Cercasi innovatori responsabili



Oreste M. Calliano    7 Giugno 2018       0

Il dibattito  per uscire dalla crisi economica, politica e culturale in cui versa l’Italia da parecchi anni si è orientato durante le ultime  campagna elettorali  verso alcune vecchie parole d’ordine politico-istituzionali: destra contro sinistra,  riforma elettorale che elimini le forze intermedie per garantire la governabilità, decisionismo o ricorso alle urne.

La negoziazione per creare un nuovo governo poi ha sviluppato un linguaggio dichiarato “franco”, metodo “diretto” , contrapposizione “ muscolare” che poco hanno a che vedere con la complessità della fase politico-sociale che stiamo vivendo.

Occorre quindi fare chiarezza, soprattutto dal punto di vista linguistico e concettuale, poi dei contenuti e infine delle strategie politiche.

Anzitutto la contrapposizione destra/sinistra è  nata nel Settecento per distinguere i due schieramenti politici fisicamente contrapposti nella democrazia parlamentare inglese, sviluppatasi poi nella Francia rivoluzionaria per individuare i montagnardi dai girondini e dalla palude, e cioè per costringere l’avversario politico a “difendersi” dalle accuse di moderatismo; ed infine usata dal partito leninista per  “demonizzare” i menscevichi e preparare la conquista del potere da parte di un gruppo minoritario, ma politicamente aggressivo e  determinato. In Italia destra storica  e sinistra storica  appartennero invece a modalità diverse di esercizio del potere e di distribuzione della rappresentanza politica, sino all’avvento del socialismo ed alla emersione del tema della lotta di classe e dell’emancipazione delle classi popolari.

Con la scissione e la nascita del Partito comunista italiano e la successiva nascita del fascismo, la  sinistra era per sua natura antifascista e rappresentativa della classe operaia. Ma la lotta al fascismo fu condotta da una pluralità di forze politico-sociali, e quindi la Costituzione italiana adottò il metodo del pluralismo e della mediazione come modello di gestione della società in fase di ricostruzione. È solo a partire dagli anni ’70 che il modello dualista venne proposto – improvvidamente a mio avviso –  come il migliore per garantire governabilità, decisionismo e progresso, inducendo  a ritenere che la democrazia italiana si fosse allineata sui modelli anglo-americani di bipartitismo o bipolarismo stretto (un grande partito cui si collegano partiti minori per vincere la competizione elettorale).

Ciò ha indotto la dottrina politologica a considerare la dicotomia destra/sinistra come un dato strutturale della democrazia. Uno dei miei maestri, Norberto Bobbio,  come filosofo del diritto, nel suo libro del 1994 ne giustificava la persistenza sulla base dei valori proclamati e difesi : la destra il valore della libertà, la sinistra quello dell’eguaglianza affermando che se la destra è inegualitaria (accetta cioè le ineguaglianze tra gli uomini come un dato ineliminabile), la sinistra è egualitaria (tende a  combattere le ineguaglianze derivanti dai condizionamenti sociali).

Orbene ritengo che questa distinzione sia datata. In particolare corrisponda a periodi di affluent society, di risorse  crescenti, in cui la scelta politica sia tra i diversi modi di distribuire le risorse (alle imprese private in funzione di stimolo agli investimenti o allo Stato  in funzione di redistribuzione tramite il welfare, a scopi pubblici o a interessi privati, alla burocrazia di Stato o alle varie  burocrazie corporative). Lo scontro  di interessi, e quindi elettorale, e la conseguente dialettica politica oppongono due schieramenti contrapposti: chi vince governa, sceglie e viene giudicato al termine del mandato. In una democrazia dell’alternanza, normalmente chi governa per un certo periodo, non potendo accontentare tutti gli interessi in campo, viene sconfitto dagli insoddisfatti che si coalizzano per un rinnovamento nelle successive elezioni. Così accade nelle democrazie anglosassoni (le elezioni di mid-term statunitensi insegnano).

Ma in periodi di  rapida innovazione economica e sociale (informatizzazione della società, globalizzazione dei mercati e della finanza, disaffezione dalle visioni ideologiche e valutazione in termini di costi-benefici delle scelte sociali) e di risorse economiche scarse (crisi economica, crisi di fiducia dei consumatori, ricerca di rassicurazioni populistiche), la presenza di un bipolarismo ferreo impedisce scelte responsabili.

Infatti le scelte sono in gran parte obbligate: dagli impegni europei assunti, dalla necessità di ridurre la spesa pubblica, dall’impossibilità di scontentare corporazioni forti che facciano venir meno il consenso a breve termine. Se le fa la destra perde le elezioni, se le fa la sinistra, sia pure con declamazioni retoriche diverse, perde le successive elezioni.

Soltanto una presenza di innovatori responsabili che, di volta in volta aderiscono alle scelte più responsabili, anche se temporaneamente impopolari, può garantire il superamento di una fase di transizione necessariamente lunga.

Perciò occorre ripensare le visioni e le strategie politiche in termini sia di conservatori (a destra come a sinistra) che corrono il rischio di non far evolvere la società con la velocità necessaria, sia di progressisti, che legati al mito del “ progresso” a tutti i costi corrono il rischio di  condurre la società verso derive incontrollabili (ambientali, sociali, economiche), sia in termini di innovatori responsabili, che stimolano l’innovazione per adeguarsi ai rapidi cambiamenti della società globale, ma responsabili perché valutano le scelte e i loro effetti economico-sociali a lungo termine.

Si può obiettare che una forza di tale genere corre il rischio di non raggiungere immediatamente un ampio consenso! È possibile, ma oggi il consenso ottenuto con scelte di breve termine  sta dimostrando di essere effimero. Occorrono scelte di medio e lungo termine, coraggiose , trasparenti e comunicate adeguatamente, in particolare ai cittadini astensionisti ( tendenzialmente il 50% ), ai giovani, ai soggetti che non si sentono più rappresentati a livello nazionale o che attendono una rappresentanza di “prospettiva  europea”.

Churchill proponendo agli inglesi “ lacrime e sangue” seppe suscitare l’orgoglio nazionale e la reazione di fronte alle catastrofi. Ma allora c’era la guerra. In tempo di pace, cosa scelgono gli italiani responsabili? Preferiscono il metodo Lauro, che donava una scarpa per ottenere il consenso elettorale e la seconda ad elezioni vinte), o il metodo Peron, che sbandierando un passato orgoglio nazionale e sfruttando un presente di decadenza economico-sociale gestito con linguaggio demagogico portò l’Argentina alla successiva dittatura militare, oppure il metodo De Gasperi, che dichiarando a livello internazionale i limiti dell’Italia vinta e a livello interno i pericoli della deriva rivoluzionario-estremista seppe dare all’Italia una prospettiva di rinascita e di crescita nel quadro della nascente integrazione europea?

Quanto alle strategie per ora non mi pronuncio. Affermo solo che non possono più essere gestite con gli slogan del ’68 l’imagination au pouvoir o ce n’est que un debut, continuon le combat, perché indice di infantilismo politico. L’immaginazione è degli  artisti e scienziati creativi (come era Marcuse), la presa del potere con metodi democratici può derivare dall’abuso di  linguaggio immaginifico, ma poi la gestione dei complessi problemi di una società richiede competenze, visione strategica e, purtroppo, capacità di negoziazione sia a livello locale che europeo.

E il continuo conflitto, come il tifo sportivo, crea nell’elettorato assuefazione e poi rigetto, o peggio reazione, che può aprire la porta a soggetti che la gestiscono in termini autoritari. La storia insegna!


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