Le élites sorde sono peggio dei populisti



Giuseppe Davicino    17 Maggio 2018       2

Di fronte alla piega che hanno preso gli eventi elettorali e politici ci può essere rammarico, preoccupazione, critica ma anche speranza fra quanti si riconoscono nella cultura politica del cattolicesimo democratico e sociale.

Innanzitutto il rammarico. Dobbiamo chiederci come mai culture politiche, partiti, organizzazioni sociali che si ispirano ai principi della Dottrina sociale della Chiesa e che sono nate per rappresentare, formare e dare voce nella vita democratica ai ceti popolari e lavoratori si siano così allontanate nel corso degli anni dal popolo, al punto da esser percepite da esso come un tutt'uno con quell'establishment che, a torto o a ragione, viene largamente indicato come il principale responsabile della crisi attuale. Il discorso non riguarda solo i Popolari ma tutte le principali culture riformatrici.

I giovani, i lavoratori precari, il ceto medio impoverito, i cittadini e le famiglie in difficoltà, in povertà o senza i soldi per adeguate cure mediche anziché riporre fiducia nelle forze che tradizionalmente si proclamavano loro diretta espressione, hanno invece scelto in grande maggioranza i “populisti”. Penso che in questa perdita di credibilità delle culture riformatrici presso il popolo un ruolo di rilievo lo abbia svolto il Partito Democratico, il quale, anziché fare una sintesi delle culture progressiste le ha irretite in un progetto che di popolare aveva poco mentre invece aveva ricevuto tutti i crismi nei salotti delle élites. Il risultato è stato che nel sentire popolare l'asse PD-ForzaItalia-LeU è stato percepito come quello piegato agli interessi dei grandi poteri transnazionali che hanno deciso di precarizzare il lavoro, immiserire la classe media e di rubare il futuro alle giovani generazioni e alla Nazione.

Accanto a ciò vi è la critica per i numerosi ed evidenti limiti che dimostrano i vincitori del 4 marzo, M5S e Lega, e la preoccupazione per quanto potrà accadere. Fortunatamente il risultato elettorale ci dispensa dal rischio di un salvatore della patria: le due forze antisistema si controbilanciano. Può anche darsi che la soluzione di governo comporti la scelta di un premier debole, nei fatti portavoce dei due azionisti di maggioranza Di Maio e Salvini. Una soluzione che dal punto di vista costituzionale suscita più di una perplessità. La critica sarà tanto più credibile però se pronunciata da quanti hanno usato la stessa misura nel caso della sostituzione del Presidente del Consiglio decisa da Renzi dopo la sconfitta referendaria a favore dell'innocuo Gentiloni, o della defenestrazione di Enrico Letta, decisa per questioni interne al PD, lontano dalle sedi istituzionali, per non dire del governo Monti chiamato ad eseguire un programma ordinato da potenze straniere e da grandi interessi finanziari internazionali in contrasto con l'interesse nazionale e con l'interesse di imprese, lavoratori e famiglie italiani.

In attesa di conoscere i dettagli di questo accordo e la composizione dell'esecutivo, appare fondata la preoccupazione per ciò che il governo populista, se nascerà, potrà fare o non riuscirà a fare. Occorrerà tenere alta l'attenzione perché un conto sono i programmi elettorali, altra cosa sono i singoli atti di governo che devono essere rigorosamente improntati ai principi sanciti dalla Costituzione.

Nel contempo si dovrà sperare per il bene del Paese che i principali temi che stanno in cima alle preoccupazioni degli italiani, vengano affrontati in modo concreto e puntuale. Sotto questo profilo però la preoccupazione maggiore non è verso i populisti che, per così dire, “abusivamente” occupano uno spazio lasciato gentilmente libero dalle forze popolari e riformiste, e che cercheranno in ogni modo di rappresentare quegli interessi della classe media che la sinistra di governo ha spocchiosamente snobbato in questi anni.

La preoccupazione maggiore è costituita dalla sordità e dalla cecità dell'establishment di fronte alle legittime istanze dei ceti lavoratori e al declino della classe media che mina le basi della democrazia. Le élites che detengono il vero potere, quello economico e soprattutto finanziario e a cui risponde la tecnocrazia europea, hanno ormai operato un allarmante distacco dalla realtà e una secessione dal resto della società. Questo fa sì che si ostinino a imporre politiche economiche improntate al monetarismo a vantaggio di chi specula, trasferendo ricchezza rubata al lavoro e alla collettività verso quell'uno per cento della popolazione che detiene la metà della ricchezza mondiale. Non sarà sufficiente sperare che M5S e Lega dimostrino responsabilità e moderazione, occorrerà che anche dall'altra parte, dalle istituzioni europee si dia prova di effettiva volontà di dialogo, finora assente, prima che la situazione si avviti e l'Unione Europea venga additata dai populisti al governo come la principale responsabile della crisi.

Infine la speranza è che il responso così severo delle urne verso le forze riformatrici, ci conduca a un bagno di umiltà, ci riporti a riascoltare la nostra gente, dando più peso a ciò che essi lamentano, chiedono, sperano più che alle direttive che arrivano da logge, organi di stampa e potentati che si stanno dimostrando molto più pericolosi e irresponsabili dei populisti.


2 Commenti

  1. Si parla e sparla sempre di “populismo” e “riformismo”.
    Una “iattura” la prima parola, una “benedizione” l’altra!
    Guardando i fatti concreti si nota,poi, che: il riformismo ha riformato nel modo, che più sbagliato non si può, minando in modo serio i nostri collaudati principi sociali di convivenza civile. Il “populismo”, almeno a parole, cerca di riaggiustare qualcosa che i lodati riformisti hanno guastato.
    Ritengo che il temperato “combinato disposto” (sic!) dei programmi salviniani, al netto delle interferenze del cosiddetto “caimano”, e quello dei populisti filo comunisti, come io ritengo siano i grillini, possano sortire, almeno nel periodo breve, qualcosa di utile per rattoppare il malfatto dai riformisti. L’unico neo è la loro inesperienza che può portare all’aborto del progetto, come si può temere dalla scivolata pericolosa sui bond e sull’euro.

  2. L’analisi di Giuseppe, come sempre, centra il problema. E cioè, la perdita di credibilità delle tradizionali culture politiche, riformiste e popolari, è stata quella di sganciarsi dai bisogni veri e reali dei ceti popolari. Altrochè la “mission” della sinistra e del centro sinistra. Una “mission”, come dice Giuseppe, che è diventata ufficialmente la voce politica, culturale, programmatica e anche fisica dell’establishment. Una mutazione genetica che ha segnato ed accompagnato il profilo politico del Pdr, il partito di Renzi. Ora si tratta di rifondare il “campo” del centro sinistra non riproponendo un marchio ormai fallito come quello del Pdr ma, al contrario, riscoprendo e riattualizzando quelle cultuale riformiste e costituzionali che possono ancora essere l’unico baluardo per coniugare sviluppo e solidarietà, crescita e democrazia. Sotto questo profilo la tradizione del cattolicesimo politico e del cattolicesimo sociale sono fondamentali per ridare qualità alla politica e attualità al pensiero riformista e democratico.

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*