Rilanciamo l’intervista che Marco Sarti ha realizzato per il sito www.linkiesta.it con il professor Marco Tarchi, docente all’Università di Firenze e fine politologo studioso dei populismi. I suoi giudizi sugli esordi del governo gialloverde a trazione leghista, sulle differenze tra i protagonisti, sulle possibili analogie con Trump e il primo Berlusconi, sulla difficile alleanza tra populisti in Europa, meritano un’attenta lettura.
«Matteo Salvini non è un politico di destra. È un leader populista, un agitatore-trascinatore di qualità, come lo è stato Beppe Grillo». Ne è convinto Marco Tarchi, politologo all’Università di Firenze e uno dei massimi esperti di populismi.
Professore, il governo Conte è nato ormai da oltre un mese. In queste settimane ci sono state forti prese di posizione e non poche polemiche. Da tempo Lei osserva e studia il fenomeno populista, senza etichette né pregiudiziali. L’esecutivo italiano rientra a pieno titolo in questa realtà? Si può parlare di governo populista?
No. È un governo fondato su un accordo-compromesso tra due formazioni politiche di cui solo una, la Lega, presenta tutte le caratteristiche della mentalità populista, mescolate ad una forte impronta sovranista. Il Movimento Cinque Stelle ne possiede, o quantomeno ne esibisce, un numero molto più ridotto e al suo interno ha alcune componenti – ben esemplificate da Roberto Fico – che restano legate all’opposizione sinistra/destra, totalmente estranea alla logica del populismo. Beppe Grillo, come ha dimostrato con la recente proposta di costruire un Senato dei cittadini selezionato tramite sorteggio, che dovrebbe essere il primo passo per dimostrare che la politica di professione è superflua e nociva, è un populista a pieni carati; i suoi originari seguaci lo sono decisamente di meno. E Conte è stato scelto come figura terza, tutt’altro che populista anche nell’immagine, per gestire e mediare i rapporti fra queste forze diverse.
Qualcuno ha parlato di governo rosso-bruno, descrivendo l’intesa tra Cinque Stelle e Lega come un’alleanza tra radicali di destra e sinistra. È una lettura che condivide?
Per niente. Il radicalismo dei toni su versanti come quello del contenimento dei flussi migratori (Lega) o della riduzione dei privilegi della “casta” politica (M5S) non hanno niente a che vedere con la sostanza dei progetti dei gruppuscoli neofascisti o di centri sociali e black bloc. Tutti i paragoni con il passato fatti in queste settimane, a partire dallo spauracchio del “fascismo di ritorno” sono frutto di propaganda o di ignoranza. I presupposti strutturali delle crisi democratiche degli anni Venti-Trenta o della rivoluzione bolscevica erano sideralmente distanti dalla condizione odierna dei paesi europei. Di rosso-bruno, nel governo giallo-verde, non c’è niente. I Moavero Milanesi, i Savona, lo stesso Conte, nulla hanno in comune con Fact, von Papen o Kerenskij.
In queste settimane molti osservatori hanno paragonato il governo italiano e l’esperienza americana di Donald Trump. È un parallelo che la convince? Pur con le inevitabili differenze, riconosce le stesse istanze populiste?
Non mi stupisce che Conte, per dare maggiore autorevolezza alla sua figura, sconosciuta anche in sede internazionale, vanti l’immediata apertura di credito di Trump e che esponenti del suo governo indichino il protezionismo economico e la chiusura all’immigrazione illegale dell’attuale amministrazione Usa come degli esempi da seguire. Ma lo scenario europeo e gli interessi del vecchio continente sono molto distanti da quelli d’oltreoceano, e non credo che con l’andar del tempo, se il governo Conte reggerà, i rapporti col Grande Fratello atlantico saranno tutti rose e fiori.
La nascita del governo Conte è davvero una novità in Italia? Secondo alcuni, un primo esecutivo tipicamente populista c’è già stato. Era il 1994, il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi. È d’accordo?
Anche in questo caso, no. Il primo governo Berlusconi nasceva per riaffermare il bipolarismo sinistra/destra ridando voce e rafforzando quest’ultima, e l’inclusione della Lega non poteva che destabilizzare quel progetto, come di fatto avvenne. I governi successivi guidati dall’allora Cavaliere andavano ancora oltre in quella direzione. Il governo Conte nasce dalla disgregazione della capacità di attrazione di quella logica bipolare e tende a ribadirla. Berlusconi presenta alcuni tratti tipici della mentalità populista, in una delle sue tante declinazioni, ma nell’azione politica concreta ha sempre dimostrato di propendere per un’impostazione moderata, centrista e quanto più possibile “politicamente corretta”. Forza Italia non ha niente a che spartire con il populismo.
Lega e Cinque Stelle, con tutte le differenze tra i due movimenti, restano le principali realtà populiste in Italia?
Sì. I tentativi di sfruttare l’ondata proponendone versioni più estreme, a sinistra come a destra, non hanno consistenza e sono strutturalmente ambigui. E l’appropriazione in chiave meramente stilistica e discorsiva di alcuni dei temi di polemica di impronta populista da parte di esponenti dell’establishment ansiosi di apparire nuovi, primo fra tutti Renzi, si è dimostrata fallimentare. La copia, come sempre, fatica a reggere il confronto con l’originale.
Secondo lei le ultime elezioni politiche hanno sancito anche in Italia la rottura del rapporto tra elettori ed élites? Si sono verificate le stesse dinamiche che hanno portato Trump alla Casa Bianca? La “rivolta” contro i politici di professione, l’affermazione dei dimenticati contro l’establishment? Oppure la vittoria di Lega e Cinque stelle è il frutto di altre dinamiche (ad esempio territoriali, dato che i grillini si sono affermati soprattutto al Sud e il Carroccio al Nord)?
Ha pesato più il primo fattore del secondo, e mi pare che i sondaggi postelettorali lo dimostrino, con un recupero, soprattutto da parte della Lega, delle intenzioni di voto di un consistente numero di elettori che il 4 marzo si erano astenuti. Gran parte dell’opinione pubblica ha una forte sfiducia verso tutto ciò che sa di politica intesa nel senso abituale del termine: non si fida, non vorrebbe più delegare, detesta lungaggini e mediazioni. In tutto ciò ha più peso di quanto sinora non si sia ammesso l’abitudine di milioni di italiani di ritagliarsi uno sfrenato protagonismo e un diritto di intervenire su tutto e su tutti attraverso social media, blog, telefonate in diretta a radio e tv, reality shows. Si è perso il senso della necessità di strutture di rappresentanza. Va aggiunto però che questi umori rischiano di pesare su chiunque vada al governo, populisti inclusi. Starà a loro creare una sinergia con questi cittadini adirati e polemici. Poi, certo, c’è anche chi ha scelto il M5S perché convinto di poter trovare nel reddito di cittadinanza una ciambella di salvataggio, ma credo che si tratti di una minoranza.
Matteo Salvini è il perfetto leader populista? Crede sia destinato a diventare il rappresentante della nuova destra italiana o, piuttosto, allargherà trasversalmente il proprio consenso?
Non l’ho mai visto, e tuttora non lo vedo, come un politico di destra, né moderata (ovviamente) né estrema. È un leader populista, un agitatore-trascinatore di qualità, come lo è stato Beppe Grillo fino a quando ha voluto spendersi in prima persona. La chiave del suo successo futuro sta nella possibilità di puntare su temi trasversali e guadagnare ulteriori consensi sfondando definitivamente le paratie stagne della dicotomia sinistra/destra. Se si rinchiudesse in questa seconda area, ridurrebbe la sua presa potenziale sugli elettori. E quando si è definito populista, a Pontida, ha dimostrato di averlo capito.
C’è un dato che accomuna Salvini a Trump. La lettura fortemente negativa del fenomeno migratorio e le conseguenti accuse di razzismo da parte della comunicazione mainstream. A giudicare dai sondaggi, sembra che entrambi i leader abbiano costruito così buona parte del proprio successo.
Non c’è alcun dubbio. I flussi migratori di massa sono la prima preoccupazione dei cittadini di molti paesi ai giorni nostri, e penso siano destinati a rimanere tali per un tempo lunghissimo. In un’epoca in cui le agenzie specializzate dell’Onu annunciano cinquanta milioni di africani che hanno già deciso di attraversare il mare per venire in Europa, come ci si può stupire se cresce la paura di questa migrazione di proporzioni ben più che bibliche? Inoltre, la pur forte propaganda pro-immigrazione, che per contrastare quella avversa contrappone alla paura la commozione e la compassione presentando tutti i “migranti” (termine non scelto a casa, perché emotivamente ben più coinvolgente di “immigrati”, “extracomunitari”, “clandestini” ecc.) come disperati, affamati e privi di alternative, sta sbagliando nell’affidarsi a statistiche che non convincono nessuno. Che senso ha sbandierare un calo annuo del 70% negli sbarchi come se indicasse una riduzione del fenomeno migratorio, quando tutti sanno che quella cifra significa solo che, se l’anno scorso erano approdati centomila nuovi ospiti, quest’anno ce ne saranno, oltre a quelli e ai milioni che li hanno preceduti, altri trentamila? O dire che gli immigrati delinquono “solo un po’ di più” degli italiani, senza capire che così a tutti è chiaro che oltre ai delinquenti di casa nostra ne stiamo importando altri in più? Prendere i cittadini per degli stupidi è un’arma a doppio taglio.
I partiti della maggioranza continuano a crescere nei sondaggi, le opposizioni sono sempre più in difficoltà. Cinque Stelle e Lega sono destinati a governare a lungo?
Questo dipenderà dalla loro capacità di non tradire le attese. Per adesso, il loro discorso risulta gradito e convincente non solo a chi li ha votati ma, nell’insieme, a quasi i due terzi della popolazione. Dopo la luna di miele verranno delusioni e dissapori? È possibile, ma, stando ai travagli intestini e all’inconsistenza di azione politica che affliggono sia Pd che Forza Italia, per ora non si vede chi possa davvero mettere i bastoni tra le ruote dell’alleanza giallo-verde. Si pensa – o si insinua – che Salvini, esaltato dai sondaggi, staccherà la spina per passare all’incasso di una maggioranza assoluta dei seggi con la coalizione di centrodestra, ma io sono scettico: Berlusconi, avvelenato dall’umiliazione subita nelle urne e desideroso di vendette sottobanco, sarebbe oggi, per lui, una palla al piede molto più pesante della convivenza con i Cinque Stelle o delle battute di Fico.
Intanto Salvini, già storico alleato di Marine Le Pen, cerca un’intesa con Viktor Orbán e l’austriaco Sebastian Kurz. Sta nascendo un asse populista in Europa? Gli equilibri continentali saranno rivoluzionati in senso populista?
L’alleanza fra populisti è già nei fatti, perché perseguono molti obiettivi comuni, ma una sorta di internazionale populista non ci sarà mai, perché ogni movimento di questo tipo persegue solo gli interessi del proprio popolo, e in qualunque caso di contrasto con altri paesi non è disposto a cedere. Lo stiamo già vedendo sulle vicende dell’immigrazione: l’Italia vuole modificare l’accordo di Dublino, Orbán e i suoi alleati del gruppo di i Visegrád no. Tutti giocano a scaricabarile. E poi ci sono i populisti più moderati che temono di sporcarsi l’immagine alleandosi ai populisti tacciati di estremismo o parafascismo. E i populisti più spostati a sinistra che criticano quelli che considerano di destra. Il populismo non è un’ideologia, è una mentalità. E, al di là della “Lega delle Leghe” ipotizzata da Salvini, per fondare un’alleanza internazionale solida un’ideologia ci vuole. Saranno più probabili accordi caso per caso e convergenze specifiche.
(Tratto dal sito www.linkiesta.it del 3 luglio 2018)
«Matteo Salvini non è un politico di destra. È un leader populista, un agitatore-trascinatore di qualità, come lo è stato Beppe Grillo». Ne è convinto Marco Tarchi, politologo all’Università di Firenze e uno dei massimi esperti di populismi.
Professore, il governo Conte è nato ormai da oltre un mese. In queste settimane ci sono state forti prese di posizione e non poche polemiche. Da tempo Lei osserva e studia il fenomeno populista, senza etichette né pregiudiziali. L’esecutivo italiano rientra a pieno titolo in questa realtà? Si può parlare di governo populista?
No. È un governo fondato su un accordo-compromesso tra due formazioni politiche di cui solo una, la Lega, presenta tutte le caratteristiche della mentalità populista, mescolate ad una forte impronta sovranista. Il Movimento Cinque Stelle ne possiede, o quantomeno ne esibisce, un numero molto più ridotto e al suo interno ha alcune componenti – ben esemplificate da Roberto Fico – che restano legate all’opposizione sinistra/destra, totalmente estranea alla logica del populismo. Beppe Grillo, come ha dimostrato con la recente proposta di costruire un Senato dei cittadini selezionato tramite sorteggio, che dovrebbe essere il primo passo per dimostrare che la politica di professione è superflua e nociva, è un populista a pieni carati; i suoi originari seguaci lo sono decisamente di meno. E Conte è stato scelto come figura terza, tutt’altro che populista anche nell’immagine, per gestire e mediare i rapporti fra queste forze diverse.
Qualcuno ha parlato di governo rosso-bruno, descrivendo l’intesa tra Cinque Stelle e Lega come un’alleanza tra radicali di destra e sinistra. È una lettura che condivide?
Per niente. Il radicalismo dei toni su versanti come quello del contenimento dei flussi migratori (Lega) o della riduzione dei privilegi della “casta” politica (M5S) non hanno niente a che vedere con la sostanza dei progetti dei gruppuscoli neofascisti o di centri sociali e black bloc. Tutti i paragoni con il passato fatti in queste settimane, a partire dallo spauracchio del “fascismo di ritorno” sono frutto di propaganda o di ignoranza. I presupposti strutturali delle crisi democratiche degli anni Venti-Trenta o della rivoluzione bolscevica erano sideralmente distanti dalla condizione odierna dei paesi europei. Di rosso-bruno, nel governo giallo-verde, non c’è niente. I Moavero Milanesi, i Savona, lo stesso Conte, nulla hanno in comune con Fact, von Papen o Kerenskij.
In queste settimane molti osservatori hanno paragonato il governo italiano e l’esperienza americana di Donald Trump. È un parallelo che la convince? Pur con le inevitabili differenze, riconosce le stesse istanze populiste?
Non mi stupisce che Conte, per dare maggiore autorevolezza alla sua figura, sconosciuta anche in sede internazionale, vanti l’immediata apertura di credito di Trump e che esponenti del suo governo indichino il protezionismo economico e la chiusura all’immigrazione illegale dell’attuale amministrazione Usa come degli esempi da seguire. Ma lo scenario europeo e gli interessi del vecchio continente sono molto distanti da quelli d’oltreoceano, e non credo che con l’andar del tempo, se il governo Conte reggerà, i rapporti col Grande Fratello atlantico saranno tutti rose e fiori.
La nascita del governo Conte è davvero una novità in Italia? Secondo alcuni, un primo esecutivo tipicamente populista c’è già stato. Era il 1994, il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi. È d’accordo?
Anche in questo caso, no. Il primo governo Berlusconi nasceva per riaffermare il bipolarismo sinistra/destra ridando voce e rafforzando quest’ultima, e l’inclusione della Lega non poteva che destabilizzare quel progetto, come di fatto avvenne. I governi successivi guidati dall’allora Cavaliere andavano ancora oltre in quella direzione. Il governo Conte nasce dalla disgregazione della capacità di attrazione di quella logica bipolare e tende a ribadirla. Berlusconi presenta alcuni tratti tipici della mentalità populista, in una delle sue tante declinazioni, ma nell’azione politica concreta ha sempre dimostrato di propendere per un’impostazione moderata, centrista e quanto più possibile “politicamente corretta”. Forza Italia non ha niente a che spartire con il populismo.
Lega e Cinque Stelle, con tutte le differenze tra i due movimenti, restano le principali realtà populiste in Italia?
Sì. I tentativi di sfruttare l’ondata proponendone versioni più estreme, a sinistra come a destra, non hanno consistenza e sono strutturalmente ambigui. E l’appropriazione in chiave meramente stilistica e discorsiva di alcuni dei temi di polemica di impronta populista da parte di esponenti dell’establishment ansiosi di apparire nuovi, primo fra tutti Renzi, si è dimostrata fallimentare. La copia, come sempre, fatica a reggere il confronto con l’originale.
Secondo lei le ultime elezioni politiche hanno sancito anche in Italia la rottura del rapporto tra elettori ed élites? Si sono verificate le stesse dinamiche che hanno portato Trump alla Casa Bianca? La “rivolta” contro i politici di professione, l’affermazione dei dimenticati contro l’establishment? Oppure la vittoria di Lega e Cinque stelle è il frutto di altre dinamiche (ad esempio territoriali, dato che i grillini si sono affermati soprattutto al Sud e il Carroccio al Nord)?
Ha pesato più il primo fattore del secondo, e mi pare che i sondaggi postelettorali lo dimostrino, con un recupero, soprattutto da parte della Lega, delle intenzioni di voto di un consistente numero di elettori che il 4 marzo si erano astenuti. Gran parte dell’opinione pubblica ha una forte sfiducia verso tutto ciò che sa di politica intesa nel senso abituale del termine: non si fida, non vorrebbe più delegare, detesta lungaggini e mediazioni. In tutto ciò ha più peso di quanto sinora non si sia ammesso l’abitudine di milioni di italiani di ritagliarsi uno sfrenato protagonismo e un diritto di intervenire su tutto e su tutti attraverso social media, blog, telefonate in diretta a radio e tv, reality shows. Si è perso il senso della necessità di strutture di rappresentanza. Va aggiunto però che questi umori rischiano di pesare su chiunque vada al governo, populisti inclusi. Starà a loro creare una sinergia con questi cittadini adirati e polemici. Poi, certo, c’è anche chi ha scelto il M5S perché convinto di poter trovare nel reddito di cittadinanza una ciambella di salvataggio, ma credo che si tratti di una minoranza.
Matteo Salvini è il perfetto leader populista? Crede sia destinato a diventare il rappresentante della nuova destra italiana o, piuttosto, allargherà trasversalmente il proprio consenso?
Non l’ho mai visto, e tuttora non lo vedo, come un politico di destra, né moderata (ovviamente) né estrema. È un leader populista, un agitatore-trascinatore di qualità, come lo è stato Beppe Grillo fino a quando ha voluto spendersi in prima persona. La chiave del suo successo futuro sta nella possibilità di puntare su temi trasversali e guadagnare ulteriori consensi sfondando definitivamente le paratie stagne della dicotomia sinistra/destra. Se si rinchiudesse in questa seconda area, ridurrebbe la sua presa potenziale sugli elettori. E quando si è definito populista, a Pontida, ha dimostrato di averlo capito.
C’è un dato che accomuna Salvini a Trump. La lettura fortemente negativa del fenomeno migratorio e le conseguenti accuse di razzismo da parte della comunicazione mainstream. A giudicare dai sondaggi, sembra che entrambi i leader abbiano costruito così buona parte del proprio successo.
Non c’è alcun dubbio. I flussi migratori di massa sono la prima preoccupazione dei cittadini di molti paesi ai giorni nostri, e penso siano destinati a rimanere tali per un tempo lunghissimo. In un’epoca in cui le agenzie specializzate dell’Onu annunciano cinquanta milioni di africani che hanno già deciso di attraversare il mare per venire in Europa, come ci si può stupire se cresce la paura di questa migrazione di proporzioni ben più che bibliche? Inoltre, la pur forte propaganda pro-immigrazione, che per contrastare quella avversa contrappone alla paura la commozione e la compassione presentando tutti i “migranti” (termine non scelto a casa, perché emotivamente ben più coinvolgente di “immigrati”, “extracomunitari”, “clandestini” ecc.) come disperati, affamati e privi di alternative, sta sbagliando nell’affidarsi a statistiche che non convincono nessuno. Che senso ha sbandierare un calo annuo del 70% negli sbarchi come se indicasse una riduzione del fenomeno migratorio, quando tutti sanno che quella cifra significa solo che, se l’anno scorso erano approdati centomila nuovi ospiti, quest’anno ce ne saranno, oltre a quelli e ai milioni che li hanno preceduti, altri trentamila? O dire che gli immigrati delinquono “solo un po’ di più” degli italiani, senza capire che così a tutti è chiaro che oltre ai delinquenti di casa nostra ne stiamo importando altri in più? Prendere i cittadini per degli stupidi è un’arma a doppio taglio.
I partiti della maggioranza continuano a crescere nei sondaggi, le opposizioni sono sempre più in difficoltà. Cinque Stelle e Lega sono destinati a governare a lungo?
Questo dipenderà dalla loro capacità di non tradire le attese. Per adesso, il loro discorso risulta gradito e convincente non solo a chi li ha votati ma, nell’insieme, a quasi i due terzi della popolazione. Dopo la luna di miele verranno delusioni e dissapori? È possibile, ma, stando ai travagli intestini e all’inconsistenza di azione politica che affliggono sia Pd che Forza Italia, per ora non si vede chi possa davvero mettere i bastoni tra le ruote dell’alleanza giallo-verde. Si pensa – o si insinua – che Salvini, esaltato dai sondaggi, staccherà la spina per passare all’incasso di una maggioranza assoluta dei seggi con la coalizione di centrodestra, ma io sono scettico: Berlusconi, avvelenato dall’umiliazione subita nelle urne e desideroso di vendette sottobanco, sarebbe oggi, per lui, una palla al piede molto più pesante della convivenza con i Cinque Stelle o delle battute di Fico.
Intanto Salvini, già storico alleato di Marine Le Pen, cerca un’intesa con Viktor Orbán e l’austriaco Sebastian Kurz. Sta nascendo un asse populista in Europa? Gli equilibri continentali saranno rivoluzionati in senso populista?
L’alleanza fra populisti è già nei fatti, perché perseguono molti obiettivi comuni, ma una sorta di internazionale populista non ci sarà mai, perché ogni movimento di questo tipo persegue solo gli interessi del proprio popolo, e in qualunque caso di contrasto con altri paesi non è disposto a cedere. Lo stiamo già vedendo sulle vicende dell’immigrazione: l’Italia vuole modificare l’accordo di Dublino, Orbán e i suoi alleati del gruppo di i Visegrád no. Tutti giocano a scaricabarile. E poi ci sono i populisti più moderati che temono di sporcarsi l’immagine alleandosi ai populisti tacciati di estremismo o parafascismo. E i populisti più spostati a sinistra che criticano quelli che considerano di destra. Il populismo non è un’ideologia, è una mentalità. E, al di là della “Lega delle Leghe” ipotizzata da Salvini, per fondare un’alleanza internazionale solida un’ideologia ci vuole. Saranno più probabili accordi caso per caso e convergenze specifiche.
(Tratto dal sito www.linkiesta.it del 3 luglio 2018)
Condivido e apprezzo la linea del direttore Risso che continua proporci idee e punti di vista che ci aiutano a capire la rivoluzione in corso, in modo da poter definire una strategia secondo la nostra cultura politica adeguata ai tempi.