte politica. E poi vorrebbe dire che si torni alla “bocciofila di destra” e a “quella di sinistra”, al bar della Casa del Popolo e a quello dell’Oratorio… Ma siamo negli Anni ’50 del secolo scorso!
Queste avvertenze mettono in discussione il fondamento stesso del PD (al quale con qualche non dichiarabile nostalgia molti pensano di tornare), nel quale tanti ci si potrebbe ritrovare in quanto “spazio aperto della sinistra”: non ha funzionato, non funzionerebbe. Lo testimoniano le diffidenze reciproche fra forze politiche che si ritrovano sullo stesso versante per sola “distinzione da” (da Berlusconi, ed esempio: dura finché dura il modello al quale contrapporsi) o per un generico sentirsi “progressisti”, senza confrontarsi sull’idea di progresso, per cui stanno assieme industrialisti ed ecologisti, libertari e tradizionalisti, liberisti e statalisti, comunisti e cattolici di nuova generazione. La piattaforma su cui costruire l’intesa fra le diverse anime della sinistra non deve chiedere l’azzeramento delle diverse organizzazioni ma l’individuazione di un metodo attraverso il quale confrontarsi e giungere a sintesi. Per questo, non occorrono scioglimenti, fusioni, autocensure a priori: semmai una sana competizione su più fronti per guadagnare consensi e convogliarli su programmi di governo coraggiosi e sostenibili, realmente condivisi.
4. Nei confronti dei cinquestelle la sinistra ha compiuto gravi errori.
Il Movimento pentastellato è oggi la forza politica con la maggior raccolta di consenso. Ci si limita a pensare che si tratti di una trasmigrazione solo temporanea di voti “dalla sinistra”? se esso raccoglie consensi ed esprime leader “di sinistra”, bisogna trattarlo come potenziale alleato (certamente meno “inquinato” dalla destra di quanto non lo siano state altre formazioni politiche con cui lo stesso PD ha stabilito patti e alleanze), o come avversario (allora abbracciandosi con le diverse opposizioni oggi presenti in Parlamento)?
L’analisi della sinistra non può fare a meno di confrontarsi con l’evoluzione del M5S, con i suoi esponenti, con la sua base. Di riconoscere in quel movimento la capacità di radunare sì cittadini e gruppi di cittadini sotto una bandiera sulla quale spirano venti convergenti: una “formula” molto simile a quella auspicata da Veltroni e altri prima del dilagare di Internet, e che ad altri è dato di interpretare oggi con lo stile “Politica 2.0”.
Per non commettere nuovi errori, che avrebbero come risultato quello di lasciare in balia dei politicamente più strumentati manovratori “di destra” il Movimento, bisognerebbe avere apertura mentale e lungimiranza, oggi poco presenti in un PD impegnato a scimmiottare il linguaggio polemico del populismo, non avendone il DNA.
Ci sono tuttavia quattro omissioni, riparabili a mio modo di vedere, che indicano ancora quali passi debba fare la “sinistra” sulla strada della rigenerazione.
1. La "percezione" di quello che sta accadendo.
Limitare l’analisi all’effetto conclamato di disamore e addirittura di ostilità verso l’Europa e l’idea di fermare la globalizzazione da parte dell’elettorato significa cogliere la dimensione politica internazionale della “risposta” che nasce oggi dalla destra nei Parlamenti e nei social media, tralasciando maldestramente il (ri)sentimento tutto rivolto all’interno del Paese verso una classe dirigente (politica, istituzionale, economica, finanziaria, culturale) che ha mostrato la sua efficienza nel rafforzare le proprie posizioni e di trascurare la responsabilità verso l’insieme sociale da far crescere ed equilibrare.
La percezione dal basso di quel che sta accadendo e che tuttora (certa) “sinistra”, (certi) “democratici” ragionino avendo la pancia piena, ossia non avendo reali preoccupazioni per quanto concerne mettere insieme il proprio pasto e la propria cena, in senso reale e metaforico. Mentre la gran parte della gente, del “popolo”, si misura con l’esatto incastro fra il salario e i consumi mensili, quando non con l’assenza del lavoro, o con la retribuzione da meno di 5 euro all’ora senza contributi o con la durata semestrale dei contratti.
Il progetto della Sinistra al governo deve dare risposte a partire da come essa pensi debba essere gestita l’economia delle famiglie: le entrate e le uscite, la tutela della salute e l’incidenza delle tasse, la prospettiva di crescere i figli e di badare agli anziani. Non basta l’analisi (le famiglie italiane hanno perso undici punti di reddito rispetto alla fase pre-crisi, la differenza tra ricchi e poveri è aumentata), si deve pronunciare qualche idea soluzione, mettere sul tavolo qualche carta su cui scommettere.
E non disdegnare l’impresa diffusa delle “partite Iva” a favore unicamente delle grandi imprese.
2. La sinistra, per come la intendo, era nel sacrificio di Ian Palach e non nei carri armati.
Grande il riferimento al martire della primavera di Praga Ma quanti iscritti al Partito strapparono la tessera dopo quel fatto? o quanti – come può aver fatto lo stesso Veltroni – decisero di “lavorare dall’interno” per correggere l’ideologismo della Sinistra? Ma non è questo l’argomento da mettere a fuoco.
Piuttosto, il compianto (postumo) per le vittime del totalitarismo rosso è pernicioso se non si prendono le misure di quello che nei cinque decenni ultimi è ancora accaduto in nome del “comunismo di Stato” o di una malintesa “rivoluzione popolare”. E se non si procede a denunciare quanto oggi stesso stanno perpetrando regimi che si coprono di retorica “di sinistra” per violentare il popolo che dovrebbero accompagnare verso “il Sol dell’avvenire” (vedi ad esempio Venezuela, Nicaragua, Eritrea: e lo si riconosca pur con la personale sofferenza per aver confidato nel sogno antimperialista), la stessa nobile sublimazione del concetto di sinistra quale “democrazia pura” è poco credibile.
3. Un partito orizzontale, fatto di cittadini e movimenti, di associazioni e autonome organizzazioni.
L’idea di radunare le persone in un partito deve essere perseguita con un paio di avvertenze di fondo:
Primo: non si può passare ciclicamente con il cestino delle offerte (vedi il momento elettorale) trascurando la necessità di alimentare quotidianamente le relazioni e la partecipazione delle persone. Se si parla di partito, si deve parlare di un’organizzazione che viva di vita propria e non parassitariamente a carico del volontariato, del terzo settore, dei mondi della ricerca e della divulgazione… Diversamente, il solo tratto di unione di questa “base” sono la tempestività e l’efficacia del “leader”, degli slogan e dei tweet. Forse perché la sfida è alta in questa direzione, se ne vuole parlare poco. O scivolare, come sembra fare lo stesso Walter, sull’idea di “movimento”.
Secondo: è delicato stabilire una relazione diretta fra forme associative – di diverso oggetto e di diversa struttura – e un “raggruppamento” che le dovrebbe unire sotto una sola bandiera al momento del voto: non si può disconoscere il valore “pre-politico” di ciascuna di esse, ossia ciò che alimenta la vita sociale e culturale senza la necessità di mettere qualche bandierina ideologica o di schieramento. È poco lungimirante pensare che il tessuto sociale (particolarmente in fase di polarizzazione) debba formarsi e alimentarsi secondo una linea di appartenenza a una parte politica. E poi vorrebbe dire che si torni alla “bocciofila di destra” e a “quella di sinistra”, al bar della Casa del Popolo e a quello dell’Oratorio… Ma siamo negli Anni ’50 del secolo scorso!
Queste avvertenze mettono in discussione il fondamento stesso del PD (al quale con qualche non dichiarabile nostalgia molti pensano di tornare), nel quale tanti ci si potrebbe ritrovare in quanto “spazio aperto della sinistra”: non ha funzionato, non funzionerebbe. Lo testimoniano le diffidenze reciproche fra forze politiche che si ritrovano sullo stesso versante per sola “distinzione da” (da Berlusconi, ed esempio: dura finché dura il modello al quale contrapporsi) o per un generico sentirsi “progressisti”, senza confrontarsi sull’idea di progresso, per cui stanno assieme industrialisti ed ecologisti, libertari e tradizionalisti, liberisti e statalisti, comunisti e cattolici di nuova generazione. La piattaforma su cui costruire l’intesa fra le diverse anime della sinistra non deve chiedere l’azzeramento delle diverse organizzazioni ma l’individuazione di un metodo attraverso il quale confrontarsi e giungere a sintesi. Per questo, non occorrono scioglimenti, fusioni, autocensure a priori: semmai una sana competizione su più fronti per guadagnare consensi e convogliarli su programmi di governo coraggiosi e sostenibili, realmente condivisi.
4. Nei confronti dei cinquestelle la sinistra ha compiuto gravi errori.
Il Movimento pentastellato è oggi la forza politica con la maggior raccolta di consenso. Ci si limita a pensare che si tratti di una trasmigrazione solo temporanea di voti “dalla sinistra”? se esso raccoglie consensi ed esprime leader “di sinistra”, bisogna trattarlo come potenziale alleato (certamente meno “inquinato” dalla destra di quanto non lo siano state altre formazioni politiche con cui lo stesso PD ha stabilito patti e alleanze), o come avversario (allora abbracciandosi con le diverse opposizioni oggi presenti in Parlamento)?
L’analisi della sinistra non può fare a meno di confrontarsi con l’evoluzione del M5S, con i suoi esponenti, con la sua base. Di riconoscere in quel movimento la capacità di radunare sì cittadini e gruppi di cittadini sotto una bandiera sulla quale spirano venti convergenti: una “formula” molto simile a quella auspicata da Veltroni e altri prima del dilagare di Internet, e che ad altri è dato di interpretare oggi con lo stile “Politica 2.0”.
Per non commettere nuovi errori, che avrebbero come risultato quello di lasciare in balia dei politicamente più strumentati manovratori “di destra” il Movimento, bisognerebbe avere apertura mentale e lungimiranza, oggi poco presenti in un PD impegnato a scimmiottare il linguaggio polemico del populismo, non avendone il DNA.
Io ho trovato l’articolo di Veltroni su Repubblica, pur pregevole dal punto di vista dei riferimenti culturali, e con il linguaggio raffinato dell’alta borghesia, più un manifesto della nuova destra, neoliberista e guerrafondaia, che un contributo alla rifondazione del Pd. Definire come fa Veltroni, “un galantuomo” un personaggio senza il quale l’Isis semplicemente non sarebbe sorto, come John McCain, credo faccia trasalire qualunque sincero democratico.
Sulla possibilità che il Pd adotti politiche espansive che a ragione, Antonio R. Labanca pone come prioritarie per dare un po’ di ossigeno a famiglie, lavoratori e imprese, il primo segretario del Pd chiude ogni speranza, quando perentoriamente esclude qualunque possibilità di dibattito su un ricorso intelligente e misurato ai dazi e sulla riforma di questa Unione Europea che, dai trattati di Maastricht in avanti, impone la svalutazione del lavoro e l’arretramento sociale, economico, scientifico e tecnologico ai Paesi membri dell’Eurozona, poiché proibisce loro gli investimenti che sarebbero necessari per tenere l’Europa al passo col resto del mondo sviluppato in nome di una assurda quanto pericolosa e deflagrante stabilità monetaria che avvantaggia solo le grandi banche e la Germania. Per cui oltre a ciò che Veltroni non ha detto, è molto preoccupante quello che ahimè ha scritto nero su bianco e che fotografa lo stato del Pd: un partito non più votabile dalla classe media e lavoratrice.
Sono d’accordo con le considerazioni di Antonio Labanca; inoltre Veltroni è stato uno dei principali artefici dell’attuale organizzazione sul territorio del PD: da un lato inseguendo l’idea berlusconiana del “partito leggero” o il comitato elettorale all’americana si è dimenticato di non essere in America e che l’influenza culturale dei mass media in Italia era in mano al Centro destra; dall’altro lato ha svuotato logisticamente e finanziariamente i partiti che sono confluiti nel PD creando un PD senza patrimonio ed alcune Fondazioni che non fanno cultura politica ma stipendiano ex politici. Che tristezza che il PD debba ancora fare riferimento a tale personaggio e che Veltoni non sia rimasto in Africa a rendersi finalmente utile per qualcuno.