Rete Bianca, solo se trasparente e coraggiosa



Antonio R. Labanca    31 Luglio 2018       1

La proposta della "Rete Bianca", ennesimo tentativo di ricomposizione dell'area cattolica sul fronte politico (ma ogni stagione si presenta con caratteri nuovi, e quindi il tentativo lo si qualifica così solo in via provvisoria, pronti a trovarvi tutti gli elementi di distinzione col passato) è appena agli inizi del suo percorso. Al momento pertanto non sarebbe corretto esprimere un qualsiasi giudizio sulla bontà e sulla percorribilità del progetto. E proprio per questo, possiamo permetterci di pensare che chiunque si professi cattolico e appassionato dalla politica ha buon diritto a dire la sua (per ora più sul "metodo" che sui "contenuti"). A incominciare dall'analisi delle condizioni e delle premesse.

Le prime osservazioni (in ordine di apparizione) riguardano ovviamente la risposta alla domanda: "perché oggi?".

Oggi perché la forza politica che radunava anche i cattolici democratici è scesa a percentuali minime, e non promette un pronto e facile recupero nel breve e medio periodo? Se fosse questo, ci sarebbe un grave peccato di origine nella "Rete": quello dell'abbandono della barca da parte di una quota consistente dell'equipaggio nel momento in cui scatta lo SOS. Oltre che una marcatura politica, sarebbe una marcatura di stile deleteria.

Oggi perché la forza politica in cui confluì il Partito Popolare non ha mai dato spazio davvero alla componente cattolica, se non in termini di "premio" a qualche esponente ma impedendo lo sviluppo di una autonoma proposta e conseguente visibilità del gruppo? Si aspettava dunque il cedimento della struttura per uscirne scuotendosi la polvere dai calzari? Se fosse questo, perché non denunciare prima questa condizione anziché servirsi di candidature sicure?

Oggi perché chiunque rimanga dentro al Partito Democratico non potrà essere riconosciuto "proprio" dall'elettore cattolico il quale, per sua natura, sarebbe pronto a identificarsi in una aggregazione identitaria meglio che in un raggruppamento (questo determinato dai meccanismi di una legge elettorale che premia le coalizioni e dal sistema bipolare – di fatto mai metabolizzato nel Paese – più che dalla consapevolezza che si debbano cercare convergenze con altre forze in campo prima dell'espressione del voto)? Sarebbe però grave esprimere un giudizio di incoerenza verso chi svolge un prezioso compito di "mediazione" fra l'ispirazione alta e la necessità di un confronto quotidiano con altri pensieri e prassi.

Da queste prime osservazioni una premessa importante: questa Rete Bianca deve presentare una "veste bianca", cioè essere capace di nascere con soggettività nuove (o profondamente rinnovate) per non tirarsi dentro il già visto del partito cattolico D.O.C., dell'opportunismo tattico, della stentata rivincita culturale.

Un secondo fronte di domande ruota intorno alla questione: qual è l'analisi di partenza che giustifica l'iniziativa? C'è qualche novità ideale, una condizione sociale ed economica, una voce da interpretare che richiedano la nascita di un nuovo soggetto? Senza la profonda condivisione di un'ispirazione che traina il "progetto", se ne attuerebbe solamente la funzione di collettore di voti dispersi e generici. Funzionerebbe per una stagione, ma poi occorrerebbe una iniezione di adrenalina ad ogni tornata elettorale per trovare lo slogan giusto, i testimonial televisivi e web appropriati: si rivelerebbe semplicemente un "comitato elettorale" permanente e non un laboratorio di proposte e di selezione di persone adeguate.

Se dunque l'analisi da cui partire è importante per la chiarezza della proposta, prima di esercitarsi a dire cosa fare (e l'elenco potrebbe essere illimitato e polivalente) bisognerebbe sforzarsi di interrogarsi (su temi precisi e con un tempistiche certe) sullo "stato dell'arte" della società italiana e del mondo cattolico italiano. Proviamo a individuare i temi:
-       Società reale e società virtuale: i cattolici sono pronti a far tornare il Paese con i piedi per terra? Che ruolo hanno avuto gli esponenti della società e della cultura (compresa la cultura pop, quella delle canzoni, della TV, del web) dichiaratamente cattolici nel determinare la semplificazione populista dei problemi? Siamo purificati dal berlusconismo nelle sue varie applicazioni?
-       I cattolici hanno una riserva speciale di energie sul fronte delle competenze e delle capacità? In che modo i loro leader affermati sul piano politico hanno fatto crescere i loro successori, hanno creato una catena di trasmissione fra società civile e istituzioni? Che stima hanno gli italiani della Chiesa cattolica nazionale, aspetto inevitabilmente da mettere nel conto?
-       Sviluppo e lavoro, PIL e ambiente: come si traduce la visione che scaturisce dal Vangelo dentro al vorticoso sviluppo tecnologico che rivoluziona lavoro e società? Come coniugare l'esigenza di qualificazione ai massimi livelli con la domanda crescente di manovalanza alla luce non solo di una qualità della vita della persona ma anche dell'etica condivisa dai cittadini? Solidarietà è un concetto proponibile (al di là del gradimento contingente) come guida delle decisioni?
-       Italia ed Europa sono nella prospettiva di diventare periferia nel mondo della finanza e della politica internazionale? Come attrezzarsi culturalmente, come costruire le relazioni? Affrontare le migrazioni di massa in termini di strategia per lo sviluppo economico e morale delle persone: è realistico pensarlo oggi? Come si declinerà il tema delle radici di fronte all'ulteriore globalizzazione/sovranismo e secolarizzazione/radicalizzazione in corso?
-       La politica è davvero il luogo delle decisioni o semplicemente il luogo della rappresentazione (teatrale) delle forze in campo? La dimensione statuale è destinata a evolvere o a scomparire? Che equilibro fra sovranità e federalismo, ad ogni livello (municipale, territoriale, regionale, nazionale)? La sussidiarietà è un criterio di governo sostenibile? La proposta politica è un contenuto o un metodo?

Forse queste domande hanno già una risposta, senza bisogno di scervellarsi troppo. Di certo però hanno bisogno della traduzione in un "manifesto" in cui la tipicità dell'approccio cattolico potrà inserire un suo "di più". Ed è proprio su questo "di più" che si dovrà trovare la vera concordanza di visione. Uno sforzo ancora, dunque, per provare a elencarne alcuni:
-       la laicità della politica: non è la necessità di preservare l'indipendenza degli ambiti, religioso e civile, ma la consapevolezza che se c'è una forza culturale e di azione che può fare a meno di ideologie, (beninteso, strumenti importanti di conoscenza e di intervento, ma sempre e comunque "a scadenza"), questa è quella dei credenti che guardano al mondo come spazio del Regno, in cui è importante agire sempre con la sola linea guida del "servire l'Uomo", che usa gli strumenti della conoscenza e del pensiero con cuore indipendente;
-       la libertà quale condizione di partenza per la garanzia dei diritti umani e di quelli civili, che nasce e si rafforza nelle coscienze formate e aperte. Luoghi e percorsi interni al mondo cattolico devono (ri)educarsi a questa dimensione dello spirito per liberare tutte le potenzialità della fede e per dare testimonianza credibile quando si confrontano gli interessi, quando è l'ora delle scelte nella responsabilità del proprio ufficio. Consapevoli che è la Verità che rende liberi;
-       l'eguaglianza come principio ispiratore dei meccanismi che regolano la vita collettiva, con la consapevolezza che l'inerzia (altrimenti detta "il mercato") tende allo scavo di fossati, all'accrescimento di differenze e di divisioni, al furto della dignità dei più deboli: e che pertanto occorre operare per contrastare prevaricazioni, squilibri, l'allargamento delle "forchette" economiche e sociali. Ragione di eguaglianza è la comune condizione di figliolanza divina;
-       la visione globale che è insita nello stesso nome di "cattolico", con la valenza dunque della visione del percorso dell'intera umanità e di ciascun popolo, con l'assunzione di un ruolo attivo sul piano locale e su quello internazionale per la condivisione di conoscenze e di beni in una logica di reciprocità, attori della pacificazione e della cooperazione, rispettosi del pianeta e capaci di valorizzarne ogni risorsa nel rispetto delle generazioni future;
-       l'allenamento alla dimensione comunitaria, che fa emergere i carismi e sa amalgamarli, che educa alla pazienza del confronto e alla crescita armonica delle parti, imparando ad aspettare mentre si dà voce alle urgenze, che considera l'altro un complemento di sé e non un avversario, che sa comporre le differenze generazionali nella condivisione attiva del poco come del tanto, che non soffoca la novità e rispetta la Tradizione [un "di più" questo da considerarsi alternativo all'individualismo e all'aggressività che molti invece ritengono oggi un antidoto all'insignificanza e alla paura.]

Scontati questi "di più"? beh, incominciamo a declinarli nel concreto. Pensiamoli incarnati nelle persone che si dichiarano "cattoliche", in noi stessi. Lo svolgimento del percorso che porta da questo "mondo cattolico" a una sua espressione nella vita istituzionale non lo vediamo come una chiamata identitaria ma come l'umile messa a disposizione di "buone pratiche" che ciascuno ha maturato nella propria esperienza o che ha conosciuto e apprezzato. È un portato che ha valore in quanto cresciuto attraverso scelte magari scomode o controcorrente. Credibili in quanto derivate da uno sforzo personale di vivere radicalmente il Vangelo, e non di seguire una vaga corrente di pensieri o di appartenenze. I "cristiani radicali" sono quelli che hanno davvero una novità da portare al tavolo dell'Italia prossima ventura (e oltre).

I cittadini di una cosa vogliono essere certi: coloro che chiederanno loro il voto e raggiungeranno la meta dovranno rendere conto degli atteggiamenti tenuti dentro e fuori le istituzioni, dovranno considerare questo consenso come un tesoro da spendere verso mete dichiarate, non svenduto per raggiungere risultati di comodo. Il tempo dell’ “utile idiota” sembra finito, come l'elettorato espressamente manifesta in questa stagione in cui miti, promesse, ossequio della classe dirigente sono stati accantonati per badare "al sodo" della precisione degli scopi, della volontà di agire, della prossimità dell'essere oltre che del dire.

La capacità di aggregazione della Rete Bianca, o di altre iniziative in embrione o derivate, dipenderà dalla capacità di trasparenza e di coraggio.


1 Commento

  1. Caro Antonio, le tue riflessioni sono molto articolate.
    Per me conta il come si arriverà a costruire questo “movimento”.
    C’è molta riflessione sui contenuti, di meno sul metodo o , come dici tu, “La proposta politica è un contenuto o un metodo?”. Un caro saluto, Franco Fratto

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