Da spettatori a protagonisti



Giorgio Merlo    12 Giugno 2018       1

Il voto del 4 marzo prima e la tornata amministrativa di domenica scorsa poi, hanno confermato alcune costanti che nel breve tempo difficilmente saranno messe in discussione. Al di là dei macro-dati politici noti a tutti – la secca diminuzione di consensi al Movimento 5 Stelle nell'arco di pochi mesi, la crescita esponenziale della Lega e la contestuale caduta elettorale di Forza Italia, la conferma della crisi profonda del Pd e la sostanziale irrilevanza di Liberi e Uguali – ricordiamo gli elementi ormai consolidati del campo democratico e riformista.

Innanzitutto è tramontata definitivamente la cosiddetta "vocazione maggioritaria" del PD. Un partito che, dopo la storica sconfitta subita al 4 marzo, è destinato a perdere ancora al prossimo ballottaggio una mole consistente di Comuni che governava sino a ieri. Una costante che è iniziata nel 2015 e che prosegue in modo regolare: a conferma del fallimento della strategia renziana e di tutta quella classe dirigente che in questi anni è salita sul carro vincitore per poi, adesso, parlare addirittura di "derenzizzazione" del Partito Democratico. Fallita anche l'esperienza di Liberi e Uguali, ormai realtà politica ed elettorale consegnata alla storia. Resiste il "civismo", almeno a livello amministrativo, anche se stenta a trovare una specifica proiezione sul palcoscenico nazionale, salvo pochissime esperienze.

Ora, a fronte di un quadro politico sufficientemente chiaro, è persin ovvio ricordare che se il campo riformista, democratico e progressista – cioè l'ex centrosinistra – vuole nuovamente ridiventare competitivo con il Movimento 5 Stelle e soprattutto con l'ex centrodestra a trazione salviniana, deve obbligatoriamente procedere a una profonda scomposizione/ricomposizione al suo interno. Sarebbe perfettamente inutile riproporre sigle e cartelli elettorali – a cominciare da PD, LeU e frattaglie varie viste il 4 marzo scorso – che, di fatto, non sono più competitivi.

Ritengo invece essenziale e decisivo rimettere in campo quelle culture politiche che, nella rispettiva autonomia organizzativa, possono portare un contributo importante per definire un progetto autenticamente riformista e democratico. A cominciare, appunto, da quel "cattolicesimo politico" che non può sempre essere evocato da commentatori, opinionisti e politologi e mai praticato nella concreta e contesa dialettica politica italiana. E questo al di là della vivacità e della mobilitazione politica, culturale e sociale che sta caratterizzando settori sempre più consistenti del mondo cattolico italiano.

Nessuno, ad oggi, conosce l'epilogo concreto che avrà questo sussulto politico e culturale che sale da un’area frastagliata e variegata. Un fatto, però, è indubbio: il patrimonio culturale, valoriale, sociale ed etico del cattolicesimo politico adesso deve ritrovare una rinnovata e attiva presenza nella cittadella politica italiana. Lo chiedono i tanti esponenti, militanti, simpatizzanti, gruppi organizzati ed elettori che si sentono semplicemente non rappresentati dagli attuali attori politici. E quando emerge questa domanda di rappresentanza politica e istituzionale, è indispensabile dare una risposta adeguata, e non solo per rispondere ai ripetuti e appassionati appelli del Presidente della CEI, cardinale Gualtiero Bassetti. Perché il segreto di questa rinnovata presenza politica risiede proprio in quel patrimonio, oggi quanto mai necessario di fronte ad una profonda ed irresponsabile radicalizzazione della lotta politica italiana.

Un ampio contenitore aperto a tutti con un riferimento all’ispirazione cristiana, tipo DC? Un partito popolare e sociale, di impronta sturziana, come il PPI? O un movimento con una forte caratterizzazione di matrice cattolica? Ad oggi non sappiamo quale sarà l'approdo politico e organizzativo.

Una cosa sola è certa, e lo conferma il trend elettorale. Per il cattolicesimo politico italiano si è aperta una nuova fase, che non è più solo quella di commentare o contemplare i fatti politici ma, al contrario, di marcare una qualificata presenza pubblica. Laica, fatta di contenuti, di valori, di stile e di comportamenti. L'assenza, il ritiro nel privato o il basso profilo nel prepolitico, come si diceva un tempo, non è più una strada da percorrere.


1 Commento

  1. Chiaro e condivisile il ragionamento di Giorgio Merlo, ma non nuovo se già Giovanni XXIII (“Pacem in Terris” – 1963) sottolineava il dovere dei cattolici di partecipare attivamente alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune della famiglia umana e della propria comunità politica e se Benedetto XVI (“Caritas in Veritate” – 2009) sottolineava che lo sviluppo integrale dell’uomo necessita di cristiani che non stiano semplicemente alla finestra per guardare o protestare, ma operino per convertire il mondo verso una nuova civiltà.
    Ma tutto questo non si può fare andando in ordine sparso; occorre una qualche modalità organizzativa, se si vuole essere efficaci.

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