Popolari e PD, una storia del passato



Giorgio Merlo    26 Luglio 2018       3

Forse è giunto il momento per dirlo con chiarezza e senza tanti equivoci. Il voto del 4 marzo, e il dibattito che l'ha seguito, ha rappresentato un vero e proprio spartiacque nella politica italiana. Almeno su un altro punto, al di là dell'ormai noto rovesciamento politico alla guida del paese, non ci dovrebbero essere più dubbi. E cioè, l'esaurimento dei cosiddetti "partiti plurali". E, nello specifico, il tramonto definitivo del PD come "partito plurale". Del resto, il Partito democratico da almeno 4 anni - cioè dall'irrompere di Renzi al comando di quel partito - è diventato a tutti gli effetti un "partito personale", al punto che molti politologi e autorevoli commentatori, a cominciare dal bravo Ilvo Diamanti, lo avevano unanimemente definito come il "PdR", ovvero come il partito di Renzi. E il decollo del "partito del capo", a prescindere dalla bontà o meno di quel nuovo modello politico ed organizzativo, aveva già di fatto archiviato e messo in soffitta l'intuizione dei fondatori di quel partito. Cioè di un soggetto politico che riunificava al suo interno culture e filoni ideali diversi che sino a qualche tempo prima erano alternativi e seriamente competitivi per la guida del Paese.

Quell'intuizione originaria è stata archiviata per un motivo molto semplice. Nei partiti personali, come tutta l'esperienza italiana e non solo italiana insegna, il pluralismo culturale è tollerato ad una sola condizione: e cioè, questa pluralità deve coincidere con le posizioni delineate dal "capo". Altrimenti, come abbiamo sentito mille volte nel dibattito interno al PD, ma non solo del PD, il tutto viene liquidato come "gufi", "rosiconi", "perditempo" e via discorrendo.

Ora, la fine prematura del renzismo e la caduta politica di Renzi potrebbe far pensare a qualche simpaticone che l'orologio della storia torna indietro e, come se nulla fosse, si riparte da zero. Ma, come tutti sappiamo molto bene, la storia non si ripete mai come prima. E se adesso il partito personale - ammesso che Renzi non comandi più in quel partito, cosa alquanto incerta e dibattuta visti i concreti risultati politici che emergono - potrebbe essere giunto al capolinea, nel PD emerge un'altra valutazione politica, del tutto comprensibile e forse anche fondata. Ovvero, dopo la debacle storica della sinistra italiana, in tutte le elezioni amministrative dal 2015 in poi culminata con il tracollo del 4 marzo scorso, l'imperativo di larga parte di quel partito è uno solo: ricostruire il pensiero e la cultura della sinistra. Ovvero trasformare il PD in un nuovo, rinnovato e moderno partito della sinistra italiana. Per capirci, un PDS rinnovato e moderno. E chi, ingenuamente, continua a blaterare che dopo il 4 marzo il PD resta un partito plurale come se nulla fosse capitato o è un ingenuo, appunto o, nella migliore delle ipotesi, è semplicemente un ipocrita. Perché nega ciò che è, ormai, sotto gli occhi di tutti.

Ora, in un contesto del genere - e cioè, il ritorno legittimo e fondato delle identità politico e culturali, e quindi la trasformazione del PD in un novello PDS - l'apporto del pensiero popolare o di ispirazione cristiana, della cultura cattolico democratico e del cattolicesimo sociale sarebbe destinato ad essere più un esercizio accademico o retorico che non un fatto politico. Credo che sia, questa, una osservazione altrettanto nota e scontata che non merita neanche di essere particolarmente approfondita se non per motivi protocollari e burocratici. Perché il ritorno delle identità nello scenario politico italiano vale per la destra come la Lega correttamente persegue, vale per il populismo dei 5 stelle, vale per la sinistra con il PD ma deve valere, a maggior ragione, anche per la tradizione e la storia del cattolicesimo politico italiano. Del resto, non si capirebbe il perché questa operazione politica e culturale è consentita e giustificata per tutti tranne che per un filone ideale, culturale e politico che è stato decisivo in tutti i tornanti cruciali della storia democratica del nostro Paese.

Ecco perché, al di là della buona fede e della bontà delle intenzioni dei singoli, quel che rimane di questa cultura politica nel futuro del PD non potrà che avere un ruolo del tutto ornamentale e periferico ai fini del progetto e del profilo politico di quel partito. Perché la ricostruzione della sinistra italiana non potrà che avvenire con coloro che rappresentano coerentemente e correttamente la sinistra italiana. È una inflessione talmente semplice e banale che non merita ulteriori commenti.


3 Commenti

  1. Caro Merlo, io che ritengo di essere stato per 42 anni un democristiano di convinzione e non di convenienza e poi un popolare per la durata di quel partito, ho sentito che al PD delineato da Veltroni potevo dare il mio voto. Non avrei la stessa attrattiva verso un PDS che fosse la riedizione della vecchia “ditta” evocata nostalgicamente da Bersani. Se ritieni, vedi in futuro di tornare sull’argomento.

  2. Devo purtroppo far notare che i principi su cui si fondava e, parzialmente, si fonda tuttora la cosiddetta “sinistra”, ormai non collimano più con i dirompenti e tumultuosi eventi degli ultimi due anni.
    La disastrosa politica economica basata sulla cosiddetta “solidarietà” anziché sullo sviluppo economico e sull’aumento della ricchezza nazionale e i tumultuosi arrivi di persone disperate alcune e in cerca di miglior vita altre, dall’Africa e dal Medio Oriente, hanno profondamente mutato i bisogni e le aspettative degli Italiani.
    Il PD ha prevalentemente destinato la sua attenzione all’industria della “Solidarietà” che ha arricchito molti ma ha impoverito il Paese e messo serie basi per il disfacimento dei nostri principi di civiltà.
    Pressoché tutti i mass media di maggiore diffusione in coro tuttora appoggiano questa stolta politica causando l’effetto contrario con l’ascesa strepitosa della “destra”, quale unica formazione su cui appoggiare qualche speranza di freno al declino in corso.
    Tutto ciò detto, mi sembra che in questo contesto ormai non ci sia più rimedio al precipitoso declino del fu glorioso partito.

  3. Una motivata presa d’atto a cui si deve rispondere con una adeguata iniziativa politica da parte dei Popolari, credo non da soli, ma insieme a tutte quelle realtà politiche, sociali, economiche, civiche interessate a costruire un grande “Coalizione per la domanda interna” capace di far ripartire il Paese.

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