L'inedita e delicata situazione che si è creata nel Paese in seguito alle modalità del fallimento del tentativo del professor Conte di formare il governo, pone molteplici punti di discussione. Innanzitutto, mi unisco all’editoriale di Risso nel ricordare che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha la vicinanza, la grande stima e affetto, il rispetto e il sostegno dei Popolari del Piemonte.
Il Capo dello Stato è apparso ineccepibile nell'assumersi in prima persona una responsabilità enorme come quella di chiedere a un governo che avrebbe avuto una sicura maggioranza parlamentare, l'adempimento di alcune condizioni, di misura e di prospettiva prima che di nomi per i ministeri. Mattarella ha detto con chiarezza che un cambio di paradigma, di impostazione rispetto alla moneta europea esige di essere presentato agli elettori come tale, in modo da verificare l'effettivo orientamento popolare su una materia di tale importanza.
Questi, a mio parere, sono i due veri punti di discussione: il primo, il ruolo e il peso della democrazia negli attuali modelli di governance; il secondo, gli effettivi termini di un dibattito sulla moneta comune e sull'Europa.
Circa il primo punto, è emerso un conflitto tra due legittimità, quella democratica e quella delle prerogative del Capo dello Stato. Perché due partiti, M5S e Lega, che hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei voti degli elettori e dei seggi parlamentari, non hanno potuto governare? E, dall'altra parte, perché il Capo dello Stato si è sentito in dovere di formulare delle considerazioni, che sono state recepite come uno stop alla nascita del governo Conte? In realtà Mattarella non ha fatto altro che rappresentare ai leader delle due forze politiche che aspiravano a governare, i reali equilibri e rapporti di forza esistenti da cui non si può prescindere: le istituzioni europee, le alleanze internazionali, la BCE e gli altri organismi economici internazionali (dal Fondo Monetario arriva il prossimo premier Cottarelli) e i mercati finanziari. Dunque, se mai vi fossero veti, condizionamenti, ingerenze, limitazioni andrebbero ricercati in quella direzione e non certo nella volontà del Quirinale.
A mio avviso, questo è un aspetto da tenere ben presente nel dibattito, perché sarebbe un grossolano errore porre al centro l'operato di Mattarella, che è stato ed è di garanzia per tutti, quando invece l'oggetto vero della discussione è quanto sia ancora accettabile e sostenibile un modello di governance secondo il quale l'espressione democratica della volontà popolare è solo uno, e forse non più il principale, dei fattori che concorrono a determinare le decisioni politiche. L'idea che si possano calare dall'alto scelte che incidono fortemente sul bene comune, sulla vita quotidiana dei cittadini, sulla libertà, sulla pace e sulla guerra, è un'idea che riscontra sempre meno il favore popolare perché è stata usata negli ultimi decenni per imporre strategie rispondenti agli interessi di una ristrettissima èlite transnazionale a scapito della classe media, dei ceti lavoratori e popolari, che, non a caso, si sono impoveriti. C'è una sana domanda di sovranità, che non è sovranismo o nazionalismo, che non può più essere ignorata soprattutto da parte di culture politiche riformatrici, come quella cattolico-democratica, che sono nate per rendere uguali e sovrani quei ceti sociali che non avevano né voce né peso politico, e che oggi avvertono di esser di nuovo soggetti al rischio di povertà a causa principalmente delle politiche penalizzanti delle èlite nei loro confronti.
L'altra questione è quella dell'Europa. Anche su questo punto Mattarella ha dimostrato grande saggezza, prudenza, lungimiranza, ricordando che per affrontare il tema nei termini proposti da M5S e Lega e da ciò che evoca il profilo di Paolo Savona, serve un passaggio elettorale. Prima di realizzare uno strappo, o un cambiamento, di tale portata, occorre accertarsi che la maggioranza dei cittadini lo voglia senza ombra di dubbio. Ed è lo scenario verso cui ci stiamo avviando, salvo possibili colpi di scena parlamentari.
I termini del confronto appaiono abbastanza chiari. Da un lato abbiamo i fautori di una coerente continuità con la storia europeista dell'Italia, che richiede in questi anni il rispetto di alcuni inderogabili vincoli economici propedeutici a una futuribile condivisione dei rischi fra i partner della zona Euro. In questa prospettiva gli effetti delle politiche rigoriste sull'economia italiana – stagnazione della domanda interna, aumento delle disuguaglianze, svalutazione del lavoro – vengono giudicati come effetti collaterali e come male minore rispetto ad una uscita dalla moneta unica. Anche i rischi sulla sostenibilità sociale e democratica dell'austerità sembrano esser sottovalutati.
Dall'altro lato abbiamo la prospettiva indicata dall'anziano professor Savona, espressa dalla sua biografia e anche dalla nota che ha diffuso nelle ore precedenti al naufragio dell'ipotesi del governo legastellato. Tale nota, contrariamente alla vulgata, appare come un coraggioso e avanzato manifesto europeista. Qual è allora il motivo della levata di scudi internazionale che si è registrata nei suoi confronti? È l'aver anteposto l'Europa dei popoli, dell'economia reale, della solidarietà, della comunanza di destino che si esprime anche con la condivisione del debito, a questa Europa fondata sull'egoismo nazionale tedesco e sugli interessi dei poteri finanziari a forte vocazione speculativa. Verso questo duplice egoismo della Germania e dei cosiddetti “mercati” viene opposta la necessità della gestione del debito pubblico in funzione dello sviluppo, della creazione di nuovi posti di lavoro, assegnando alla BCE, scrive Savona “le funzioni svolte dalle principali banche centrali del mondo per perseguire il duplice obiettivo della stabilità monetaria e della crescita reale”. Questo è il punto decisivo, una banca centrale che finanzia la crescita a debito, l'opposto dell'austerità (quindi senza ricorso a tagli disumani al welfare e senza creare deflazione da debito per insostenibile pressione fiscale), e che dispone degli strumenti per addomesticare questo debito, per, come si dice in gergo tecnico, la sua “monetizzazione”, nella misura e nei limiti giusti per innescare la ripresa economica e per tenere sotto rigido controllo l'inflazione.
Siccome, come ho avuto modo di argomentare in un mio articolo precedente, i grandi poteri finanziari e la Germania non ci sentono da questo orecchio, l'unico modo per avere peso contrattuale è quello di far sapere loro, con amicizia e con fermezza, che l'Italia – poiché non potrà reggere le attuali politiche monetarie, pena il soffocamento della nostra economia e della classe media – si riserva di seguire un piano B, di una sua sostanziale uscita dall'area Euro.
Su tali questioni verterà la prossima campagna elettorale. Le varie culture riformatrici hanno motivo di interrogarsi sin d'ora sui rischi che comporta un cambiamento che si fa strada senza i riformisti.
Il Capo dello Stato è apparso ineccepibile nell'assumersi in prima persona una responsabilità enorme come quella di chiedere a un governo che avrebbe avuto una sicura maggioranza parlamentare, l'adempimento di alcune condizioni, di misura e di prospettiva prima che di nomi per i ministeri. Mattarella ha detto con chiarezza che un cambio di paradigma, di impostazione rispetto alla moneta europea esige di essere presentato agli elettori come tale, in modo da verificare l'effettivo orientamento popolare su una materia di tale importanza.
Questi, a mio parere, sono i due veri punti di discussione: il primo, il ruolo e il peso della democrazia negli attuali modelli di governance; il secondo, gli effettivi termini di un dibattito sulla moneta comune e sull'Europa.
Circa il primo punto, è emerso un conflitto tra due legittimità, quella democratica e quella delle prerogative del Capo dello Stato. Perché due partiti, M5S e Lega, che hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei voti degli elettori e dei seggi parlamentari, non hanno potuto governare? E, dall'altra parte, perché il Capo dello Stato si è sentito in dovere di formulare delle considerazioni, che sono state recepite come uno stop alla nascita del governo Conte? In realtà Mattarella non ha fatto altro che rappresentare ai leader delle due forze politiche che aspiravano a governare, i reali equilibri e rapporti di forza esistenti da cui non si può prescindere: le istituzioni europee, le alleanze internazionali, la BCE e gli altri organismi economici internazionali (dal Fondo Monetario arriva il prossimo premier Cottarelli) e i mercati finanziari. Dunque, se mai vi fossero veti, condizionamenti, ingerenze, limitazioni andrebbero ricercati in quella direzione e non certo nella volontà del Quirinale.
A mio avviso, questo è un aspetto da tenere ben presente nel dibattito, perché sarebbe un grossolano errore porre al centro l'operato di Mattarella, che è stato ed è di garanzia per tutti, quando invece l'oggetto vero della discussione è quanto sia ancora accettabile e sostenibile un modello di governance secondo il quale l'espressione democratica della volontà popolare è solo uno, e forse non più il principale, dei fattori che concorrono a determinare le decisioni politiche. L'idea che si possano calare dall'alto scelte che incidono fortemente sul bene comune, sulla vita quotidiana dei cittadini, sulla libertà, sulla pace e sulla guerra, è un'idea che riscontra sempre meno il favore popolare perché è stata usata negli ultimi decenni per imporre strategie rispondenti agli interessi di una ristrettissima èlite transnazionale a scapito della classe media, dei ceti lavoratori e popolari, che, non a caso, si sono impoveriti. C'è una sana domanda di sovranità, che non è sovranismo o nazionalismo, che non può più essere ignorata soprattutto da parte di culture politiche riformatrici, come quella cattolico-democratica, che sono nate per rendere uguali e sovrani quei ceti sociali che non avevano né voce né peso politico, e che oggi avvertono di esser di nuovo soggetti al rischio di povertà a causa principalmente delle politiche penalizzanti delle èlite nei loro confronti.
L'altra questione è quella dell'Europa. Anche su questo punto Mattarella ha dimostrato grande saggezza, prudenza, lungimiranza, ricordando che per affrontare il tema nei termini proposti da M5S e Lega e da ciò che evoca il profilo di Paolo Savona, serve un passaggio elettorale. Prima di realizzare uno strappo, o un cambiamento, di tale portata, occorre accertarsi che la maggioranza dei cittadini lo voglia senza ombra di dubbio. Ed è lo scenario verso cui ci stiamo avviando, salvo possibili colpi di scena parlamentari.
I termini del confronto appaiono abbastanza chiari. Da un lato abbiamo i fautori di una coerente continuità con la storia europeista dell'Italia, che richiede in questi anni il rispetto di alcuni inderogabili vincoli economici propedeutici a una futuribile condivisione dei rischi fra i partner della zona Euro. In questa prospettiva gli effetti delle politiche rigoriste sull'economia italiana – stagnazione della domanda interna, aumento delle disuguaglianze, svalutazione del lavoro – vengono giudicati come effetti collaterali e come male minore rispetto ad una uscita dalla moneta unica. Anche i rischi sulla sostenibilità sociale e democratica dell'austerità sembrano esser sottovalutati.
Dall'altro lato abbiamo la prospettiva indicata dall'anziano professor Savona, espressa dalla sua biografia e anche dalla nota che ha diffuso nelle ore precedenti al naufragio dell'ipotesi del governo legastellato. Tale nota, contrariamente alla vulgata, appare come un coraggioso e avanzato manifesto europeista. Qual è allora il motivo della levata di scudi internazionale che si è registrata nei suoi confronti? È l'aver anteposto l'Europa dei popoli, dell'economia reale, della solidarietà, della comunanza di destino che si esprime anche con la condivisione del debito, a questa Europa fondata sull'egoismo nazionale tedesco e sugli interessi dei poteri finanziari a forte vocazione speculativa. Verso questo duplice egoismo della Germania e dei cosiddetti “mercati” viene opposta la necessità della gestione del debito pubblico in funzione dello sviluppo, della creazione di nuovi posti di lavoro, assegnando alla BCE, scrive Savona “le funzioni svolte dalle principali banche centrali del mondo per perseguire il duplice obiettivo della stabilità monetaria e della crescita reale”. Questo è il punto decisivo, una banca centrale che finanzia la crescita a debito, l'opposto dell'austerità (quindi senza ricorso a tagli disumani al welfare e senza creare deflazione da debito per insostenibile pressione fiscale), e che dispone degli strumenti per addomesticare questo debito, per, come si dice in gergo tecnico, la sua “monetizzazione”, nella misura e nei limiti giusti per innescare la ripresa economica e per tenere sotto rigido controllo l'inflazione.
Siccome, come ho avuto modo di argomentare in un mio articolo precedente, i grandi poteri finanziari e la Germania non ci sentono da questo orecchio, l'unico modo per avere peso contrattuale è quello di far sapere loro, con amicizia e con fermezza, che l'Italia – poiché non potrà reggere le attuali politiche monetarie, pena il soffocamento della nostra economia e della classe media – si riserva di seguire un piano B, di una sua sostanziale uscita dall'area Euro.
Su tali questioni verterà la prossima campagna elettorale. Le varie culture riformatrici hanno motivo di interrogarsi sin d'ora sui rischi che comporta un cambiamento che si fa strada senza i riformisti.
Solo una piccola considerazione: come la mettiamo con il mostruoso debito pubblico italiano? Come la mettiamo se pensiamo alla quantità di titoli di stato in mano straniera? e senza gli interventi della BCE di Draghi in quali condizioni saremmo ora? Lasciamo stare i nominalismi e le “parole d’ordine” e guardiamo ai fondamentali dell’economia. Di finanza creativa non credo che dobbiamo avere nostalgia: chi ricorda più il “famoso economista” Tremonti? E stiamo ancora pagando per gli errori di quel periodo. Grazie a Mattarella per aver avuto il coraggio di sostenere una posizione difficile. Ho sentito oggi (non ricordo se da parte Lega o 5 stelle) affermare che Cottarelli è uno sconosciuto che non ha preso neppure un voto. Ma qualcuno di questi signori sa dirmi quanti voti aveva preso il “famoso” Conte?
Coerenza italiana.
Nessuno ha la bacchetta magica, ma la Banca Centrale dispone di tutti gli strumenti necessari a contrastare gli attacchi speculativi, compreso il rialzo dello spread. É questione di volontà politica usare questi strumenti a servizio dell’austerità oppure al servizio di politiche espansive. Il Giappone, che pratica politiche monetarie opposte a quelle dell’Ue-Germania, ha il secondo debito pubblico al mondo, ma è immune dal giudizio delle agenzie di rating, pur avendo un rapporto debito /pil al 230%, quasi doppio di quello italiano, ed ha la piena occupazione.
Premesso che gli insulti e le accuse di tradimento al presidente Mattarella sono inaccettabili (ma si è fatto di peggio con Cossiga e soprattutto con Leone, costretto alle dimissioni da insinuazioni e false prove), rilevo che ci troviamo in una situazione estremamente difficile, perché (come riconosce Davicino) sono a confronto due ragioni: da un lato quella addotta a difesa degli aspetti formali che presiedono alla vita parlamentare, unitamente alle preoccupazioni per le possibili ricadute di bruschi cambiamenti di rotta; dall’altro lato quella a sostegno del pieno riconoscimento dell’esito del voto popolare.
Essendo digiuno di diritto, non mi sento di entrare sul terreno degli aspetti costituzionali, ma mi riconosco nel discorso di Davicino quando pone la questione su un piano politico che va al di là di questo caso.
Da parte mia, lo riassumo così. La frattura che attraverso l’intero mondo è quella tra globalisti e sovranisti. Ad essa, si accompagna, perché in parte collegata, quella fra mercatisti (fautori del primato del mercato sulla politica, un mercato che non ammette confini) e dirigisti (che intendono assegnare alla politica il compito di definire il cammino di una società che necessariamente ha dei confini). Ora, se i temi inerenti ai trattati internazionali e quelli relativi alla politica economica vengono (anche solo parzialmente ) sottratti alla competenza dei parlamenti e dei governi che essi esprimono, riservando ad altre istituzioni (Presidenti della repubblica, Corti costituzionali, Corte europea, BCE, ecc.) il compito di sovraintendere alle scelte in merito e di indirizzarle in una direzione “responsabile”, cioè inevitabilmente globalista-mercatista (essendo questa l’ideologia dominante nell’élite), ne risulta che quello che è, e sarà sempre più, l’oggetto del confronto politico non potrà esprimersi con gli strumenti che gli sono propri in una democrazia parlamentare. E’ quanto di peggio possa accadere.
La riflessione di Giuseppe, come sempre, è puntuale e profonda e non può non far riflettere tutti i riformisti. A cominciare da chi si riconosce nella nostra cultura politica. Una sola considerazione, a margine. E’ persin ovvio che,di fronte alla vera posta in gioco che culminerà con le ormai prossime elezioni e che Giuseppe ha riassunto efficacemente, la nostra “tradizione politica” non può limitarsi a commentare ciò che accade o, peggio ancora, a contemplare gli avvenimenti. E’ venuto il momento di “entrare in campo” e di giocare la partita.
D’accordo parliamo di rispetto del voto, di sovranità popolare, di democrazia, di volontà degli elettori, tutto giusto ma dove sarebbe finiti se il Presidente Mattarella non avesse bloccato questo cosiddetto “governo del cambiamento”? Avremmo avuto un ministro degli interni che guarda con ammirazione l’estremista di destra, Marine Le Pen e credo che ne seguirebbe le orme, creando uno stato di polizia; un ministro del lavoro, che non sa cos’è il lavoro, perché in vita sua non ha mai battuto un chiodo ed infine un ministro dell’economia, che se anche oggi si dice favorevole all’euro, all’unione europea, il suo curriculum dice proprio l’esatto contrario. Ricordo che anche l’omino coi baffi è diventato cancelliere del Reich con il voto popolare!!!
Il comportamento del Presidente mi ha personalmente lasciato perplesso. Credo che apra più problemi di quanti ne risolva.Senza mancare di rispetto verso l’istituzione e la persona del Presidente provo a proporre una mia rilettura degli avvenimenti di questi giorni :una coalizione elabora un programma innovatore e riformatore rispetto alle strategie economiche imperanti in Europa; propone un ministro che è un economista prestigioso molto critico nei confronti dell’economia austeritaria imposta da commissione europea e Germania. Quel professore ebbe a scrivere che la moneta unica non è stata una buona idea e venne fabbricata a beneficio di qualcuno e non di tutti ( quindi non in vista del bene comune) ma non suggerisce l’uscita dall’euro a tempi brevi né a tale prospettiva si allude nel programma di governo. Qualcuno si agita: l’ortodossia economica mainstream sempre più traballante, sempre più insostenibile sia tecnicamente che eticamente reagisce come fanno i deboli chiudendosi in difesa; i poteri forti chissà quali canali hanno a disposizione? La loro moral suasion raggiunge il colle del Quirinale. Moral suasion o minacce? Fatto sta che il presidente al quale spetterebbe la difesa della Costituzione ( non per nulla è stato scelto lui: è un professore di diritto costituzionale!) si piega ai diktat, non sappiamo quanto volente o quanto nolente, e proclama: Savona nein! Il governatore della banca d’Italia che è un nemico del Savona gongola in silenzio. Allora le forze di governo forse commettono un errore: che fare? Aggirare furbescamente l’ostacolo all’italiana o affrontare la tenzone a viso aperto? E’ un atto di grande onestà intellettuale il loro ma in politica e in Italia l’astuzia la vince sempre , vi ricordate la storiella della golpe e del lione di Machiavelli? Non siamo cambiati. Dunque troppo poco golpe/volpe i nostri due leader : la trappola scatta e cadono nella tagliola. Oppure no forse una golpe c’è e si chiama Salvini: lascia Di Maio col cerino in mano, lascia che Mattarella il temerario rischi l’osso del collo con un doppio salto mortale sopra il sacro testo; chi scrive non è certo un costituzionalista sono trascorsi ahimé alcuni anni ( decenni…) dacché il prof. Pizzetti verificò se il sottoscritto avesse approfondito per benino i due tomi del Mortati ma insomma carta canta : nominare un ministro su proposta del presidente del consiglio non significa sceglierlo e l’indirizzo politico spetta al premier; Scalfaro sconsigliò Berlusconi di collocare il suo avvocato personale al ministero di via Arenula (Giustizia) per un evidente conflitto di interessi e il cavaliere lo dirottò alla Difesa. Che fa dunque il presidente ? In ogni giurista che si rispetti si nasconde l’anima dell’Azzeccagarbugli (absit iniuria verbis) e la mette a nudo: rilascia una dichuarazione presentandosi come il difensore della Costituzione che all’art. 47 tutela i risparmi degli italiani. E pazienza se n tal modo viola in modo esplicito altri articoli della Carta( il 92): quasi che la nostra Costituzione fosse qualcosa di strutturalmente simile al Corano, con le sue sure che si contraddicono a vicenda ( qui scioglie inni alla misericordia lì incita a uccidere gli infedeli…).
Il giorno dopo lo spread sale a dismisura e le borse calano a picco. Bingo. Se almeno i mercati manifestassero un briciolo di riconoscenza ai loro fedeli ! Macché. Tutto dovuto. Vale la pena fare i lacché dei poteri forti e dei mitici mercati? Se si deve restare uccisi in battaglia non è meglio morire combattendo, in piedi da donne e uomini dignitosi anziché offrire la gola al coltello dei jihadisti finanziari? I quali si fingono spaventati per quello che poteva succedere, fanno scrivere dai loro pennivendoli viva Mattarella in buon tedesco e si arricchiscono: eh sì perché numerosi fondi avevano scommesso al ribasso sull’Italia e quindi le cose “dovevano” andare male per le borse, per lo spread e per i poveri risparmi degli italiani con buona pace della Costituzione! Mah. Sarà che il Presidente si è accorto di essere restato troppo in silenzio quando i risparmi dei clienti di banca Etruria se ne andavano in fumo o quando si spendevano allegramente 20 miliardi per salvare il Monte Paschi sulle cui malefatte i soggetti istituzionali che secondo la riserva di legge adombrata nell’art.47 dovrebbero tutelare il risparmio avevano serrato entrambe le palpebre: e allora avrà voluto rimediare ma lo ha fatto frettolosamente e in modo maldestro?
Imperdibile lo spettacolo del PD. SE fossero stati furbi anziché osannare acriticamente le mosse del Colle avrebbero potuto nell’ordine a) difendere la correttezza costituzionale e la sovranità italiana b) dichiararsi custodi dell’euro incalzando nel contempo il governo a stimolare l’Europa a effettuare qualche seria riforma ( per esempio sterilizzando la speculazione questa infame degenerazione caricaturale del liberismo economico) usando il governo dei cosiddetti populisti come ariete per fare ciò che né Renzi né Gentiloni avevano avuto la forza o il coraggio di fare 3) bloccare le inevitabili sciocchezze che un governo esperto avrebbe comunque propinato. Ottenendo in tal modo la tutela vera dell’istituzione presidenziale e dello stesso Mattarella che per la persona integra che è sempre stato non merita queste figuracce e questi attacchi a cui presta il fianco ( una cosa è rilevare l’inopportunità politica dei suoi atti altro è la ridicola richiesta di impeachment). Niente di tutto questo. Scenderanno in piazza per una penosa e controproducente difesa del presidente. La sinistra? Non pervenuta ed è tutto, non si sprechino altre righe , inchiostro o bit o spazi su disco per parlare del nulla.
Già. Ci sarebbe per la verità un soggetto politico che in realtà non si vede ancora ma se ne sta nascosto in qualche covile pronto a balzare fuori rigenerato dal suo lungo sonno; ed è un soggetto che di quel complesso di speranze lotte sacrifici, costruzioni istituzionali, conquiste che è la sinistra fa parte di diritto. Sono i cattolici democratici. Sì: dove trovare l’equilibrio fra equità e ragionevolezza, fra mercato e giustizia sociale se non in chi ha radici profonde e nessuna sudditanza se non ai propri principi?
I cattolici democratici che dovrebbero trarre ispirazione, pur nella rigorosa riconferma della loro evangelica laicità ( date a Cesare…) dal Vangelo e da un rapporto adulto e filiale con la Chiesa.
Ma ecco che a reti unificate la Chiesa italiana a cominciare da mons.Galantino elogia a gran voce la scelta di inchinarsi al diktat dei mercati finanziari. Ma chi ha detto che la moneta è un mezzo e non un fine? Salvini? O papa Francesco?
Molto facile far venire i sensi di colpa ai cittadini che sperimentano una difficile convivenza con gli immigrati; o seguire fedelmente le agende mondialiste scorgendo del fenomeno migratorio solo gli effetti tragici e umanamente deprecabili senza chiedersi quali siano i meccanismi o le volontà politiche che costringono tanta gente a lasciare la propria terra. Come vorremmo una Chiesa che educa le coscienze al vero discernimento e alla ricerca sofferta e complessa del bene comune più autentico! Quante volte l’elemosina , gesto in se stesso nobilissimo, ci solleva dalla fastidiosa incombenza di capire perché mai il fratello si trova nel bisogno: ma è una questione che ci porterebbe troppo lontano dal tema di questo breve scritto.
Come ebbi già modo di dire per i cattolici democratici paradossalmente tutto questo si traduce in una buona notizia: vi sono interi territori incolti e vergini che attendono di essere colonizzati. La Chiesa ha un grande bisogno di un laicato attento , santamente spregiudicato, coraggioso.
Ma bisogna uscire all’aperto fuori dalle trincee in cui ci siamo barricati.
“Una coalizione elabora un programma innovatore e riformatore” ma lei in quale mondo vive? Se è una strategia innovativa il ridurre al lumicino le imposte ai “signori”, con la flax-tax con la quale va a farsi benedire la progressività dei prelievi (non è una mia invenzione ma l’articolo 53 della nostra costituzione) e con nessunissimo beneficio per le classi meno abbienti, in quanto l’ipotetica riduzione del carico delle imposte sarebbe annullato se non peggiorato dall’aumento dei ticket sanitari e dalla riduzione dei servizi essenziali, a causa della drastica riduzione delle entrate statali. Altro punto innovatore: il reddito di cittadinanza, si diminuiscono le entrate con la flax-tax e si aumentano le uscite con il reddito di cittadinanza. Se lei è capace di risolvere questo problema, merita certamente un Nobel. Cerchiamo di dare un lavoro dignitoso alle persone, specialmente ai giovani, non l’elemosina. Un ultima cosuccia la “difesa personale”, con le idee espresse dal “designato” ministro degli interni, vogliamo diventare come gli Stati Uniti che ogni ora più o meno ci scappa il morto?
Gli argomenti proposti da Francesco Cecco Sobrero (peraltro condivisi da molti, compresi autorevoli opinionisti) vengono da lontano. Già Platone affermava che non è saggio affidare il governo della polis a chi non sa di tecnica, di politica e di filosofia. Per questo, il filosofo era totalmente contrario alla democrazia. Ora coloro che ritengono improponibili governi sostenuti da maggioranze, a loro dire, incompetenti cerchino di essere coerenti: facciano proprio nella sua totalità il discorso di Platone o rinuncino a tali argomentazioni.
Una puntualizzazione. Non vorrei essere confuso con un superficiale tifoso del mancato governo (o del futuro governo? Vedremo gli sviluppi nei prossimi giorni). La politica è altra cosa da un derby calcistico che oppone i supporter delle due squadre. Il programma di governo era (è?) oggettivamente innovativo indipendentemente dal giudizio di merito sul contenuto delle novità. Ma ritengo che la ricerca di soluzioni nuove sia ormai inevitabile. Occorre amaramente constatare che gli schemi austeritari strozzano le economie più deboli, riducono il gettito fiscale, ostacolano lo sviluppo e infine provocano l’aumento di quel debito che si proponevano di tenere sotto controllo e ridurre. Lo dicono grandi economisti (i citatissimi Stiglitz e Krugmann in primis): dare un lavoro dignitoso ai giovani è certamente la priorità, ma come? Le culture riformiste (e sul significato del termine riforma occorrerebbe aprire una lunga discussione: oggi lo si utilizza in modo improprio, dimentichi della semantica forgiata dalla storia del ‘900) quelle a cui fa riferimento Davicino nel suo bellissimo articolo dovrebbero guidare il cambiamento e non lasciarlo nelle mani temerarie dei “barbari”. Per ora non sembrano disposti a farlo, per ignavia o scarsa lungimiranza: inutile allora piatire sterilmente di fronte all’avanzata dei “populisti”. Per fortuna sono caduti i muri nell’anno di grazia 1989: altrimenti potrebbero bussare alla porta degli isti ben più minacciosi dei populisti…..
Dice bene Andrea: “Le culture riformiste dovrebbero guidare il cambiamento”. Invece, rinunciando a politiche keynesiane, hanno semplicemente smesso di essere utili.E gli elettori se ne sono accorti.