È un dato di fatto, e non un semplice auspicio, né un desiderio astratto. Dopo il voto del 4 marzo e il cambiamento radicale degli equilibri politici, cresce in modo educato ma esponenziale una domanda politica e culturale in tutto il Paese: ovvero, una richiesta di una nuova rappresentanza politica di parte dell'arcipelago cattolico. Certo, una domanda ancora confusa e non definita, ma precisa. Gruppi culturali, associazionismo di base, stampa diocesana, cittadini comuni, esponenti dell'episcopato, gruppi informali nelle parrocchie, gruppi sociali, espressioni di volontariato e via discorrendo. Dopo la crisi – irreversibile o meno lo verificheremo – del "partito plurale", il PD; dopo la fine ingloriosa dell'UDC e dopo il naturale esaurirsi di Forza Italia, una fetta consistente di questo "mondo", plurale e variegato, si sente semplicemente disorientato.
È pur vero che l'elettorato cosiddetto "cattolico" si spalma in modo omogeneo su tutti i partiti italiani. Ma è altrettanto vero che per una larga fetta di questo mondo non sono certamente i 5 Stelle o la Lega di Salvini le forze politiche capaci di intercettare le istanze di cambiamento morale, di rigore programmatico, di giustizia sociale, di equità fiscale e di rispetto costituzionale.
Ora, se è vero che questo disagio è palpabile è facilmente riscontrabile, è pur vero che le svariate iniziative che stanno costellando l'area cattolica italiana in questo momento per incentivarla ad un rinnovato protagonismo politico, rischiano di infrangersi nella debolezza della proposta culturale e nella inconsistenza di un progetto politico ed organizzativo.
Certo, il tema è ben noto e non si può sicuramente racchiudere in un breve articolo. Ma è indubbio che un rinnovato protagonismo politico di quest'area culturale non può limitarsi alla semplice denuncia moralistica, al modesto lavoro formativo e ad una sterile offerta di consigli a ciò che resta dei partiti – ormai tutti strumenti personali saldamente nelle mani dei loro rispettivi capi – e ai vari rappresentanti delle istituzioni. Atteggiamenti indubbiamente corretti e generosi, ma del tutto impotenti e autosufficienti rispetto alle attese. Forse è arrivato il momento, come ormai molti auspicano, per fare un salto di qualità. Quella che un tempo veniva semplicemente definita come assunzione di responsabilità. Del resto, non dobbiamo inventare nulla. Nessuno, com’è ovvio, si fa catturare dalle sirene della nostalgia o dalla mera coltivazione della memoria, ma non possiamo dimenticare che il triplice invito del passato – pensiero, azione e organizzazione – valeva per i cattolici di ieri e a maggior ragione vale per quelli di oggi. Perché senza l'elaborazione culturale, cioè senza un pensiero, non si è riconoscibili e non ci si caratterizza. Ma senza tradurre questo pensiero in un'azione concreta attraverso una rete organizzativa il tutto si riduce, appunto, ad uno sterile desiderio privo di significato e del tutto virtuale.
Ecco perché ci sono delle fasi storiche che richiedono un salto di qualità. Probabilmente dopo il 4 marzo, e alla luce di questa diffusa domanda di presenza e di partecipazione politica, il confronto in quest'area culturale è sempre più necessario purché approdi a un progetto e a un obiettivo.
Questo, forse, è l'unico impegno a cui adesso occorre dare una risposta. Perché altrimenti rischieremmo anche noi di essere complici di un disegno di disgregazione morale, di crisi culturale e di vuoto politico che invece richiedono ben altri ingredienti per essere affrontati e, se possibile, risolti. È anche e soprattutto una questione di volontà e di impegno. Il tempo della sola testimonianza forse è già alle nostre spalle.
È pur vero che l'elettorato cosiddetto "cattolico" si spalma in modo omogeneo su tutti i partiti italiani. Ma è altrettanto vero che per una larga fetta di questo mondo non sono certamente i 5 Stelle o la Lega di Salvini le forze politiche capaci di intercettare le istanze di cambiamento morale, di rigore programmatico, di giustizia sociale, di equità fiscale e di rispetto costituzionale.
Ora, se è vero che questo disagio è palpabile è facilmente riscontrabile, è pur vero che le svariate iniziative che stanno costellando l'area cattolica italiana in questo momento per incentivarla ad un rinnovato protagonismo politico, rischiano di infrangersi nella debolezza della proposta culturale e nella inconsistenza di un progetto politico ed organizzativo.
Certo, il tema è ben noto e non si può sicuramente racchiudere in un breve articolo. Ma è indubbio che un rinnovato protagonismo politico di quest'area culturale non può limitarsi alla semplice denuncia moralistica, al modesto lavoro formativo e ad una sterile offerta di consigli a ciò che resta dei partiti – ormai tutti strumenti personali saldamente nelle mani dei loro rispettivi capi – e ai vari rappresentanti delle istituzioni. Atteggiamenti indubbiamente corretti e generosi, ma del tutto impotenti e autosufficienti rispetto alle attese. Forse è arrivato il momento, come ormai molti auspicano, per fare un salto di qualità. Quella che un tempo veniva semplicemente definita come assunzione di responsabilità. Del resto, non dobbiamo inventare nulla. Nessuno, com’è ovvio, si fa catturare dalle sirene della nostalgia o dalla mera coltivazione della memoria, ma non possiamo dimenticare che il triplice invito del passato – pensiero, azione e organizzazione – valeva per i cattolici di ieri e a maggior ragione vale per quelli di oggi. Perché senza l'elaborazione culturale, cioè senza un pensiero, non si è riconoscibili e non ci si caratterizza. Ma senza tradurre questo pensiero in un'azione concreta attraverso una rete organizzativa il tutto si riduce, appunto, ad uno sterile desiderio privo di significato e del tutto virtuale.
Ecco perché ci sono delle fasi storiche che richiedono un salto di qualità. Probabilmente dopo il 4 marzo, e alla luce di questa diffusa domanda di presenza e di partecipazione politica, il confronto in quest'area culturale è sempre più necessario purché approdi a un progetto e a un obiettivo.
Questo, forse, è l'unico impegno a cui adesso occorre dare una risposta. Perché altrimenti rischieremmo anche noi di essere complici di un disegno di disgregazione morale, di crisi culturale e di vuoto politico che invece richiedono ben altri ingredienti per essere affrontati e, se possibile, risolti. È anche e soprattutto una questione di volontà e di impegno. Il tempo della sola testimonianza forse è già alle nostre spalle.
Pare così molesto dar corpo dentro il PD ad una componente che si richiami ai valori del cattolicesimo democratico? Siamo certi che sia più bislacca dei renziani, orlandiani ecc.. Oppure che non sia il tempo di dare significato alla politica dando contenuti alle scelte ed alle militanze? Nessuno mette la candela sotto il moggio. È ora di vivere il popolarismo alla luce del sole se non si vuol parecitare a fatue contese fra bande.