Programma per un nuovo centrosinistra



Ernesto Galli della Loggia    5 Luglio 2018       1

Che molti commentatori politici, messi di fronte al triste presente, rivalutino il passato e i suoi protagonisti, non stupisce più di tanto. Fa anche piacere che la tradizione del cattolicesimo politico sia ritenuta un esempio a cui guardare. Ma fa effetto leggere in un editoriale sul “Corriere della Sera” (26 giugno scorso) di Ernesto Galli della Loggia, che “il partito della nuova opposizione (alla destra populista, ndr) di domani (deve) sentirsi (e magari anche dirsi) culturalmente cristiano”. Però rilanciamo questo articolo soprattutto per promuovere un dibattito sui dieci punti che l’autore propone come caratterizzanti per un nuovo partito di centrosinistra.

 

Per il Partito Democratico quanto è accaduto domenica 24 giugno 2018 è qualcosa di ben diverso da una sconfitta, sia pure assai grave. È qualcosa di molto vicino a una autentica espulsione dalla storia che significa anche la fine di una storia. Una storia cominciata male, in modo ambiguo e pasticciato 25 anni fa: una forte matrice comunista mai rivisitata e indagata ma semplicemente rimossa, un vantato innesto con il cattolicesimo politico di tutte le tinte (da don Sturzo a Livio Labor), e infine la costruzione di un Pantheon di presunti antenati messo insieme come un mazzo di carte (Giovanni Amendola accanto a Nelson Mandela, Primo Levi con don Milani). Cominciata male, e proseguita peggio: staccandosi progressivamente dalla realtà di carne e sangue del Paese, identificandosi con tutti i peggiori settori di establishment disponibili, e assistendo compiaciuto (non rendendosi conto di assistere in realtà al proprio suicidio) alla trasformazione dell’antica egemonia culturale all’insegna di Marx e Gramsci nel fighettismo à la page del «ceto medio riflessivo» sotto l’alto patronato di Roberto Benigni e del prof Paul Ginsborg.

Ciò detto bisogna anche aggiungere però che solo dagli uomini e dalle donne che in qualche modo hanno avuto a che fare con il PD, solo da spezzoni della sua vicenda, da qualcuno dei suoi molti retroterra, può ricominciare la storia di un’opposizione in Italia. Certamente non da Forza Italia, da Berlusconi costruita come un partito di plastica e di camerieri che oggi si apprestano a chiedere di essere assunti da un altro padrone. Ma per avere qualche speranza di successo deve essere una storia totalmente altra. Non bastano le sempre invocate «facce nuove» e neppure qualche idea nuova. Deve trattarsi di un’identità nuova. Un’identità diversa dal passato, e dunque pronta anche a contaminarsi con valori e prospettive che non abbiano a che fare con la sinistra tradizionalmente intesa. Per la semplice ragione che ormai è il mondo che non ha più molto a che fare con il mondo tradizionalmente raffigurato dalla Sinistra; e che la storia stessa ha imboccato vie inaspettate e contraddittorie. Sicché la società italiana, ad esempio, è oggi, sì, sospinta verso il futuro e ansiosa del sempre nuovo, ma insieme appare anche percorsa dal desiderio di ritorno a un po’ di ordine e di disciplina antichi, di recupero di una certa etica pubblica, del sentimento del lavoro eseguito con scrupolo, di servizi che funzionino, di una scuola fatta bene, del rispetto delle competenze e delle deontologie professionali. È un desiderio che riflette anche il bisogno di un rapporto effettivo tra politica e senso civico, tra politica e morale in cui l’opinione pubblica migliore ancora vuole credere (e del resto, a pensarci bene, non c’è forse proprio un tale sacrosanto bisogno in tanta agitazione contro la «casta»?).

Da tutto questo l’ovvia conseguenza che la nuova opposizione — non più del PD, ma semplicemente di ascendenza PD — non possa che avere un’identità colpevolmente «moralistica» ed «eclettica» agli occhi dei custodi di tutte le ortodossie cadaveriche delle varie Sinistre italiane (da quella marxista a quella liberal-democratica) ancora in cattedra a dispetto delle continue bocciature della storia. È il rischio inevitabile che oggi ciò che è nuovo deve correre per non assomigliare al vecchio. E consapevole di correre anch’io un rischio uscendo dal vago mi avventuro a mettere nero su bianco come secondo me dovrebbe più o meno essere il partito della nuova opposizione di domani, lontano parente del PD di oggi:

1) sentirsi (e magari anche dirsi) culturalmente cristiano. Per ridare senso alla politica c’è bisogno di un’ispirazione alta e forte che oggi però non può venire da dottrine e valori esclusivamente politici. La «democrazia benevola» che vogliamo non è quella né di Pericle né di Cicerone: deve ad essi cose anche importanti ma è nata qui in Occidente dallo spirito delle Sacre Scritture rese universali dal Cristianesimo. E alla fine, come ha ben detto Massimo Cacciari, solo il Cristianesimo può tenere a bada i demoni della scienza, dell’economia e della tecnica riuniti assieme che incombono sul nostro futuro; e in generale, direi, anche quelli di ogni potere che si pretenda assoluto. Mi sembrano cose di una certa importanza.

2) Essere orientato alla modernità, ma non progressista. Progressismo è sinonimo di un ottimismo sempre alquanto ridicolo, di questi tempi poi decisamente ingiustificabile. Disfarsi disinvoltamente del passato per principio, come è tipico del progressismo di massa da tempo in voga, testimonia solo di una micidiale superficialità.

3) Essere un partito italiano. Il che significa rifiutare ogni autoreferenzialità nazionalistica ma, per dirne un paio, sentire come cosa propria il patrimonio storico-culturale della Penisola (non lasciando che l’istruzione vada a ramengo e che accadano altre empietà consimili), ovvero fare politica cercando di avere (e di comunicare) un’idea del passato del Paese e del suo futuro. Significa soprattutto avere in mente che nell’arena europea e mondiale l’interesse della sovranità italiana non sempre coincide con quelli altrui: e che per difenderlo si può anche alzare la voce. Non è scritto da nessuna parte che a farlo debba essere solo la Destra.

4) Essere orientato in senso comunitario, multietnico e internazionalista ma non già multiculturale e cosmopolita. Per stare insieme una società ha bisogno di un legame più forte e profondo della Costituzione e delle leggi (che servono ma non bastano). Ha bisogno di sentirsi una comunità caratterizzata da una storia e da una cultura. Solo in una comunità siffatta chi è di un’etnia diversa o viene da un’altra cultura può davvero integrarsi: no di certo in una compagine multiculturale. D’altra parte, mentre internazionalismo vuol dire solidarietà, vuol dire ideali e cause condivise con altri individui e popoli, il cosmopolitismo, invece, è quasi sempre solo la versione supponente di un individualismo privo d’identità. Non a caso la Croce Rossa e il Primo Maggio continuano ad essere dovunque più popolari dell’Onu.

5) Dichiararsi a favore di una «patrimoniale». Non soltanto è il modo più semplice per far capire da che parte si sta quando si tratta di economia, ma a un partito di sinistra le risorse così ottenute potrebbero servire per due impieghi importanti: a usarne la metà per ridurre sia pure di poco il debito del Paese (dando così un segnale importantissimo ai «mercati» e facendosi altresì carico di un compito nazionale decisivo quale l’inizio della liberazione del Paese dal cappio finanziario), e l’altra metà usarla, invece, per un grande progetto sociale a favore dei ceti più disagiati: ad esempio per un piano nazionale di risanamento e ristrutturazione delle principali periferie urbane.

Lo so che è una misura che provoca in tanti un moto di rivolta: ma come ci si può rassegnare al fatto che chi in Italia detiene grandi quote di ricchezza si sottragga sempre in un modo o nell’altro all’obbligo dell’equità fiscale? Se lo si ritiene utile al Paese (personalmente è per questo che io sono disposto a dire sì a tale misura) un partito che si rispetti deve avere il coraggio di sfidare l’impopolarità.

6) Non temere di difendere con forza certi valori etico-culturali. In politica contano non solo gli interessi e i diritti, contano anche gli ideali e i sentimenti: e forse sempre più conteranno nei domani che ci aspettano. Un partito, specialmente se di sinistra, non può essere un partito solo di gestione, deve essere anche il portatore di una speranza e di qualche forma di rinnovamento forte. Ad esempio i tempi sono maturi, io credo, per un partito che riprendendo un filone sotterraneo cha va da Mazzini a Simone Weil, metta all’ordine del giorno una tematica dei doveri e del «limite» contro l’ideologia del menefreghismo edonistico e del «tanto non faccio male a nessuno», nonché contro la pratica orgiastica del futile e del superfluo. Nel fondo dell’animo la gente desidera vivere per qualcosa di più e di meglio che una vacanza alle Maldive o fare sesso nell’auto ultimo modello.

7) Proporre l’introduzione del servizio civile a 18 anni per tutti i ragazzi e le ragazze. Compiti: manutenzione del territorio (pulizia spiagge, greti dei corsi d’acqua ecc.), attività di protezione civile, assistenza a disabili, servizi di ambulanza, ecc. Tra ludopatia, alcool, impasticcamento e disgregazione familiare la gioventù italiana si sta perdendo: una svolta nel Paese dovrebbe cominciare anche da qui.

8) Per quel che riguarda la politica estera, invece, entrare nell’idea che in linea di massima a noi italiani conviene essere sempre diffidenti della Russia, con gli occhi ben aperti verso la Germania, emuli della Francia, legati alla Grecia e alla Spagna, nutrire simpatia per la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Da soli possiamo poco, ma siamo necessari a molti per fare cose importanti.

9) Essere un partito europeista ma nel modo che attualmente è urgente e necessario: cioè proponendo che per arrestare la valanga migratoria che altrimenti ci sommergerà, almeno metà dell’intero bilancio dell’Unione sia devoluto ad un programma di assistenza e sviluppo dell’Africa subsahariana. Oggi il massimo interesse dell’Europa non è la crescita del reddito del Crotonese o della Bucovina, è lo sviluppo economico del Gambia e del Congo.

10) Prendere l’iniziativa per qualcuna, o magari tutte, delle seguenti misure: a) abolire il bicameralismo e il CNEL (è il caso di riprovarci); b) regolamentare lo sciopero nei servizi pubblici; c) reintrodurre il finanziamento pubblico dei partiti in misura adeguata ma in forme rigidamente controllate; d) separare le carriere dei magistrati; e) eliminare la presenza di rappresentanti designati dai sindacati in tutte le sedi direttive, amministrative e/o gestionali di qualunque ente, istituzione o organismo pubblico o azienda a partecipazione pubblica; f) sottrarre a tutti i Comuni dichiarati soggetti a pericolo d’infiltrazione criminale la gestione degli appalti superiori ai 50 mila euro e affidarli alle prefetture.

Non so — e in fin dei conti m’interessa assai poco — se i suggerimenti fin qui dati possono essere considerati di sinistra. Almeno storicamente alcuni di essi di certo non lo sono. Di una cosa però mi sembra di essere sicuro: che oggi — come del resto forse sempre — per essere di sinistra non bisogna essere solo di sinistra.

 

(tratto da www.corriere.it)


1 Commento

  1. Ci manca Galli della Loggia (che ha pure qualche ragione e qualche suggerimento utile, come ce l’hanno altri) ad insegnare ai popolari cosa devono o non devono fare!
    Fa parte anche lui di quel mondo che ci vorrebbe “moderati”, “centristi” equilibristi, senza eccessi; mentre oggi, pur col rispetto per le regole e senza violenza nè verbale nè di strumenti, bisogna sostenere progetti e programmi innovativi, “rivoluzionari”, tornare ad essere con le nostre comunità (il popolo, le associazioni, i corpi intermedi e i territori). Altrimenti saranno davvero i “populisti” a rappresentare e realizzare .

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