Rilanciamo da “Avvenire” del 14 agosto scorso un articolo che parte da Sturzo e dalla sua concezione di sovranità del popolo, esercitata però “mediante l’esercizio dei limiti al potere; un limite morale, politico e istituzionale”. Il populismo sovranista oggi maggioritario in Italia, secondo gli autori, rischia di essere il peggior nemico della sovranità popolare” che viene rafforzata, e non indebolita, dal perseguimento della stabilità finanziaria.
Da sempre e per sempre “in direzione ostinata e contraria”. Sembra questo il destino di chi, al populismo e al sovranismo, che del primo appare essere la più recente declinazione, intende contrapporre il “popolarismo” e la “sovranità popolare” di matrice sturziana. Ricordiamo che per Sturzo il popolo esprime la sovranità mediante l’esercizio dei limiti al potere; un limite morale, politico e istituzionale. Scrive Sturzo: «La ricerca dei limiti della sovranità e del potere, è stato sempre un bisogno dell’uomo per difendere i diritti della personalità. Il giorno che il potere è assoluto, e i limiti sono aboliti, il potere diviene un falso Dio che s’impone su tutti; la personalità umana perde i suoi diritti; la morale collettiva perde il carattere personale umano, per divenire un mezzo alla finalità del potere».
Sarebbe certo singolare se fosse proprio il “Governo del cambiamento”, in nome del “popolo sovrano”, a manifestare una nozione di sovranità popolare che non ammette limiti al potere; barriere che si traducono in vincoli giuridico-istituzionali che garantiscono in concreto l’esercizio dell’autorità. L’operatività di tali vincoli rappresenta, con il diritto di voto, lo strumento attraverso cui il popolo orienta l’azione del legislatore e dell’intero apparato amministrativo nel perseguimento di quei fini che costituiscono la funzione pubblica.
Limiteremo la nostra riflessione a due vincoli attraverso cui si esprime la sovranità del popolo in rapporto con i pubblici poteri. Il primo attiene alla tutela dei diritti fondamentali della persona che, come ci insegna la Corte Costituzionale, non possono essere compressi fino alla loro negazione. Il secondo è rappresentato dal cosiddetto rapporto inverso d’imposta. Lo Stato esercita la propria sovranità impositiva per il perseguimento di fini pubblici, primo tra tutti la tutela dei diritti fondamentali della persona. Pertanto, si rinviene nei principi di destinazione a fini pubblici dei tributi e di correttezza dei criteri di gestione lo strumento attraverso cui l’ordinamento tutela gli interessi finanziari della collettività e, con riferimento al governo della moneta, tutela il risparmio.
In nome del sovranismo assistiamo al tentativo di svuotare la portata di tali vincoli, sventolando la bandiera della sovranità popolare, ma che nella realtà sembra tradire una politica che aspira ad operare senza freni. Riconosciamo che la tutela dei diritti sociali, oltre ad essere oggetto di indebite compressioni, ad oggi risulta largamente diseguale e inefficiente. La propaganda, tuttavia, vuole che la compressione di tali diritti sia la diretta conseguenza dei vincoli europei di finanza pubblica, mentre la realtà ci dice che la loro tutela richiede scelte politiche capaci di assicurare mezzi finanziari e un apparato amministrativo in grado di soddisfarli, garantendo nel contempo sia l’effettività dei diritti sociali sia la tutela degli interessi finanziari della collettività.
È anche in questa tensione tra diritti e stabilità finanziaria che si manifesta la sovranità popolare, ponendo limiti e vincoli alle scelte politiche la cui ragion d’essere si rinviene nella tutela di interessi sovraordinati, quali la dignità umana e la libertà della persona; in questa prospettiva, il sovranismo rischia di essere il peggior nemico della sovranità popolare. Più che di esecutivi liberi di spendere risorse pubbliche e di indebitarsi per rispondere agli interessi delle proprie clientele, l’esercizio della sovranità popolare richiederebbe accorgimenti istituzionali capaci di controllarne (e, talvolta, di limitarne) l’operato, allo scopo di permettere di volta in volta l’allineamento dell’attività politico-amministrativa con l’interesse generale, ossia che ciascuna persona possa perseguire il proprio progetto di vita.
In questo senso, in sintonia con la critica di Sturzo all’“abuso del denaro pubblico”, la terza “Malabestia della democrazia”, in quanto responsabile del venir meno della “giustizia”, il perseguimento della stabilità finanziaria e i vincoli di finanza pubblica che da essa derivano, nella misura in cui riducono la discrezionalità dei pubblici poteri nel perseguimento delle finalità pubbliche, ponendo vincoli in ordine all’utilizzo delle risorse a disposizione e ai diritti che obbligatoriamente devono essere garantiti in favore dei cittadini, costituiscono un rafforzamento e non un indebolimento della sovranità popolare.
Da sempre e per sempre “in direzione ostinata e contraria”. Sembra questo il destino di chi, al populismo e al sovranismo, che del primo appare essere la più recente declinazione, intende contrapporre il “popolarismo” e la “sovranità popolare” di matrice sturziana. Ricordiamo che per Sturzo il popolo esprime la sovranità mediante l’esercizio dei limiti al potere; un limite morale, politico e istituzionale. Scrive Sturzo: «La ricerca dei limiti della sovranità e del potere, è stato sempre un bisogno dell’uomo per difendere i diritti della personalità. Il giorno che il potere è assoluto, e i limiti sono aboliti, il potere diviene un falso Dio che s’impone su tutti; la personalità umana perde i suoi diritti; la morale collettiva perde il carattere personale umano, per divenire un mezzo alla finalità del potere».
Sarebbe certo singolare se fosse proprio il “Governo del cambiamento”, in nome del “popolo sovrano”, a manifestare una nozione di sovranità popolare che non ammette limiti al potere; barriere che si traducono in vincoli giuridico-istituzionali che garantiscono in concreto l’esercizio dell’autorità. L’operatività di tali vincoli rappresenta, con il diritto di voto, lo strumento attraverso cui il popolo orienta l’azione del legislatore e dell’intero apparato amministrativo nel perseguimento di quei fini che costituiscono la funzione pubblica.
Limiteremo la nostra riflessione a due vincoli attraverso cui si esprime la sovranità del popolo in rapporto con i pubblici poteri. Il primo attiene alla tutela dei diritti fondamentali della persona che, come ci insegna la Corte Costituzionale, non possono essere compressi fino alla loro negazione. Il secondo è rappresentato dal cosiddetto rapporto inverso d’imposta. Lo Stato esercita la propria sovranità impositiva per il perseguimento di fini pubblici, primo tra tutti la tutela dei diritti fondamentali della persona. Pertanto, si rinviene nei principi di destinazione a fini pubblici dei tributi e di correttezza dei criteri di gestione lo strumento attraverso cui l’ordinamento tutela gli interessi finanziari della collettività e, con riferimento al governo della moneta, tutela il risparmio.
In nome del sovranismo assistiamo al tentativo di svuotare la portata di tali vincoli, sventolando la bandiera della sovranità popolare, ma che nella realtà sembra tradire una politica che aspira ad operare senza freni. Riconosciamo che la tutela dei diritti sociali, oltre ad essere oggetto di indebite compressioni, ad oggi risulta largamente diseguale e inefficiente. La propaganda, tuttavia, vuole che la compressione di tali diritti sia la diretta conseguenza dei vincoli europei di finanza pubblica, mentre la realtà ci dice che la loro tutela richiede scelte politiche capaci di assicurare mezzi finanziari e un apparato amministrativo in grado di soddisfarli, garantendo nel contempo sia l’effettività dei diritti sociali sia la tutela degli interessi finanziari della collettività.
È anche in questa tensione tra diritti e stabilità finanziaria che si manifesta la sovranità popolare, ponendo limiti e vincoli alle scelte politiche la cui ragion d’essere si rinviene nella tutela di interessi sovraordinati, quali la dignità umana e la libertà della persona; in questa prospettiva, il sovranismo rischia di essere il peggior nemico della sovranità popolare. Più che di esecutivi liberi di spendere risorse pubbliche e di indebitarsi per rispondere agli interessi delle proprie clientele, l’esercizio della sovranità popolare richiederebbe accorgimenti istituzionali capaci di controllarne (e, talvolta, di limitarne) l’operato, allo scopo di permettere di volta in volta l’allineamento dell’attività politico-amministrativa con l’interesse generale, ossia che ciascuna persona possa perseguire il proprio progetto di vita.
In questo senso, in sintonia con la critica di Sturzo all’“abuso del denaro pubblico”, la terza “Malabestia della democrazia”, in quanto responsabile del venir meno della “giustizia”, il perseguimento della stabilità finanziaria e i vincoli di finanza pubblica che da essa derivano, nella misura in cui riducono la discrezionalità dei pubblici poteri nel perseguimento delle finalità pubbliche, ponendo vincoli in ordine all’utilizzo delle risorse a disposizione e ai diritti che obbligatoriamente devono essere garantiti in favore dei cittadini, costituiscono un rafforzamento e non un indebolimento della sovranità popolare.
Non capisco il senso di queste argomentazioni. Che non si debba abusare del denaro pubblico è ovvio. Purtroppo la 1° repubblica che tanto bene ha operato nel suo primo ventennio è affogata a causa proprio di un utilizzo clientelare del denaro versato dai cittadini attraverso quella cosa bellissima (cosi disse Padoa Schioppa e in un mondo normale l’affermazione è sacrosanta) che è costituita dalle tasse. D’altra parte il fallimento delle misure austeritarie è sotto gli occhi di tutti. La mancanza di rispetto per le culture dei singoli popoli, la riduzione della capacità di spesa dei governi, l’assenza di una Banca centrale in grado per statuto di agire da vera banca centrale (comprando il debito! Questo deve fare una banca centrale! Accanto naturalmente alla vigilanza che la BCE esercita con professionalità) sono alcuni fra gli elementi strutturali e culturali che stanno mettendo in crisi l’idea stessa di integrazione europea: l’articolista non mostra di essersene accorto; il suo è un elegante inno allo status quo. Così non si può andare avanti; una delle conseguenze di tale testardaggine e cecità è la crescita della xenofobia e del nazionalismo. Davvero siamo così incapaci di umiltà e autocritica? Ma di fronte a questo quadro come già ebbi occasione di scrivere emerge una buona notizia: lo spazio politico che si apre di fronte a una forza innovatrice ispirata dalla dottrina sociale è davvero sconfinato.