Tra gli articoli di commento allo scontro politico-istituzionale seguito al mancato avvio del governo legastellato, abbiamo scelto tre editoriali che ci sono sembrati cogliere diversi aspetti della vicenda per una sua ampia comprensione. Li proponiamo uno di seguito all’altro.
Per primo rilanciamo il fondo di Lucia Annunziata, direttore di Huffington Post Italia, che mette a nudo le tante “furbate” del duo Salvini-Di Maio.
Il Presidente Mattarella ha fatto bene.
Ricordate questa affermazione perché da ora in poi vi sarà richiesto molte volte di ripeterla. O di negarla.
La vera crisi comincia ora ed avrà al suo centro proprio il Presidente. La campagna elettorale iniziata non appena Conte ha rimesso il suo mandato, verrà tutta svolta intorno alla natura, l'identità, la forza nonché l'esistenza stessa della istituzione presidenziale.
Al di là delle chiacchiere sull'impeachment, buffonate della domenica sera, la sostanza del prossimo futuro è che le forze politiche che hanno proposto il governo mai nato andranno ora in giro come le ronde della moralità pubblica a chiedere a tutti: con chi stai? Con Mattarella il traditore, o con il cambiamento? Con le istituzioni o con i cittadini? Con le élite corrotte o con il popolo? Come se si potesse stare con un traditore, con le sorde istituzioni, o con le élite corrotte.
Ma il punto è proprio questo: la costruzione di questa serie di dilemmi è il primo grande falso di questa vicenda. Perché alla fine di 83 giorni si capisce che qui si voleva arrivare fin dall'inizio. Lega e M5S infatti, avevano un progetto di governo di cui non hanno mai parlato con trasparenza prima, che non hanno mai davvero svelato fino in fondo in campagna elettorale: quando non hanno mai detto di voler abbandonare l'euro, nonostante le ripetute e insistenti domande nel corso dei loro pur numerosissimi passaggi mediatici; né tanto meno di aver già grosso modo studiato e costituito un piano per attuare questo passaggio.
In altre parole hanno mentito ai cittadini italiani e ai propri elettori. Mentito sulle proprie intenzioni, e mentito di conseguenza sull'impatto di queste scelte. La prova della menzogna è in quei documenti, quei programmi di governo che sono stati conosciuti solo perché passati alla stampa. Passati da mani che sapevano cosa non era stato detto, a tutti noi.
Questa menzogna va additata non per ragioni etiche (le forze politiche possono mentire quanto vogliono se vogliono) ma per la ragione sostanziali dell'interesse degli elettori. Nel nascondere il piano di uscita dall'euro – con tutti i suoi ammennicoli quale la cancellazione del debito che abbiamo accumulato con la BCE – hanno nascosto l'impatto che questo progetto avrebbe avuto sulle vite dei cittadini. Sui loro risparmi, sui loro mutui, sul futuro dei loro figli. Abbiamo così potuto assistere a un'altra buffonata di queste ore: il premier incaricato per poche ore, l'Avvocato del popolo Conte, che si è incontrato con i "truffati" del bail-in bancario, mentre metteva in moto un piano che già in questi giorni con la salita dello spread faceva alzare il costo dei mutui di migliaia e migliaia di famiglie.
Bugie. Come quelle che in campagna elettorale hanno portato a sostenere di poter fare il reddito di cittadinanza, pagando a tutti 780 euro, e insieme la flat tax, e la abolizione della Fornero. Magari con l'idea dei mini-bot, cioè stampando una valuta parallela. Alle ripetute domande in merito alla enorme spesa per cui trovare le risorse per queste promesse, l'unica risposta è sempre stata uno sprezzante: "Taci tu che sei un servo delle élite corrotte".
In realtà, a guardarsi indietro oggi, quelle sprezzanti risposte erano tali non per ignoranza ma perché a questo punto si doveva arrivare, qui dove siamo già ora, con le piazze piene contro i traditori del popolo. Alla fine di tutti questi 83 giorni si possono vedere come una regia perfettamente costruita.
Il caso Savona è stato una perfetta sciarada. Il Professore dall'impeccabile curriculum e rispettabilissima carriera, membro a pienissimi titoli delle élite (che pure si condannano per gli altri), serviva proprio per questa sua internità al sistema, per il potere cioè non solo della sue idee ma anche della sua voce. Solo una persona di altissimo livello poteva suscitare tale scrutinio ed eco, nazionale e internazionale, intorno al piano di uscita dall'euro. Nel momento in cui il suo nome è stato fatto, la miccia della collisione con il Quirinale è stata accesa: Mattarella avrebbe dovuto accettare un progetto mai discusso, mai chiarito agli elettori, ed inviso agli equilibri attuali intorno al nostro Paese, finendo così con l'estinguere il suo ruolo; o avrebbe dovuto esercitare la sua opinione (se non prerogativa) e portare il Paese dove è ora.
Questo si voleva e questo è successo. Questo è il punto in cui siamo. Mai così diviso il Paese. Mai così frantumato il processo istituzionale. La china che cominciamo oggi a percorrere è molto pericolosa e questo lo capiamo tutti. Il futuro ci riserva quasi sicuramente una campagna elettorale molto radicale, in cui il popolo sarà aizzato contro le élite.
Ma prima di finire questo filo di discorso, val la pena di guardare ancora un po' avanti e capire chi effettivamente sarà poi il vincitore di questa scelta.
Per me ci sono pochi dubbi che le impronte su questo processo sono in maggior parte della Lega e di Salvini. Sua è stata la forza di rottura maggiore – se avesse voluto fare il governo e se lo avesse voluto fare senza "piani B" gli sarebbe bastato nominare Giorgetti e prendersi tutto il potere che Di Maio gli aveva concesso in termini di ministeri. E sua è stata la minore trasparenza – è in casa Lega che ha radici la opacità sul progetto di uscita dall'euro. Così come sua è stata la forte dissonanza sulle alleanze internazionali – dice qualcosa a qualcuno che il presidente populista per eccellenza Donald Trump non abbia riconosciuto questo leader populista italiano, che invece Putin ha subito dichiarato suo amico?
I pentastellati è vero hanno condiviso questo percorso di Salvini, ma vi sono apparsi più che altro trascinati dagli eventi, incerti, e confusi. Traditi, alla fine delle cose, dalla loro identità multipla.
La prova di queste dissonanze è che alla campagna elettorale prossima ventura Lega e M5S andranno separati. Le due forze escono molto differentemente da questa esperienza: pentastellati molto sminuiti dal fallimento (ce lo dicono anche i sondaggi); Salvini invece molto galvanizzato dalla leadership che ha saputo imporre (anche questo lo dicono i sondaggi). E mentre i 5 Stelle dovranno fare le loro eterne consultazioni fra tutte le loro anime, Salvini tornerà nella coalizione del centrodestra, con in mano lo scalpo del Quirinale, e lo status di vittima. Potrà ambire a portare la coalizione al 40 per cento e oltre. Con l'aiuto di Silvio Berlusconi che ora potrà ancora candidarsi, e che, saggiamente, non ha mai davvero rotto con Matteo.
(tratto da www.huffingtonpost.it)
Anche l’editoriale del direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio inchioda Salvini, e Di Maio in seconda battuta, alla responsabilità di aver voluto deliberatamente arrivare alla crisi istituzionale.
C’è solo una spiegazione per la mancata nascita del governo gialloverde del professor avvocato Giuseppe Conte: i due leader politici che ne avevano costruito a tavolino programma e compagine ministeriale, cioè Matteo Salvini e Luigi Di Maio, non l’hanno voluto più. O, almeno, non l’hanno più voluto così come l’avevano ufficialmente presentato e congegnato. Non c’è altra spiegazione. Ma può esserci, e infatti c’è, un motivo per una simile squassante decisione.
A prima vista – e chi scrive di crisi e di giochi partitici in oltre trent’anni di cronache politiche ne ha visti, raccontati e commentati davvero tanti – appare semplicemente insensato che due capi politici mandino all’aria un difficilissimo lavoro di cucitura fatto ormai al 99 per cento per l’impuntatura sul nome di un ministro, sia pure per una casella assai importante come quella del titolare della politica economica e fiscale. E non avrebbe neanche senso che quegli stessi leader si lancino all’attacco contro un Presidente che ha dimostrato coi fatti, e che per questo è stato ripetutamente lodato anche da loro, di concepire il proprio ruolo con grande senso del limite e della funzione arbitrale della suprema magistratura della Repubblica. È sotto gli occhi dell’intera opinione pubblica, anche di quella ora eccitata all’insulto e persino alla vergognosa minaccia paramafiosa oltre che alla "marcia su Roma" il 2 giugno, che per consentire il risultato della nascita di un «governo politico», il governo gialloverde appunto, Mattarella ha concesso ai giocatori pentastellati e leghisti tutti i "tempi supplementari" che essi gli hanno via via richiesto, dilatando a livelli record la durata della crisi di avvio della XVIII Legislatura.
La realtà – se le parole hanno un senso e le azioni politiche pure – è che il meno forte ma più navigato dei due leader, Matteo Salvini (17%), è riuscito a imporre al capo della formazione più cospicua ed egemone nell’attuale Parlamento, Luigi Di Maio (32%), non solo un arrembante e arrabbiato ritorno alle urne, ma anche il tema della prossima campagna elettorale. Che, per gli uni e per gli altri, non sarà più centrata sugli slogan suggestivi e irrealizzabili di inizio 2018 – «reddito di cittadinanza» per il M5s, «flat tax al 15%» per la Lega – ma su una drammatica scelta "Europa sì-Europa no", "euro sì-euro no" oltre che – c’è da temere, se non si saprà raffreddare e archiviare l’assurdo, pericoloso e a tratti indegno "assedio al Quirinale" che continua a venire inscenato in queste ore – su una radicale messa in questione degli equilibri istituzionali garantiti dalla Carta del 1948 e dai Trattati che hanno costruito negli anni il ruolo dell’Italia sulla scena continentale e mondiale.
Si è cercato un pretesto per far saltare in aria la XVIII legislatura e, a tutti i costi, lo si è voluto trovare. Arrivando addirittura a chiamare questo pretesto «attentato alla Costituzione». Purtroppo, invece, si tratta di un attentato all’intelligenza degli italiani e, forse, anche ai loro portafogli. Perché in ballo dietro slogan e facilonerie sull’Unione Europea (che siamo anche noi) e sulla moneta comune (che è anche nostra) e sul debito pubblico (che è affar nostro, ma che la scelta europea ha reso più sostenibile anche se non meno pesante) ci sono davvero i risparmi delle famiglie, l’esistenza e lo sviluppo di imprese grandi e piccole, il lavoro e i servizi essenziali per noi e i nostri figli.
Qualcuno può onestamente sostenere che un esecutivo Conte non con il tecnico euroscettico Paolo Savona, suggestivo teorico di un "piano B" per l’uscita da Europa ed euro che le vicende di queste ore dimostrano essere un poco dissimulato "piano A", ma con ministro dell’Economia il pragmatico "numero due" della Lega Giancarlo Giorgetti sarebbe stato un Governo intollerabilmente condizionato dal Presidente della Repubblica e, per sovrappiù, da altri Stati della UE, Germania in testa? A rischio del paradosso può provare a sostenerlo l’onorevole Salvini, che pure ha nell’esperto e stimato Giorgetti il principale collaboratore, ma solo perché – almeno in pubblico – il leader leghista non ha mai speso parole concilianti sul potere di nomina dei ministri che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato su proposta del presidente del Consiglio incaricato.
Ma non potrebbe e non dovrebbe l’onorevole Di Maio che il 23 maggio scorso, lasciando Montecitorio dopo un incontro con Salvini, aveva serenamente riconosciuto il potere presidenziale, invitando addirittura i cronisti politici a “non fare retroscena sui ministri” perché, testuale, “i ministri li sceglie il Presidente della Repubblica”.
Persino eccessivo... Ma parole dette, firmate e filmate, come chiunque può verificare anche su internet. E ora capovolte nel loro esatto contrario. L’Italia e gli italiani meritano più trasparenza, più linearità, più verità. Il presidente Mattarella, con l’incarico di servizio al professor Carlo Cottarelli, ha aperto una via «neutrale» all’uscita dalla più paradossale delle crisi. Sino all’ultimo la speranza sarà che i signori della politica sappiano usarla al meglio. Nonostante tutto.
(tratto da www.avvenire.it)
Il direttore del sito web www.linkiesta.it ritiene invece che la scelta “onesta” di Mattarella abbia favorito i due leader populisti, che hanno ora la strada spianata per una agevole campagna elettorale incentrata sulla difesa della sovranità italiana.
Ieri hanno vinto loro, Di Maio e Salvini. Lo diciamo a malincuore, noi che mai abbiamo avallato la tesi di un Paese a sovranità limitata, di un’Europa fonte di tutti i mali dell’Italia, di una dialettica tra popolo e Palazzo, tra cambiamento e status quo. Hanno vinto loro, perché queste tesi, da oggi, sarà molto difficile negarle. Molto semplicemente, perché Sergio Mattarella, con una scelta e un discorso tanto onesti quanto pericolosi, ha di fatto dato a Lega e Cinque Stelle tutti gli argomenti possibili per giocare la prossima campagna elettorale secondo questo schema.
Sarà molto difficile negare, ad esempio, che il nome di Paolo Savona come ministro dell'economia non abbia ricevuto un veto da soggetti che non dovrebbero intervenire nel gioco democratico di questo Paese, siano essi le cancellerie di Germania e Francia o la Banca Centrale Europea, il nostro primo creditore. Sarà difficile perché è stato lo stesso Mattarella a dirlo, affermando che il ministro dell’economia è «un messaggio immediato per gli operatori economici e finanziari» e che non ha accettato il nome di Savona proprio perché sarebbe stato visto come sostenitore di linee che avrebbero potuto «provocare la fuoriuscita dell'italia dall’euro». Tradotto dalla lingua del Quirinale: se avessi avallato la scelta di Paolo Savona, domani sarebbe iniziata una tempesta perfetta sui titoli di Stato italiani.
Vero? Falso? Non lo sapremo mai. Ma, ancora, da domani sarà difficile, se non impossibile, negare che l’italia sia un Paese a sovranità limitata. Spiacenti, anime belle: siamo l’unico Paese d’Europa, l’unico insieme alla Grecia, che non può permettersi di scegliersi in santa pace i suoi ministri. E il motivo è piuttosto semplice: se hai un debito pubblico di 2.300 miliardi, pari al 131% del prodotto interno lordo, e se le agenzie di rating hanno valutato i tuoi titoli di Stato BBB, a due soli gradini dalla nomea di “junk bond”, titoli spazzatura, che vorrebbe dire fine degli acquisti da parte della banca centrale europea, il tuo creditore, chi ti presta i soldi per sopravvivere, ha voce in capitolo sulle tue scelte. Tanto quanto il popolo, forse più del popolo.
E allora è vero pure questo: che il prossimo voto sarà una sfida al calor bianco tra chi vuole riaffermare qui e ora la piena sovranità dell’Italia, anche a costo di saltare per aria, e chi ritiene che questa sovranità la si riconquisti giorno dopo giorno, attraverso la progressiva riduzione della dipendenza dai soldi altrui, anche a costo di sacrifici e scelte dolorose. Tra chi ritiene che l’Euro sia parte del problema, giogo che ci condiziona a essere come gli altri vorrebbero che fossimo, o soluzione, in quanto veicolo di un processo di normalizzazione delle nostre anomalie. Tra chi vuole che l’Italia sia parte degli Stati Uniti d’Europa, prima o poi, e chi ritiene che l’Italia debba essere l’Italia, e basta. Un frame politico che combacia alla perfezione con la narrazione di Matteo Salvini e della Lega, il vero vincitore di questa serata, ben più di Di Maio, tanto da far venire il dubbio che in qualche modo questa crisi sia stata pilotata ad arte per arrivare allo showdown di queste ore.
Se queste sono le premesse, dicevamo, la sfida che attende il fronte che si erge a difesa del Quirinale e dell’Europa è più che improba. Perché il bivio a cui ci troviamo oggi è esattamente quello cui Lega e Cinque Stelle volevano arrivare. Perché i difensori della volontà del popolo, della sovranità piena e illimitata, della democrazia che prevale sulle relazioni internazionali, sempre e comunque sono loro, laddove gli altri si ergono a difesa di un palazzo, il Quirinale, di una moneta, l’Euro, di un’istituzione, l’Unione Europea. Perché sono riusciti ad arrivare allo scontro finale contro avversari, il Pd e Forza Italia, più che in crisi nera, dilaniati di lotte interne e in crisi verticale di consenso.
E allora, forse, quello di Mattarella, seppur ineccepibile nei contenuti e nella forma, è stato un enorme azzardo, che rischiamo di pagare a caro prezzo, molto più della nomina di Paolo Savona. L’avesse avallata, oggi ci troveremmo con un ministro dell’economia scomodo, sotto i riflettori, ma sotto la tutela di un programma che di uscita dall’Euro non parlava, di un presidente del consiglio incaricato che aveva fatto professione di fede europeista e, pur con tutte le ambiguità e gli omissis, pure di un messaggio di Savona stesso, arrivato a poche ore dall’Apocalisse, che a quello stesso programma e a quella stessa professione di fede faceva riferimento, per disinnescare le perplessità sulla sua figura. E con un governo, finalmente, dopo quasi novanta giorni, nel pieno esercizio delle sue funzioni, compresa quella di disinnescare l’aumento dell’Iva e di contribuire al futuro dell’Unione, a partire dal prossimo Consiglio Europeo.
Ci ritroviamo, invece, con un governo che aveva i numeri respinto sull’uscio, con un nuovo presidente incaricato, Carlo Cottarelli, cui con ogni probabilità, verrà negata la fiducia dal Parlamento, con la messa in stato d’accusa del presidente della repubblica per alto tradimento, richiesta che avrebbe i numeri per essere approvata dal Parlamento, e che solo Matteo Salvini, uno che fino a qualche mese fa indicava Ciampi e Napolitano come traditori della patria, avrebbe il potere di disinnescare e con una campagna elettorale durissima che è già iniziata e che minaccia di alzare il livello dello scontro sociale a livelli da 1948, se non peggio. Tutto, per Paolo Savona, che per assurdo tra qualche mese potrebbe addirittura essere indicato come presidente del consiglio da Lega e Cinque Stelle, dovessero stravincere come ha preconizzato Massimo D’Alema in fuori onda di qualche giorno fa. Fare peggio, francamente, era davvero difficile.
(tratto da www.linkiesta.it)
Per primo rilanciamo il fondo di Lucia Annunziata, direttore di Huffington Post Italia, che mette a nudo le tante “furbate” del duo Salvini-Di Maio.
I bugiardi
di Lucia Annunziata
Il Presidente Mattarella ha fatto bene.
Ricordate questa affermazione perché da ora in poi vi sarà richiesto molte volte di ripeterla. O di negarla.
La vera crisi comincia ora ed avrà al suo centro proprio il Presidente. La campagna elettorale iniziata non appena Conte ha rimesso il suo mandato, verrà tutta svolta intorno alla natura, l'identità, la forza nonché l'esistenza stessa della istituzione presidenziale.
Al di là delle chiacchiere sull'impeachment, buffonate della domenica sera, la sostanza del prossimo futuro è che le forze politiche che hanno proposto il governo mai nato andranno ora in giro come le ronde della moralità pubblica a chiedere a tutti: con chi stai? Con Mattarella il traditore, o con il cambiamento? Con le istituzioni o con i cittadini? Con le élite corrotte o con il popolo? Come se si potesse stare con un traditore, con le sorde istituzioni, o con le élite corrotte.
Ma il punto è proprio questo: la costruzione di questa serie di dilemmi è il primo grande falso di questa vicenda. Perché alla fine di 83 giorni si capisce che qui si voleva arrivare fin dall'inizio. Lega e M5S infatti, avevano un progetto di governo di cui non hanno mai parlato con trasparenza prima, che non hanno mai davvero svelato fino in fondo in campagna elettorale: quando non hanno mai detto di voler abbandonare l'euro, nonostante le ripetute e insistenti domande nel corso dei loro pur numerosissimi passaggi mediatici; né tanto meno di aver già grosso modo studiato e costituito un piano per attuare questo passaggio.
In altre parole hanno mentito ai cittadini italiani e ai propri elettori. Mentito sulle proprie intenzioni, e mentito di conseguenza sull'impatto di queste scelte. La prova della menzogna è in quei documenti, quei programmi di governo che sono stati conosciuti solo perché passati alla stampa. Passati da mani che sapevano cosa non era stato detto, a tutti noi.
Questa menzogna va additata non per ragioni etiche (le forze politiche possono mentire quanto vogliono se vogliono) ma per la ragione sostanziali dell'interesse degli elettori. Nel nascondere il piano di uscita dall'euro – con tutti i suoi ammennicoli quale la cancellazione del debito che abbiamo accumulato con la BCE – hanno nascosto l'impatto che questo progetto avrebbe avuto sulle vite dei cittadini. Sui loro risparmi, sui loro mutui, sul futuro dei loro figli. Abbiamo così potuto assistere a un'altra buffonata di queste ore: il premier incaricato per poche ore, l'Avvocato del popolo Conte, che si è incontrato con i "truffati" del bail-in bancario, mentre metteva in moto un piano che già in questi giorni con la salita dello spread faceva alzare il costo dei mutui di migliaia e migliaia di famiglie.
Bugie. Come quelle che in campagna elettorale hanno portato a sostenere di poter fare il reddito di cittadinanza, pagando a tutti 780 euro, e insieme la flat tax, e la abolizione della Fornero. Magari con l'idea dei mini-bot, cioè stampando una valuta parallela. Alle ripetute domande in merito alla enorme spesa per cui trovare le risorse per queste promesse, l'unica risposta è sempre stata uno sprezzante: "Taci tu che sei un servo delle élite corrotte".
In realtà, a guardarsi indietro oggi, quelle sprezzanti risposte erano tali non per ignoranza ma perché a questo punto si doveva arrivare, qui dove siamo già ora, con le piazze piene contro i traditori del popolo. Alla fine di tutti questi 83 giorni si possono vedere come una regia perfettamente costruita.
Il caso Savona è stato una perfetta sciarada. Il Professore dall'impeccabile curriculum e rispettabilissima carriera, membro a pienissimi titoli delle élite (che pure si condannano per gli altri), serviva proprio per questa sua internità al sistema, per il potere cioè non solo della sue idee ma anche della sua voce. Solo una persona di altissimo livello poteva suscitare tale scrutinio ed eco, nazionale e internazionale, intorno al piano di uscita dall'euro. Nel momento in cui il suo nome è stato fatto, la miccia della collisione con il Quirinale è stata accesa: Mattarella avrebbe dovuto accettare un progetto mai discusso, mai chiarito agli elettori, ed inviso agli equilibri attuali intorno al nostro Paese, finendo così con l'estinguere il suo ruolo; o avrebbe dovuto esercitare la sua opinione (se non prerogativa) e portare il Paese dove è ora.
Questo si voleva e questo è successo. Questo è il punto in cui siamo. Mai così diviso il Paese. Mai così frantumato il processo istituzionale. La china che cominciamo oggi a percorrere è molto pericolosa e questo lo capiamo tutti. Il futuro ci riserva quasi sicuramente una campagna elettorale molto radicale, in cui il popolo sarà aizzato contro le élite.
Ma prima di finire questo filo di discorso, val la pena di guardare ancora un po' avanti e capire chi effettivamente sarà poi il vincitore di questa scelta.
Per me ci sono pochi dubbi che le impronte su questo processo sono in maggior parte della Lega e di Salvini. Sua è stata la forza di rottura maggiore – se avesse voluto fare il governo e se lo avesse voluto fare senza "piani B" gli sarebbe bastato nominare Giorgetti e prendersi tutto il potere che Di Maio gli aveva concesso in termini di ministeri. E sua è stata la minore trasparenza – è in casa Lega che ha radici la opacità sul progetto di uscita dall'euro. Così come sua è stata la forte dissonanza sulle alleanze internazionali – dice qualcosa a qualcuno che il presidente populista per eccellenza Donald Trump non abbia riconosciuto questo leader populista italiano, che invece Putin ha subito dichiarato suo amico?
I pentastellati è vero hanno condiviso questo percorso di Salvini, ma vi sono apparsi più che altro trascinati dagli eventi, incerti, e confusi. Traditi, alla fine delle cose, dalla loro identità multipla.
La prova di queste dissonanze è che alla campagna elettorale prossima ventura Lega e M5S andranno separati. Le due forze escono molto differentemente da questa esperienza: pentastellati molto sminuiti dal fallimento (ce lo dicono anche i sondaggi); Salvini invece molto galvanizzato dalla leadership che ha saputo imporre (anche questo lo dicono i sondaggi). E mentre i 5 Stelle dovranno fare le loro eterne consultazioni fra tutte le loro anime, Salvini tornerà nella coalizione del centrodestra, con in mano lo scalpo del Quirinale, e lo status di vittima. Potrà ambire a portare la coalizione al 40 per cento e oltre. Con l'aiuto di Silvio Berlusconi che ora potrà ancora candidarsi, e che, saggiamente, non ha mai davvero rotto con Matteo.
(tratto da www.huffingtonpost.it)
Anche l’editoriale del direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio inchioda Salvini, e Di Maio in seconda battuta, alla responsabilità di aver voluto deliberatamente arrivare alla crisi istituzionale.
Attentato all’intelligenza
di Marco Tarquinio
C’è solo una spiegazione per la mancata nascita del governo gialloverde del professor avvocato Giuseppe Conte: i due leader politici che ne avevano costruito a tavolino programma e compagine ministeriale, cioè Matteo Salvini e Luigi Di Maio, non l’hanno voluto più. O, almeno, non l’hanno più voluto così come l’avevano ufficialmente presentato e congegnato. Non c’è altra spiegazione. Ma può esserci, e infatti c’è, un motivo per una simile squassante decisione.
A prima vista – e chi scrive di crisi e di giochi partitici in oltre trent’anni di cronache politiche ne ha visti, raccontati e commentati davvero tanti – appare semplicemente insensato che due capi politici mandino all’aria un difficilissimo lavoro di cucitura fatto ormai al 99 per cento per l’impuntatura sul nome di un ministro, sia pure per una casella assai importante come quella del titolare della politica economica e fiscale. E non avrebbe neanche senso che quegli stessi leader si lancino all’attacco contro un Presidente che ha dimostrato coi fatti, e che per questo è stato ripetutamente lodato anche da loro, di concepire il proprio ruolo con grande senso del limite e della funzione arbitrale della suprema magistratura della Repubblica. È sotto gli occhi dell’intera opinione pubblica, anche di quella ora eccitata all’insulto e persino alla vergognosa minaccia paramafiosa oltre che alla "marcia su Roma" il 2 giugno, che per consentire il risultato della nascita di un «governo politico», il governo gialloverde appunto, Mattarella ha concesso ai giocatori pentastellati e leghisti tutti i "tempi supplementari" che essi gli hanno via via richiesto, dilatando a livelli record la durata della crisi di avvio della XVIII Legislatura.
La realtà – se le parole hanno un senso e le azioni politiche pure – è che il meno forte ma più navigato dei due leader, Matteo Salvini (17%), è riuscito a imporre al capo della formazione più cospicua ed egemone nell’attuale Parlamento, Luigi Di Maio (32%), non solo un arrembante e arrabbiato ritorno alle urne, ma anche il tema della prossima campagna elettorale. Che, per gli uni e per gli altri, non sarà più centrata sugli slogan suggestivi e irrealizzabili di inizio 2018 – «reddito di cittadinanza» per il M5s, «flat tax al 15%» per la Lega – ma su una drammatica scelta "Europa sì-Europa no", "euro sì-euro no" oltre che – c’è da temere, se non si saprà raffreddare e archiviare l’assurdo, pericoloso e a tratti indegno "assedio al Quirinale" che continua a venire inscenato in queste ore – su una radicale messa in questione degli equilibri istituzionali garantiti dalla Carta del 1948 e dai Trattati che hanno costruito negli anni il ruolo dell’Italia sulla scena continentale e mondiale.
Si è cercato un pretesto per far saltare in aria la XVIII legislatura e, a tutti i costi, lo si è voluto trovare. Arrivando addirittura a chiamare questo pretesto «attentato alla Costituzione». Purtroppo, invece, si tratta di un attentato all’intelligenza degli italiani e, forse, anche ai loro portafogli. Perché in ballo dietro slogan e facilonerie sull’Unione Europea (che siamo anche noi) e sulla moneta comune (che è anche nostra) e sul debito pubblico (che è affar nostro, ma che la scelta europea ha reso più sostenibile anche se non meno pesante) ci sono davvero i risparmi delle famiglie, l’esistenza e lo sviluppo di imprese grandi e piccole, il lavoro e i servizi essenziali per noi e i nostri figli.
Qualcuno può onestamente sostenere che un esecutivo Conte non con il tecnico euroscettico Paolo Savona, suggestivo teorico di un "piano B" per l’uscita da Europa ed euro che le vicende di queste ore dimostrano essere un poco dissimulato "piano A", ma con ministro dell’Economia il pragmatico "numero due" della Lega Giancarlo Giorgetti sarebbe stato un Governo intollerabilmente condizionato dal Presidente della Repubblica e, per sovrappiù, da altri Stati della UE, Germania in testa? A rischio del paradosso può provare a sostenerlo l’onorevole Salvini, che pure ha nell’esperto e stimato Giorgetti il principale collaboratore, ma solo perché – almeno in pubblico – il leader leghista non ha mai speso parole concilianti sul potere di nomina dei ministri che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato su proposta del presidente del Consiglio incaricato.
Ma non potrebbe e non dovrebbe l’onorevole Di Maio che il 23 maggio scorso, lasciando Montecitorio dopo un incontro con Salvini, aveva serenamente riconosciuto il potere presidenziale, invitando addirittura i cronisti politici a “non fare retroscena sui ministri” perché, testuale, “i ministri li sceglie il Presidente della Repubblica”.
Persino eccessivo... Ma parole dette, firmate e filmate, come chiunque può verificare anche su internet. E ora capovolte nel loro esatto contrario. L’Italia e gli italiani meritano più trasparenza, più linearità, più verità. Il presidente Mattarella, con l’incarico di servizio al professor Carlo Cottarelli, ha aperto una via «neutrale» all’uscita dalla più paradossale delle crisi. Sino all’ultimo la speranza sarà che i signori della politica sappiano usarla al meglio. Nonostante tutto.
(tratto da www.avvenire.it)
Il direttore del sito web www.linkiesta.it ritiene invece che la scelta “onesta” di Mattarella abbia favorito i due leader populisti, che hanno ora la strada spianata per una agevole campagna elettorale incentrata sulla difesa della sovranità italiana.
Di Maio e Salvini hanno già vinto
di Francesco Cancellato
Ieri hanno vinto loro, Di Maio e Salvini. Lo diciamo a malincuore, noi che mai abbiamo avallato la tesi di un Paese a sovranità limitata, di un’Europa fonte di tutti i mali dell’Italia, di una dialettica tra popolo e Palazzo, tra cambiamento e status quo. Hanno vinto loro, perché queste tesi, da oggi, sarà molto difficile negarle. Molto semplicemente, perché Sergio Mattarella, con una scelta e un discorso tanto onesti quanto pericolosi, ha di fatto dato a Lega e Cinque Stelle tutti gli argomenti possibili per giocare la prossima campagna elettorale secondo questo schema.
Sarà molto difficile negare, ad esempio, che il nome di Paolo Savona come ministro dell'economia non abbia ricevuto un veto da soggetti che non dovrebbero intervenire nel gioco democratico di questo Paese, siano essi le cancellerie di Germania e Francia o la Banca Centrale Europea, il nostro primo creditore. Sarà difficile perché è stato lo stesso Mattarella a dirlo, affermando che il ministro dell’economia è «un messaggio immediato per gli operatori economici e finanziari» e che non ha accettato il nome di Savona proprio perché sarebbe stato visto come sostenitore di linee che avrebbero potuto «provocare la fuoriuscita dell'italia dall’euro». Tradotto dalla lingua del Quirinale: se avessi avallato la scelta di Paolo Savona, domani sarebbe iniziata una tempesta perfetta sui titoli di Stato italiani.
Vero? Falso? Non lo sapremo mai. Ma, ancora, da domani sarà difficile, se non impossibile, negare che l’italia sia un Paese a sovranità limitata. Spiacenti, anime belle: siamo l’unico Paese d’Europa, l’unico insieme alla Grecia, che non può permettersi di scegliersi in santa pace i suoi ministri. E il motivo è piuttosto semplice: se hai un debito pubblico di 2.300 miliardi, pari al 131% del prodotto interno lordo, e se le agenzie di rating hanno valutato i tuoi titoli di Stato BBB, a due soli gradini dalla nomea di “junk bond”, titoli spazzatura, che vorrebbe dire fine degli acquisti da parte della banca centrale europea, il tuo creditore, chi ti presta i soldi per sopravvivere, ha voce in capitolo sulle tue scelte. Tanto quanto il popolo, forse più del popolo.
E allora è vero pure questo: che il prossimo voto sarà una sfida al calor bianco tra chi vuole riaffermare qui e ora la piena sovranità dell’Italia, anche a costo di saltare per aria, e chi ritiene che questa sovranità la si riconquisti giorno dopo giorno, attraverso la progressiva riduzione della dipendenza dai soldi altrui, anche a costo di sacrifici e scelte dolorose. Tra chi ritiene che l’Euro sia parte del problema, giogo che ci condiziona a essere come gli altri vorrebbero che fossimo, o soluzione, in quanto veicolo di un processo di normalizzazione delle nostre anomalie. Tra chi vuole che l’Italia sia parte degli Stati Uniti d’Europa, prima o poi, e chi ritiene che l’Italia debba essere l’Italia, e basta. Un frame politico che combacia alla perfezione con la narrazione di Matteo Salvini e della Lega, il vero vincitore di questa serata, ben più di Di Maio, tanto da far venire il dubbio che in qualche modo questa crisi sia stata pilotata ad arte per arrivare allo showdown di queste ore.
Se queste sono le premesse, dicevamo, la sfida che attende il fronte che si erge a difesa del Quirinale e dell’Europa è più che improba. Perché il bivio a cui ci troviamo oggi è esattamente quello cui Lega e Cinque Stelle volevano arrivare. Perché i difensori della volontà del popolo, della sovranità piena e illimitata, della democrazia che prevale sulle relazioni internazionali, sempre e comunque sono loro, laddove gli altri si ergono a difesa di un palazzo, il Quirinale, di una moneta, l’Euro, di un’istituzione, l’Unione Europea. Perché sono riusciti ad arrivare allo scontro finale contro avversari, il Pd e Forza Italia, più che in crisi nera, dilaniati di lotte interne e in crisi verticale di consenso.
E allora, forse, quello di Mattarella, seppur ineccepibile nei contenuti e nella forma, è stato un enorme azzardo, che rischiamo di pagare a caro prezzo, molto più della nomina di Paolo Savona. L’avesse avallata, oggi ci troveremmo con un ministro dell’economia scomodo, sotto i riflettori, ma sotto la tutela di un programma che di uscita dall’Euro non parlava, di un presidente del consiglio incaricato che aveva fatto professione di fede europeista e, pur con tutte le ambiguità e gli omissis, pure di un messaggio di Savona stesso, arrivato a poche ore dall’Apocalisse, che a quello stesso programma e a quella stessa professione di fede faceva riferimento, per disinnescare le perplessità sulla sua figura. E con un governo, finalmente, dopo quasi novanta giorni, nel pieno esercizio delle sue funzioni, compresa quella di disinnescare l’aumento dell’Iva e di contribuire al futuro dell’Unione, a partire dal prossimo Consiglio Europeo.
Ci ritroviamo, invece, con un governo che aveva i numeri respinto sull’uscio, con un nuovo presidente incaricato, Carlo Cottarelli, cui con ogni probabilità, verrà negata la fiducia dal Parlamento, con la messa in stato d’accusa del presidente della repubblica per alto tradimento, richiesta che avrebbe i numeri per essere approvata dal Parlamento, e che solo Matteo Salvini, uno che fino a qualche mese fa indicava Ciampi e Napolitano come traditori della patria, avrebbe il potere di disinnescare e con una campagna elettorale durissima che è già iniziata e che minaccia di alzare il livello dello scontro sociale a livelli da 1948, se non peggio. Tutto, per Paolo Savona, che per assurdo tra qualche mese potrebbe addirittura essere indicato come presidente del consiglio da Lega e Cinque Stelle, dovessero stravincere come ha preconizzato Massimo D’Alema in fuori onda di qualche giorno fa. Fare peggio, francamente, era davvero difficile.
(tratto da www.linkiesta.it)
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