Dei migranti, “fenomeno epocale” del nostro tempo, abbiamo dibattuto e scritto, poi redatto un ampio documento per inquadrare il tema così complesso, e continuiamo ad approfondirne aspetti specifici in incontri con esperti. Sulla vicenda della nave Aquarius, sui 629 migranti che trasportava, si è giocata una cinica battaglia di propaganda interna e di politica internazionale, che ha portato consenso – dicono tutti i sondaggi – al ministro dell’Interno Salvini. Tra le varie prese di posizione, fa riflettere l’editoriale dei vertici dell’Azione Cattolica Italiana, che qui rilanciamo.
Nella drammatica vicenda della nave Aquarius, che sta solcando il Mediterraneo con a bordo 629 persone in fuga dalla miseria e dalle persecuzioni di spietati aguzzini, non ci sono innocenti.
Non sono innocenti gli Stati europei, che con miopia e supponenza hanno abbandonato l’Italia in tutti questi anni, lasciandola sola ad affrontare un fenomeno di portata enorme, senza rendersi conto che non esistono frontiere capaci di fermare la storia.
Non lo sono le istituzioni europee, sempre pronte ad alzare la voce per imporre il rispetto dei vincoli e delle normative, ma timorose e incerte nel richiamare ciascun Paese alle proprie responsabilità, dimenticando che l’Europa è nata per affrontare insieme i grandi problemi della nostra epoca e dare all’umanità un’occasione di pace.
Non sono innocenti le forze politiche dell’uno e dell’altro schieramento, quelle che per molti anni non hanno saputo o voluto farsi carico del problema delle migrazioni in maniera giusta ed efficace, se non ricorrendo a provvedimenti tampone e forse preferendo velare la realtà allontanandola dai nostri sguardi e dalle nostre coste, e quelle che hanno scelto di fare di una nave carica di persone senza speranza un’opportunità per “segnare un punto” a loro favore, o che si sono accontentate di dire che sono migliori di chi c’era prima.
Non siamo innocenti noi, cittadini italiani, che ci siamo assuefatti al principio che la nostra tranquillità, il nostro benessere, il nostro lavoro e i nostri figli vengono prima di quelli degli altri, non importa se in fuga dalla morte, dalla povertà, dalla persecuzione. Dimenticandoci che anche noi, un tempo, siamo stati un popolo di migranti.
Non siamo innocenti noi, comunità di credenti, che ci siamo rassegnati all’idea che tutto questo non ha nulla a che vedere con la nostra fede, con la credibilità del Vangelo di cui vorremmo essere testimoni, sapendo benissimo che Gesù si è fatto carne povera tra i poveri e per i poveri.
Non lo siamo noi, presidenza nazionale di Azione cattolica, che per un intero giorno ci siamo chiesti se dire o no qualcosa su questa vicenda, temendo di non essere compresi, di essere accusati di fare politica di parte, di non rispettare le tante diverse sensibilità dei nostri aderenti, senza mettere subito davanti a ogni altra considerazione la nostra responsabilità di contribuire a costruire un mondo più umano e il dovere di stare dalla parte di chi soffre.
Gli innocenti sono là, su quella nave. Uomini, donne, bambini. Ogni ora in più che passano in mezzo al mare è semplicemente un’ingiustizia.
Nella drammatica vicenda della nave Aquarius, che sta solcando il Mediterraneo con a bordo 629 persone in fuga dalla miseria e dalle persecuzioni di spietati aguzzini, non ci sono innocenti.
Non sono innocenti gli Stati europei, che con miopia e supponenza hanno abbandonato l’Italia in tutti questi anni, lasciandola sola ad affrontare un fenomeno di portata enorme, senza rendersi conto che non esistono frontiere capaci di fermare la storia.
Non lo sono le istituzioni europee, sempre pronte ad alzare la voce per imporre il rispetto dei vincoli e delle normative, ma timorose e incerte nel richiamare ciascun Paese alle proprie responsabilità, dimenticando che l’Europa è nata per affrontare insieme i grandi problemi della nostra epoca e dare all’umanità un’occasione di pace.
Non sono innocenti le forze politiche dell’uno e dell’altro schieramento, quelle che per molti anni non hanno saputo o voluto farsi carico del problema delle migrazioni in maniera giusta ed efficace, se non ricorrendo a provvedimenti tampone e forse preferendo velare la realtà allontanandola dai nostri sguardi e dalle nostre coste, e quelle che hanno scelto di fare di una nave carica di persone senza speranza un’opportunità per “segnare un punto” a loro favore, o che si sono accontentate di dire che sono migliori di chi c’era prima.
Non siamo innocenti noi, cittadini italiani, che ci siamo assuefatti al principio che la nostra tranquillità, il nostro benessere, il nostro lavoro e i nostri figli vengono prima di quelli degli altri, non importa se in fuga dalla morte, dalla povertà, dalla persecuzione. Dimenticandoci che anche noi, un tempo, siamo stati un popolo di migranti.
Non siamo innocenti noi, comunità di credenti, che ci siamo rassegnati all’idea che tutto questo non ha nulla a che vedere con la nostra fede, con la credibilità del Vangelo di cui vorremmo essere testimoni, sapendo benissimo che Gesù si è fatto carne povera tra i poveri e per i poveri.
Non lo siamo noi, presidenza nazionale di Azione cattolica, che per un intero giorno ci siamo chiesti se dire o no qualcosa su questa vicenda, temendo di non essere compresi, di essere accusati di fare politica di parte, di non rispettare le tante diverse sensibilità dei nostri aderenti, senza mettere subito davanti a ogni altra considerazione la nostra responsabilità di contribuire a costruire un mondo più umano e il dovere di stare dalla parte di chi soffre.
Gli innocenti sono là, su quella nave. Uomini, donne, bambini. Ogni ora in più che passano in mezzo al mare è semplicemente un’ingiustizia.
E’ la terribile logica della politica che talora o molto spesso deve rinunciare a tradurre in modo puntuale i principi morali. Duole dirlo ma i segnali di disponibilità (deboli per la verità) da parte di alcuni paesi europei traggono origine proprio dalla preoccupazione di fronte a un’Italia “che fa sul serio”; certo è che questo “fare sul serio” si è giocato sulla pelle degli innocenti (per altro la nave è stata scortata e i profughi trattati con ogni riguardo: all’Italia l’intera operazione Acquarius è costata): questa è la realpolitik. Bobbio non mancava mai di sottolineare questa separazione demoniaca e “necessaria” fra morale e politica che possono viaggiar appaiate per un certo tratto ma poi sono fatalmente costrette a separarsi: perché talora la politica deve violare la stessa morale per creare nel futuro le condizioni del concretizzarsi dei principi morali stessi. Questo è un pesante paradosso difficile da comprendere (con l’intelletto e col cuore) ma imprescindibile. Un contributo importante che al di là delle superficiali parole d’ordine che scoppiettano a destra e a sinistra possiamo dare, è proprio invitare a una riflessione che tenga conto della complessità dei fenomeni.
Concordo con Griseri sulla necessità di distinguere l’etica “delle intenzioni” che attiene alla coscienza individuale dall’etica “delle responsabilità” che attiene alla sfera politica.
E mi rattrista sentire cattolici che si “autofustigano” dichiarandosi colpevoli (non innocenti) con ciò spostando i problemi sociali dal piano politico al piano personale, dal piano dell’azione al piano del “peccato”.
Se i credenti vogliono ancora contare nella società complessa che si è sviluppata, se vogliono padroneggiare le innovazioni che paiono travolgerci, se vogliono dialogare con tutti gli esseri umani di buona volontà devono elaborare un nuovo linguaggio “positivo” e non “vittimistico”, “responsabile” e non “radicale”, che tenga conto della complessità e attualizzi i valori che da sempre li distinguono: dialogo, mediazione, amore.
A quando un Centro che trasferisca queste esperienze, presesattontesche, dei “diversamente giovani” ai giovani futuri e responsabili gruppi dirigenti?
E’la solita storia di discorsi che tendono a farci sentire colpevoli di orrende nefandezze nei confronti di chi ha meno di noi!
Ma dove sta scritto che un buon cristiano debba agire come Gesù o come San Francesco?
Ognuno deve dare ciò che si sente di dare ma NESSUNO si deve permettere di imporre spoliazioni di beni e/o diritti a favore di altri per non sentirsi, poi, cattivi cristiani!
I poveri vanno aiutati nella misura in cui ognuno crede. Personalmente non ho la capacità o la volontà di diventare SANTO. Faccio ciò che credo, in relazione alle mie possibilità.
I governanti, poi, non possono e non DEVONO, esagerare nell’immigrazione, pena la disarticolazione della loro società civile e NON debbono subire prevaricazioni in base a norme sottoscritte in tempi in cui i fenomeni si presentavano in dimensioni e forme totalmente diverse.
Salvini, in questo momento interpreta il sentire prevalente degli italiani e, quindi, fa solo il suo DOVERE di governante.
I trombettieri della carità pelosa e senza limiti, sono fortunatamente solo una minoranza. Fanno soltanto un rumore assordante ma, fortunatamente a vuoto.
A proposito di poveri e di innocenti, ricordo sempre i circa diecimila bambini che ogni giorno dell’anno (e sottolineo ogni giorno) muoiono di fame e di stenti, principalmente in Africa, morti alle quali i media, tutti i media (e non solo essi) non paiono particolarmente interessati. Questi bambini sono parte di quegli africani che vivono, sopravvivono e muoiono dove sono nati perché non hanno nessuna possibilità di lasciare la propria terra. Infatti i cosiddetti “migranti economici” (la gran parte di chi si sposta da un territorio ad un altro, essendone i rifugiati una percentuale ridotta) non appartengono alla componente più povera del proprio paese e nemmeno a quella che ne rispecchia la condizione media, ma sono i soggetti in grado di affrontare il viaggio perché posseggono i mezzi economici, le informazioni e le conoscenze indispensabili (anche la traversata del deserto e il viaggio nei barconi hanno costi significativi). Non saranno certo le migrazioni a dare risposta ai tanti e pesanti problemi degli africani.
Ho trovato, inoltre, poco pertinente il richiamo ai nostri migranti, poiché il fenomeno attuale è cosa molto diversa dalle vicende migratorie del nostro passato. A fine Ottocento e nel primo Novecento, molti italiani, insieme ad altri europei, hanno lasciato paesi densamente popolati ed hanno attraversato gli oceani, per insediarsi, su invito dei governi locali, in paesi lontani, bisognosi di mano d’opera, perché poco popolati (meno di 10-12 abitanti per kmq), anche per l’avvenuto genocidio delle popolazioni indigene. Oggi, dal sud del mondo, moltitudini cercano di raggiungere, senza essere invitate, paesi già sovrappopolati (più di 200 abitanti per kmq), non autosufficienti in particolare per quanto riguarda materie prime ed energia, la cui bilancia commerciale regge solo con il ricorso all’esportazione di prodotti tecnologici ed alle attività finanziarie. Ma in quale misura e fino a quando tutto ciò sarà ancora possibile?
La molla che spinge a migrare sono i consumi e i modelli di vita dei paesi occidentali. Consumi e modelli di vita non generalizzabili, perché se estesi al mondo intero, richiederebbero le risorse di più pianeti Terra. Alimentare tali aspettative ha senso quando è evidente che anche noi non potremo più permetterci (e già molti non possono permetterselo) di condurre un tale tipo di vita?
Le tante risposte che in questi giorni, gli italiani di ogni orientamento e fede, danno alle decisioni/provocazini di Salvini dimostrano un vasto consenso alla Lega muscolare, decisionista, concreta. Motivazioni in genere che portano ragionamenti tendenzialmente equilibrati (se presi a sè): le colpe degli altri Stati, l’incapacità dell’Europa, l’impossibilità in tempi di crisi nostrana a rispondere in modo adeguato a troppi arrivi, la paura e la sicurezza, ecc. ecc. Questo dice che il nuovo “ventennio” ha il conenso anche di chi si dice credente. La risposta, che in altre parti del sito propone continuamente Merlo, di una rete bianca, di una riproposizione/riaggregazione popolare, ritengo che non avrà un esito positivo se le premesse (oltre alla richiesta di una nuova Comunità [sottolineo COMUNITA’] Europea, di nuovi paradigmi economici e sociali, e di politiche espansive per il lavoro con investimenti pubblici) non conterranno anche una notevole dose di solidarietà, civiltà, umanità verso un femìnomeno epocale e inarrestabile come le attuali migrazioni. Che significa non solo gestire meglio sbarchi e ridistribuzioni, ma politiche contro le guerre, investimenti nel Continente africano per lo sviluppo, fornire sicurezza a chi vuole migrare, organizzare una società -che senza penalizzare gli autoctoni- integri con tutti servizi adeguati e un lavoro anche gli stranieri. Per questo sottoscrivo e condivido con convinzione il Manifesto/Documento della Azione Cattolica. I popolari non possono, anche se ciò non porta consensi o favorisce abbandoni nel nostro campo, discostarsi dalle posizioni di civiltà, di fraternità, di solidarietà che li hanno sempre caratterizzati. La maggioranza degli italiani la pensa in modo diverso? Non è per questo che si abbandonano valori e riferimenti ideali. Continuiamo a seminare; i frutti potremo non vederli noi, ma lascieremo un patrimonio importante ai nostri nipoti.
concordo pienamente sulle ulteriori precisazioni di Ladetto che, come sempre, racconta i fenomeni dal punto di vista strettamente scientifico e non con la “pancia”.
Lascio un commento molto semplice senza tirare in ballo leggi e istituzioni: “Tu come vorresti essere trattato se ti trovassi in eguali situazione?” Dalla risposta dipenderà il modo di agire non solo dei singoli, ma dell’intera comunità e dell’intera Europa, un’Europa che, oggi, ha perso tutto lo spirito dei suoi fondatori