A meno di improvvisi deragliamenti dovuti a questioni di “bottega”, avremo dunque un Governo Salvini-Di Maio. Tale sbocco era abbastanza evidente in base al voto del 4 marzo. Gli italiani, in larga maggioranza, hanno bocciato le forze che avevano retto il Governo del Paese nella difficile Legislatura precedente e hanno dato fiducia a Lega e M5S.
Del resto, la storia insegna che i populismi, al di là delle rispettive diverse origini, avvertono reciproca fatale attrazione e, alla fine, sono inevitabilmente portati ad interpretare una posizione di destra. Una destra illiberale, sovranista, anti sistema. In questa fase storica, una destra “post democratica”.
Vorrà dire che vivremo una sorta di via italica alla “democratura”, neologismo che ormai molti osservatori utilizzano per definire quei sistemi politici nei quali i meccanismi formali della democrazia, sempre meno amati, coesistono con leadership fortemente nazionaliste e populiste, corroborate dalla continua evocazione del “nemico esterno” e supportate da un consenso popolare frutto dello scambio “meno democrazia contro più sicurezza e protezione”. Non a caso, si guarda con malcelata ammirazione alla Russia di Putin o all’Ungheria di Orban.
È anche abbastanza facile prevedere quali saranno i “nemici” che verranno sempre più aizzati alla pubblica opinione, come un drappo rosso davanti al toro. Sul fronte esterno, saranno l’Unione Europea e la globalizzazione. Su quello interno, saranno gli stranieri immigrati; le minoranze in genere; la cosiddetta “casta” (almeno quella della politica tradizionale, poiché invece, con le vere caste, quelle del potere immutabile, vediamo che il rapporto è tutt’altro che conflittuale...).
E - Dio non voglia - un nemico evocato sarà anche il Quirinale, quando e se dovrà opporsi, in base alle sue prerogative costituzionali, a scelte incompatibili con il quadro dei vincoli finanziari o istituzionali.
A tutti questi “nemici” sarà addebitata la colpa di voler impedire la realizzazione delle promesse - irrealizzabili - con le quali Lega e M5S hanno vinto le elezioni. Uno scenario desolante e preoccupante, che porterà l’Italia su una rotta di marginalità in Europa e di impoverimento della sua già fragile intelaiatura civile, istituzionale e sociale.
Tinte eccessivamente fosche? Purtroppo non direi.
L’unica speranza, semmai, sta nel fatto che questi processi richiedono leadership a loro modo capaci, forti e autorevoli, mentre in Italia i nuovi aspiranti statisti appaiono di profilo affatto più modesto. Spetta alle culture e alle forze civili, sociali e politiche democratiche preparare una credibile alternativa a tutto questo.
Bisogna però farlo su basi nuove e in una prospettiva di medio periodo. Nessun arrocco funzionerà di fronte a questi nuovi inquietanti paradigmi della democrazia. Nessuna congettura di tipo tradizionale potrà sconfiggere questa ondata populista e di destra.
Potranno farlo solo l’umile e paziente ricostruzione della credibilità della democrazia e della politica; la reinterpretazione dei valori di comunità e solidarietà, fuori da ogni vuota liturgia retorica; il ritorno ad una “pedagogia” politica e civile, capace di convincere senza nessuna pretesa di imporre soluzioni ad una società che rischia di diventare sempre più individualista, impaurita e refrattaria ad ogni idea di vincolo e di responsabilità.
Sarà un inverno, speriamo non troppo lungo, ma certo freddo, che andrà riscaldato con tanti fuochi, alimentati dal coraggio e dalla lungimiranza. Una nuova “profezia democratica” si formerà solo attraverso la capacità di guardare oltre la siepe; di leggere i segnali, pur nella nebbia, per ritrovare il sentiero di una democrazia sociale e comunitaria; di mettere a nudo la scomoda verità che ogni forma di “democratura”, anche se accompagnata da ammiccati promesse di protezione e camuffata da immagini rassicuranti, è un imbroglio pericoloso e micidiale per il popolo.
È in questo scenario che si rende evidente l’inconciliabile natura alternativa del “popolarismo” rispetto “populismo”.
Un “popolarismo” che non è ideologia, né primariamente formula politica, ma concezione della democrazia come ambito di realizzazione del “personalismo comunitario”. E che non disconosce la prepotente spinta alla affermazione della dimensione individuale - un segno dei tempi, accresciuto dalla progressiva esplosione delle opportunità tecnologiche - ma la “educa” ad una nuova mediazione culturale e sociale rispetto al valore del bene comune.
Ciò chiama in causa innanzitutto la comunità e le sue forze più vitali, ivi comprese quelle che fanno riferimento al mondo dei cattolici; un mondo, peraltro, oggi tanto illuminato dalla scomoda ma straordinaria profezia di Francesco, quanto spesso balbettante, insicuro, in parte disperso, quando non accondiscendente verso le nuove narrazioni populiste.
Mi pare che le tante riflessioni sul ruolo politico (o meglio sulla sua mancanza) dei cattolici democratici - che meritoriamente “Il Domani d’Italia” online ospita e promuove (così come fa “Rinascita popolare” ndr) - possano e debbano trovare un loro sbocco, radicalmente nuovo e non di breve momento, proprio a fronte di queste stringenti emergenze democratiche.
Tratto da “Il Domani d’Italia” (www.ildomaniditalia.eu) del 13 maggio 2018.
Del resto, la storia insegna che i populismi, al di là delle rispettive diverse origini, avvertono reciproca fatale attrazione e, alla fine, sono inevitabilmente portati ad interpretare una posizione di destra. Una destra illiberale, sovranista, anti sistema. In questa fase storica, una destra “post democratica”.
Vorrà dire che vivremo una sorta di via italica alla “democratura”, neologismo che ormai molti osservatori utilizzano per definire quei sistemi politici nei quali i meccanismi formali della democrazia, sempre meno amati, coesistono con leadership fortemente nazionaliste e populiste, corroborate dalla continua evocazione del “nemico esterno” e supportate da un consenso popolare frutto dello scambio “meno democrazia contro più sicurezza e protezione”. Non a caso, si guarda con malcelata ammirazione alla Russia di Putin o all’Ungheria di Orban.
È anche abbastanza facile prevedere quali saranno i “nemici” che verranno sempre più aizzati alla pubblica opinione, come un drappo rosso davanti al toro. Sul fronte esterno, saranno l’Unione Europea e la globalizzazione. Su quello interno, saranno gli stranieri immigrati; le minoranze in genere; la cosiddetta “casta” (almeno quella della politica tradizionale, poiché invece, con le vere caste, quelle del potere immutabile, vediamo che il rapporto è tutt’altro che conflittuale...).
E - Dio non voglia - un nemico evocato sarà anche il Quirinale, quando e se dovrà opporsi, in base alle sue prerogative costituzionali, a scelte incompatibili con il quadro dei vincoli finanziari o istituzionali.
A tutti questi “nemici” sarà addebitata la colpa di voler impedire la realizzazione delle promesse - irrealizzabili - con le quali Lega e M5S hanno vinto le elezioni. Uno scenario desolante e preoccupante, che porterà l’Italia su una rotta di marginalità in Europa e di impoverimento della sua già fragile intelaiatura civile, istituzionale e sociale.
Tinte eccessivamente fosche? Purtroppo non direi.
L’unica speranza, semmai, sta nel fatto che questi processi richiedono leadership a loro modo capaci, forti e autorevoli, mentre in Italia i nuovi aspiranti statisti appaiono di profilo affatto più modesto. Spetta alle culture e alle forze civili, sociali e politiche democratiche preparare una credibile alternativa a tutto questo.
Bisogna però farlo su basi nuove e in una prospettiva di medio periodo. Nessun arrocco funzionerà di fronte a questi nuovi inquietanti paradigmi della democrazia. Nessuna congettura di tipo tradizionale potrà sconfiggere questa ondata populista e di destra.
Potranno farlo solo l’umile e paziente ricostruzione della credibilità della democrazia e della politica; la reinterpretazione dei valori di comunità e solidarietà, fuori da ogni vuota liturgia retorica; il ritorno ad una “pedagogia” politica e civile, capace di convincere senza nessuna pretesa di imporre soluzioni ad una società che rischia di diventare sempre più individualista, impaurita e refrattaria ad ogni idea di vincolo e di responsabilità.
Sarà un inverno, speriamo non troppo lungo, ma certo freddo, che andrà riscaldato con tanti fuochi, alimentati dal coraggio e dalla lungimiranza. Una nuova “profezia democratica” si formerà solo attraverso la capacità di guardare oltre la siepe; di leggere i segnali, pur nella nebbia, per ritrovare il sentiero di una democrazia sociale e comunitaria; di mettere a nudo la scomoda verità che ogni forma di “democratura”, anche se accompagnata da ammiccati promesse di protezione e camuffata da immagini rassicuranti, è un imbroglio pericoloso e micidiale per il popolo.
È in questo scenario che si rende evidente l’inconciliabile natura alternativa del “popolarismo” rispetto “populismo”.
Un “popolarismo” che non è ideologia, né primariamente formula politica, ma concezione della democrazia come ambito di realizzazione del “personalismo comunitario”. E che non disconosce la prepotente spinta alla affermazione della dimensione individuale - un segno dei tempi, accresciuto dalla progressiva esplosione delle opportunità tecnologiche - ma la “educa” ad una nuova mediazione culturale e sociale rispetto al valore del bene comune.
Ciò chiama in causa innanzitutto la comunità e le sue forze più vitali, ivi comprese quelle che fanno riferimento al mondo dei cattolici; un mondo, peraltro, oggi tanto illuminato dalla scomoda ma straordinaria profezia di Francesco, quanto spesso balbettante, insicuro, in parte disperso, quando non accondiscendente verso le nuove narrazioni populiste.
Mi pare che le tante riflessioni sul ruolo politico (o meglio sulla sua mancanza) dei cattolici democratici - che meritoriamente “Il Domani d’Italia” online ospita e promuove (così come fa “Rinascita popolare” ndr) - possano e debbano trovare un loro sbocco, radicalmente nuovo e non di breve momento, proprio a fronte di queste stringenti emergenze democratiche.
Tratto da “Il Domani d’Italia” (www.ildomaniditalia.eu) del 13 maggio 2018.
Una riflessione importante. Da tener presente fra i punti da cui ripartire. Bisogna preparare l’alternativa, prima culturale e poi politica. Cose che si sono dette più volte. Va individuata una leadership collegiale che inizi a far partire la macchina