“Punto a capo”, un’esperienza “popolare”



Carlo Baviera    25 Giugno 2018       0

Dopo aver rilanciato nelle settimane precedenti le dieci parti che compongono la storia di “Punto a capo”, periodico della sinistra DC dell’Alessandrino, a conclusione di questo recupero di un pezzo significativo di storia politica dei cattolici democratici nel Piemonte orientale, pubblichiamo una sintesi conclusiva di Carlo Baviera, a cui si deve il merito di un lavoro che fa memoria del passato per mantenere la speranza nel futuro.

 

Due libri ne hanno riproposto idee, cammini, intuizioni, impegni, nella Provincia di Alessandria. Parlo di quella che è conosciuta come “sinistra democristiana”. E i libri sono La sinistra sociale (di Morgando e Merlo, Ed. Studium 2016) e Coraggio e passione – Riccardo Coppo – il Sindaco, le sfide (di Faretto, Ed. Falsopiano 2017). Libri che aiutano a indagare e conoscere in modo più approfondito una presenza significativa. Una delle realtà con cui la sinistra DC alessandrina è stata presente è il periodico “Punto a capo”, pubblicato per più di venti anni. Gli esordi anticipano e accompagnano il “rinnovamento” portato da Zaccagnini.

Le pubblicazioni iniziano nell’agosto del 1974, nel periodo immediatamente successivo al referendum sul divorzio. I promotori di quella pubblicazione furono Lucio Bassi, Marco Caramagna, Gian Franco Chessa, Riccardo Coppo, Felice Crema, Dario Fornaro, Agostino Gatti, Gianni Gelsomino, Piero Genovese, Giuseppe Giacobbo, Domenico Puleio, Riccardo Triglia, Vito Ziccardi. “Il problema per la DC non è quello di dare risposte qualsiasi [...] il vero problema è quello di dare risposte realistiche e coerenti ai problemi del Paese. [...] Questo nostro piccolo foglio nasce proprio da questa consapevolezza e dal timore che la DC si esima ancora, in santa unità d’intenti, di fronte all’amaro piatto della rigorosa e costruttiva autocritica [...] La riassunzione di un ruolo guida della DC [...] non può che passare attraverso colpi d’ala. È un problema di volontà e di capacità. Noi riteniamo che né l’una né l’altra soccorreranno a sufficienza se non si farà, almeno un poco, punto a capo.” I primi numeri affrontarono le questioni più calde, dalla “strategia della tensione” all’economia, dalla fiscalità alla questione comunista, dagli organi collegiali della scuola ai temi delle autonomie locali. Indicando come necessario per la DC riaprire il dibattito su linea politica e alleanze: “Per noi, dunque, il problema è quello dell’alleanza tra classi popolari e ceti medi [...] volta ad impedire che si realizzi un’alleanza tra borghesia speculativa e burocrazia, ambedue legate alla rendita, interessate solo a consolidare l’esistente e non a cambiare l‘assetto delle cose”. “Se questo è il nostro impegno, esso è legato ad un mutamento di indirizzi generali, quindi al cambiamento della direzione politica all’interno della DC”.

Di fronte alla proposta del “compromesso storico”, si era interessati, ma non per costruire “coalizioni pasticciate” e si incalzava il PCI su quelle che si ritenevano le sue debolezze (politica estera, statalismo, centralismo) per un reale consolidamento della democrazia, il rispetto delle forze sociali e dei nuclei intermedi, e la politica estera sganciata da Mosca. Al contempo si poneva la “questione democristiana”: anche la DC si doveva aggiornare profondamente (Moro aveva detto qualche tempo prima che doveva essere opposizione a sé stessa). Grazie alla presenza parlamentare del professor Giovanni Sisto (facente parte della corrente di Moro) le sinistre DC della provincia di Alessandria stabilirono, oltre alla vicinanza con Donat Cattin, Bodrato, e Granelli, anche un legame politico con il leader pugliese.

“Punto a capo” ebbe un primo tempo intenso soprattutto per un anno. Poi quando Piero Genovese, leader della sinistra provinciale DC, venne eletto segretario provinciale e Benigno Zaccagnini divenne segretario nazionale della DC, e Aldo Moro nominato presidente del Consiglio nazionale del partito, gli amici facenti capo alla sinistra DC si concentrarono sull’attività del partito, lasciando più in ombra il periodico. Il rinnovamento imboccato con la politica del confronto e con una nuova “proposta al Paese” che Zaccagnini, Moro, e i leader come Granelli, Galloni, Bodrato, Donat Cattin, Salvi, Belci, Tina Anselmi avevano individuato, si affermava anche in provincia.

 

La pubblicazione riprenderà rinnovata vivacità nel dicembre 1988. Il gruppo di amici promotori di quella “seconda edizione” furono Giuseppe Alvigini, Pier Giuseppe Alvigini, Carlo Baviera, Renato Balduzzi, Franco Brignone, Natale Busseti, Giancarlo Cattaneo, Riccardo Coppo, Paolo Ferraris, Dario Fornaro, Pietro Franco, Agostino Gatti, Piero Genovese, Cesare Goglino, Fabrizio Palenzona, Franco Piana, Lelio Regalzi, Osvaldo Repetti, Riccardo Triglia, Vito Ziccardi. Si notava un ringiovanimento per l’inserimento di un gruppo formatosi nel Movimento Giovanile, e nell’attività politica e amministrativa.

A fine 1988 gli anni del Preambolo sono relativamente lontani e superati. Vi è stata una profonda divisione, a livello nazionale, tra i gruppi della sinistra; l’unità faticosa da ricostruire. Unità che invece teneva a livello provinciale, come sempre era avvenuto, pur con qualche discussione.

Sul primo numero, della nuova serie, si apriva il dibattito su “Giunte locali e rapporto con il PCI”; a livello locale pochi mesi prima, proprio dove il partito era guidato da amici di Forze Nuove, si era dato vita ad alleanze amministrative fra DC e PCI (in particolare Tortona e Casale Monferrato), le “giunte anomale”, per bloccare la crisi costituita dalla questione morale e da un modo di fare politica e di amministrare che, se era disinvolto nella gestione, lo era altrettanto nei rapporti di coalizione, giocando sui due tavoli per ottenere il massimo di risultato e spiazzare gli alleati. “Se guardiamo alla nostra Provincia DC e PCI per non essere giocati l’uno contro l’altro in posizione subalterna al PSI sono stati indotti a cercare localmente le motivazioni di un accordo programmatico”.

Alla crisi di moralità della politica e del radicamento sociale del partito democristiano si sarebbero aggiunte le conseguenze derivanti dalla caduta del sistema sovietico e la preoccupazione per il capitalismo liberista ormai dilagante in ogni area del pianeta, maggiore richiesta di trasparenza e di rigore comportamentale ai politici e alle istituzioni. “Le grandi novità e i mutamenti che incalzano ci hanno convinti dell’urgente esigenza che anche la Democrazia Cristiana alessandrina si apra ad un grande confronto di idee al proprio interno e all’esterno”, senza condividere la tesi di quanti ritengono che per affrontare le novità si debba “solo e comunque privilegiare la ‘modernizzazione’. Pensiamo, invece, che rispetto ad un’ondata di interessi particolari (che sono poi gli interessi ‘forti’ organizzati per dominare la società) sia necessario difendere l’idea dell’interesse generale e ancorare quest’idea al valore della solidarietà”, considerare “estremamente importante il discorso della partecipazione e della responsabilità [...] una rinnovata tensione etica e politica, capace di coniugare il dibattito sulla moralità dei fini al dibattito e alla pratica della moralità dei mezzi”.

L’attenzione a un modo “serio” di far politica e amministrazione lo si evidenziava con l’organizzazione di un convegno (e la presentazione di un dettagliato documento con punti riguardanti anche la Provincia), nel giugno 1991, dal titolo Rifondare i partiti per rifondare la politica. Siamo alla vigilia dell’esplosione di “mani pulite” e siamo anche alla vigilia della importante e significativa nota pastorale della Commissione ecclesiale Giustizia e Pace Educare alla legalità, pubblicata il 4 ottobre 1991. Perciò si dimostra tempismo, attenzione, sincera convinzione nell’affrontare l’argomento. Ci si proponeva “di riaprire una riflessione all’interno della Democrazia Cristiana e fuori di essa attraverso un confronto con le associazioni cattoliche, le categorie economiche, le associazioni sindacali, e con le altre forze politiche sulla crisi dei partiti e sull’esigenza di rifondare la politica in generale, ma anche nella nostra provincia”. Oltre alla moralità della politica, in quegli anni, si dovevano affrontare una certa debolezza dell’identità provinciale – “la caduta verticale di ogni reale tentativo di fare programmazione economica e territoriale. [...] Nessuno ragiona più in termini provinciali” –, e gli inquinamenti scoperti in Valle Scrivia, a Serravalle, a Casale Monferrato (con l’inquinamento del suo acquedotto). Un altro punto sul quale il periodico si concentrava (grazie alle considerazioni di Bodrato) era la Guerra del Golfo, su cui si teneva un atteggiamento prudente.

Un anno dopo (29 giugno 1992) in un dibattito ci si interrogava ancora su Quale futuro per la DC? e si indicavano gli obiettivi sui quali lavorare per riformarla: “realizzare una società più giusta, conseguire una democrazia compiuta, entrare a testa alta in Europa, dare una speranza ai giovani”. Mentre a luglio veniva “chiesto l’azzeramento degli incarichi provinciali di partito e la ricostituzione di un assetto interno che, sulla base di regole nuove, trasparenti e vincolanti, ridia credibilità e autorevolezza alla DC”. Le difficoltà non erano “un temporale estivo. [...] Poiché noi riteniamo invece di trovarci di fronte a una crisi grave e profonda che necessita di cambiamenti radicali” e la vicenda delle tangenti (che aveva toccato in Provincia gli alleati socialisti) “non può essere considerata solo come una serie di errori a responsabilità personale, ma va giudicata frutto del degrado dell’attuale sistema politico”. Si ponevano quindi una serie di condizioni per la ripartenza politica: tra cui incompatibilità fra incarichi pubblici e di partito, distinzione dei ruoli tra politici e dirigenti, pubblicità dei redditi e dei patrimoni per i principali esponenti del partito, trasparenza e rigore nella gestione pubblica.

Dopo circa dieci anni dalla sua nascita “Punto a capo” continuava a rilevare la necessità di “dare risposta ai problemi reali del Paese” che restavano sostanzialmente quelli di sempre: l’involuzione della democrazia, l’occupazione del potere da parte di alcuni gruppi di potere, l’estendersi del malaffare (soprattutto con il business dello smaltimento dei rifiuti), l’accentramento del potere a discapito della partecipazione e della trasparenza politica. Una seconda considerazione sul gruppo promotore, rimasto coeso e formato fondamentalmente dagli stessi personaggi, nonostante qualche piccolissima modifica e l’innesto di nuovi giovani. Alcune battaglie importanti non avevano come finalità l’affermazione delle ambizioni o l’occupazione di posti, ma il desiderio di incidere profondamente nel necessario cambiamento sia del partito che delle politiche provinciali. Terzo: la scarsità, o meglio, l’assenza di presenza femminile; pur non mancando la presenza e l’apporto delle donne, almeno ai livelli locali, e manifestando un’attenzione verso un argomento dibattuto e sempre più in evidenza in quegli anni, anche la sinistra scontava questa carenza (o difficoltà) generale a creare spazi per “l’altro genere”.

 

Un terzo tempo dell’opuscolo lo si ebbe con la nascita dei Popolari, a seguito della scissione del PPI eseguita da Buttiglione. I Popolari, sotto la guida di Gerardo Bianco, di Giovanni Bianchi, di Franco Marini, Russo Jervolino, Rosi Bindi, Castagnetti, Bodrato, si schierarono con l’Ulivo.

“Punto a capo” diventò, di fatto, il periodico del nuovo partito a livello provinciale. Qui inizia una storia nuova, se pur sempre all’interno di una visione ispirata ai valori dell’insegnamento sociale della Chiesa, ma tradotti laicamente e nel rispetto dell’autonoma responsabilità dei singoli.

I promotori si sentono parte del movimento riformatore e progressista della società, senza dovere più mediare con chi apparteneva a posizioni moderate, o peggio sentirsi associati ad ambienti che erano stati coinvolti in vicende giudiziarie o addirittura di collusioni con ambienti malavitosi. “Punto a capo” testimonia questa ripartenza con un fondo dal titolo Ardimentosi e umili di Giancarlo Cattaneo (che ne sarà negli anni successivi il coordinatore, al di là degli incarichi da lui assunti e di chi ne fosse formalmente il direttore): “Il Congresso Nazionale tenutosi nei giorni 29 e 30 giugno e 1° luglio 1995 ha segnato una tappa importante per il rilancio del PPI, cancellando lo strappo provocato da Buttiglione”. Si susseguono, nei vari numeri, gli interventi e le interviste, di personalità come Bodrato, Morgando, Rosi Bindi, Giovanni Bianchi; interessanti le considerazioni di Bodrato sulle leggi elettorali: “Chi ha affrontato la questione del sistema elettorale sa che non esiste una legge che risolva in modo convincente sia il problema della rappresentanza sia quello della stabilità”. Sono gli anni dell’Ulivo, vissuti con convinzione e dedizione totale. Renato Balduzzi pone il problema dei rapporti equilibrati da costruire tra Comitato Ulivo e Partiti: “dalla nostra capacità di comporre armonicamente questi due strumenti dipende gran parte dell’affermazione della coalizione di centro-sinistra”.

Gli ultimi numeri si concentrano sulle questioni locali (il Consigliere Regionale Paolo Ferraris, presenterà il disegno di Legge “per lo sviluppo e la tutela dei territori collinari”), sulla riforma degli Enti Locali (con il contributo del presidente ANCI Riccardo Triglia), sulla legge finanziaria (Gianfranco Morgando: “Vi sono privilegi sociali e anche conquiste sindacali che devono essere rimesse in discussione prima che siano travolte dalla globalizzazione. Dobbiamo rivedere i livelli di spesa sociale per poter difendere con maggior efficacia i livelli di occupazione”). Non mancano gli approfondimenti politici di Guido Bodrato (“La sinistra ha abbandonato le antiche certezze, ed appare impegnata – nella sua componente riformista – in una battaglia di ‘emendamenti’ al modello liberista”. “Cresce il potere del mercato e dei soggetti che lo dominano, a spese della politica. E questo squilibrio ha conseguenze che dobbiamo proporci di risolvere”) e Giovanni Bianchi (“Il problema è quello di una risposta altra e alta alla crisi che si qualifichi per spessore morale e culturale (…) con l’avvertenza che non basta spolverare qualche scaffale e cambiare qualche ninnolo per dire di avere fatto le pulizie generali”).

 

In conclusione, “Punto a capo” in epoche diverse della vita nazionale e provinciale è rimasto coerente all’impegno che si era assunto.

Il fatto che le tematiche e l’azione per affermare alcuni principi e modi di fare politica siano rimaste costanti, significa però che i cambiamenti registrati sono stati pochi e non sempre positivi. Dover ritornare in modo ricorrente sulle questioni della difesa della democrazia, sulla trasparenza, sulla partecipazione, sul pluralismo, sulla concretezza, sull’attenzione e il legame con il popolo, dicono della fatica costante per affermare i principi costituzionali e della convivenza civile.

Ma dicono anche di tante persone (anche di altre culture ed esperienze sociali e politiche) che si sono battute e continuano a battersi per un sistema di sviluppo armonico delle comunità, dei territori, dei rapporti economici e sociali.


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