Prima la Costituzione, poi Maastricht



Giuseppe Davicino    9 Maggio 2018       2

L'eccellente articolo di Mario Di Massa su questo sito, non può che provocare reazioni per chi crede che le culture riformatrici e popolari, tra cui la nostra, quella cattolico-democratica, possano svolgere un ruolo di primo piano anche in questa fase di cambiamento d'epoca che stiamo attraversando, anziché esser relegate al ruolo di spettatrici, o addirittura di difensori, più o meno consapevoli, di interessi e strategie d'altri mondi, che poco hanno a che fare con il popolo e la democrazia.

Di Massa, dopo aver mostrato l'insensatezza e l'inadeguatezza dell'austerity, vera causa dei “populismi” e causa dell'aggravamento della situazione economica e sociale nel nostro Paese, propone due cose di puro buon senso. La prima, che i Paesi in surplus di bilancio – la Germania – incentivino la crescita della loro domanda interna. Lo sta facendo persino la Cina per stemperare le guerre commerciali. E la rivista Forbes lo conferma, avendo pubblicato uno studio da cui risulta che gli stipendi medi delle aree avanzate della Cina hanno superato gli stipendi medi degli Stati dell'Europa dell'Est. La seconda proposta è una road map per cambiare l'Unione Europea per far sì che democrazia e solidarietà tornino ad esserne i fondamenti.

 

Il tempo della responsabilità per la politica

Esattamente da qui, da questo ordine di problemi, bisogna ripartire per costruire una proposta politica riformatrice adeguata ai tempi e capace di dare risposte non illusorie sul piano economico e su quello sociale, perché, come ha ricordato il presidente della CEI, card. Bassetti al recente congresso della FUCI, questo per la politica è il tempo della responsabilità.

Passare dall'austerità alla solidarietà in concreto non è così semplice. Si tratta di una sfida durissima, ma che non dovrebbe spaventare una tradizione politica che si è forgiata attraverso due guerre mondiali, un ventennio di totalitarismo, una lunga stagione del terrorismo “brigatista”. Ma è una sfida da affrontare a partire dalla realistica e amara consapevolezza che le soluzioni più ragionevoli alla crisi economica, sociale, istituzionale del Paese e dell'Europa sono anche quelle che sono scartate a priori da chi comanda per davvero, da quei soggetti che sono nei fatti i detentori del potere, senza necessariamente aver bisogno di ricoprire un definito e visibile ruolo istituzionale. Questi soggetti che oggi comandano in Europa, e dei quali l'Unione Europea è stata ridotta a loro cinghia di trasmissione, sono essenzialmente due: la grande finanza speculativa occidentale e la Germania.

Angela Merkel, ex spia comunista della DDR, non è l'erede politico di Helmut Kohl: ne rappresenta per alcuni versi l'antitesi, così come gli avversari della cancelliera poco hanno a che fare con Willy Brandt o con Gerhard Schröder. La via del potere alla Merkel è stata spianata nei santuari dell'ordine globalista occidentale, messi un po' a soqquadro dall'elezione di Trump, ma ancora potentissimi.

Per questo non c'è da richiamare la favola dello scorpione e della rana per constatare che la Germania attuale non può cambiare. Dai poteri che contano oltreoceano è stato riconosciuto alla Germania riunificata ogni potere in Europa, tutto lo “spazio vitale” di cui necessita la sua geopolitica (meno diplomaticamente: il dominio sui suoi vicini e sui suoi alleati, e questo spiega come mai i britannici se ne siano andati dall'UE), in cambio della sua incondizionata fedeltà atlantica. Per storia e per indole la Germania dimostra un approccio mercantilista (da cui, per certi versi, abbiamo molto da imparare) sul piano internazionale incapace di guardare oltre il naso del proprio interesse nazionale, incapace di includere in una logica win-win, di comune vantaggio, i propri partners. A loro sta bene così: una Germania che si consolida potenza mondiale nell'export facendo dumping sociale con manodopera sottopagata dell'Europa dell'Est ai propri confini e indebolendo i suoi concorrenti più temibili, Italia e Francia. Una Germania che impone agli altri le regole in Europa, che punisce severamente e senza umanità (vedasi la Grecia che ormai ha una mortalità infantile da Paese sottosviluppato) chi le trasgredisce, ma che poi sancisce con sentenza della Corte di Karlsruhe la prevalenza del diritto tedesco su quello comunitario, tollera sbalorditive bolle speculative nelle sue principali banche, dispensa generosi aiuti di Stato alle proprie banche regionali molto peggio gestite di quelle italiane.

 

Il primato del denaro che blocca l'Europa

Ma neanche l'altro grande potere che comanda in Europa, quello finanziario, può cambiare. Esso si regge su una montagna di titoli spazzatura, il cui ammontare si stima superi di più di una decina di volte il PIL mondiale. A questo potere la politica ha colpevolmente affidato l'architettura dell'euro. Il peccato originale della moneta unica è quello di esser stata concepita come moneta dei banchieri anziché come moneta dei popoli dell'Eurozona. E infatti non è una moneta al servizio dello sviluppo e del benessere dei cittadini che la usano, al contrario chiede che siano sacrificati lo sviluppo, il lavoro, i diritti sociali, il futuro e la dignità delle persone in funzione della stabilità monetaria. Il funzionamento dell'Euro è congegnato in modo da togliere a chi lavora e produce, l'economia reale, per trasferire ricchezza verso chi specula, impoverendo la classe media e lavoratrice e producendo livelli di disuguaglianza inauditi.

Potrà mai cambiare questo potere della finanza? La risposta è ancora no. Questo tipo di finanza predatoria sopravvive, come i parassiti, solo se non si stacca dall'organismo che lo ospita. E questo organismo è il mondo intero. Tale potere finanziario, essendo totalitario e monopolista per natura, non può tollerare ostacoli, meno che mai progetti concorrenti, come l'area di libero scambio euroasiatica, che sta divenendo il più grande mercato del mondo.

Questa è la ragione ultima della destabilizzazione del Medio Oriente, attraverso il finanziamento occidentale del terrorismo “islamico”: il sabotaggio delle nuove vie della seta, delle nuove rotte commerciali terrestri tra Cina ed Europa. Ma è anche la ragione del deliberato deterioramento delle relazioni con la Russia. La finanza globalista, che governa l'UE, tollera l'egemonia tedesca sull'Europa, ma è disposta a tutto, anche alla guerra, pur di evitare la saldatura fra gli interessi economici tedeschi, l'export di tecnologie, con quelli russi, l'export di materie prime.

 

I presupposti per un credibile progetto politico riformatore

Queste sommarie considerazioni dovrebbero essere sufficienti per motivare il fatto che ogni forza progressista, di sinistra, di centrosinistra che voglia rilanciare seriamente, senza scorciatoie populiste, politiche per il lavoro e di welfare, non possa prescindere da un giudizio sulla deriva monetarista e tecnocratica dell'Unione Europea, che sta procedendo come un pilota automatico, senza adeguato controllo democratico e che sta conducendo allo schianto il progetto di integrazione europea.

Sarebbe da irresponsabili cedere ulteriori quote di sovranità nazionale a una governance che sta deteriorando la coesione sociale, impoverendo la classe media e che sta portando l'Europa allo scontro armato, aumentando i rischi di un possibile e prossimo conflitto nucleare, con la Russia.

Certo basterebbe il buon senso: convincere la Germania alla messa in comune del debito pubblico dell'Eurozona e a ridurre il suo surplus, aumentando i propri stipendi; superare l'indipendenza della BCE, portandola sotto diretto controllo degli stati dell'Eurozona, restituendo l'euro ai cittadini europei; praticare un quantitative easing, l'acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale, a favore di grandi progetti per il lavoro, per la protezione sociale, di innovative politiche industriali capaci di competere con quelle dell'Estremo Oriente, anziché, come avviene con Draghi, principalmente per far lucrare le banche d'affari; rimuovere le sanzioni alla Russia e ragionare con essa di una Casa comune europea. Ma sono tutte misure che sono respinte dai poteri che dirigono l'UE.

Per queste ragioni una forza politica riformatrice e popolare che voglia credibilmente affermare le priorità del lavoro, dello stato sociale, della riduzione delle disuguaglianze non può che coagularsi attorno al primato della Costituzione italiana sui trattati europei post Maastricht; non può che proporsi in atteggiamento fortemente dialettico verso quei poteri che determinano le politiche monetarie ed economiche che l'Italia deve subire e che si sono rivelate nocive sia sotto l'aspetto economico che sotto quello sociale; non può esimersi dal ricordare loro che l'Italia ha sempre un piano B, non solo riguardo alle politiche monetarie, ma che è una nazione in grado di riprendersi in ogni momento il suo posto nel mondo, come e meglio del Regno Unito, essendo la rilevanza globale dell'Italia destinata ad aumentare per ragioni geopolitiche e culturali con l'affermarsi del progetto euroasiatico, accanto a quello euroatlantico.

Serve dunque, un nuovo movimento politico riformatore, alternativo al centrodestra, capace di trovare il consenso di tutti quegli elettori che si sentono delusi e non rappresentati dagli attuali partiti di centrosinistra, che sappia affermare il primato del lavoro e del welfare, tutelati dalla Costituzione che deve avere la priorità sui trattati internazionali. Ad un tale progetto, a mio modo di vedere, dovrebbero guardare anche quelle iniziative, come la “rete bianca”, che stanno nascendo tra i cattolici in seguito al fallimento politico, culturale, elettorale del Partito Democratico, se ambiscono a rappresentare davvero interessi dell'elettorato popolare e se vogliono concretamente mettere in gioco l'enorme patrimonio storico-culturale cui fanno riferimento per costruire risposte politiche che guardano al futuro.


2 Commenti

  1. Ho letto più volte l’interessante e denso scritto di Giuseppe Davicino. Solitamente concordo con molte delle cose che dice, ma questa volta la lettura mi ha suscitato dubbi e interrogativi.
    Se l’avversario riconosciuto è la “grande finanza speculativa occidentale”, al cui vertice troviamo quei “poteri forti d’oltreoceano” che (senza ricoprire esplicitamente un ruolo politico e istituzionale) oggi comandano in Europa e dei quali l’Unione Europea è una cinghia di trasmissione, che cosa dobbiamo pensare del Presidente Mattarella (e del mondo che rappresenta) la cui prioritaria preoccupazione è tutelare proprio quei soggetti (Nato e CE)? Inoltre, fra questa analisi della situazione ed i discorsi dei “populisti” (in Italia, M5S e Lega), ci sono molti punti di contatto. Non sarebbe il caso di prenderne atto invece di contrapporsi ad essi, mentre si cerca di edificare un’alternativa alla finanza globale, ed a chi ne incarna gli interessi politici?
    Confrontarsi con i poteri forti per dare vita ad un radicale cambiamento è impresa che fa tremare le vene e i polsi. Come è pensabile dare corso ad una tale impresa principalmente contando sulla rinascita, o la rigenerazione, di quelle formazioni politiche progressiste o riformiste in piena crisi di identità o sul contributo di movimenti ed iniziative (la rete bianca) espressione di culture minoritarie in Europa ed ormai anche in Italia?
    La crisi profonda della società occidentale (non solo europea) investe più ambiti e dà luogo a fenomeni negativi sempre più marcati: venti di guerra che investono Medio Oriente ed Europa, guasti ambientali e modificazioni climatiche, migrazioni incontrollate, disoccupazione ed impoverimento delle classi popolari, ecc.. Pensiamo veramente che basti porre fine all’austerità e riattivare la spesa pubblica per voltare pagina e risolvere i problemi? Come ho già avuto modo di dire, ritengo che i i fenomeni negativi denunciati siano principalmente imputabili alle modalità operative ed alle finalità di quel turbocapitalismo che il mercato globale ha prodotto.
    Viviamo in un cambiamento d’epoca: c’è un mondo in fase declinante (per quanto sia ancora solido), ma non sappiamo che cosa potrà nascere dopo di esso. Forse bisognerebbe avere il coraggio di immettersi nella corrente tumultuosa del cambiamento in corso, guardando alla realtà, e di volta in volta misurarsi sui fatti.

  2. Concordo Giuseppe, dobbiamo stare dentro le contraddizioni e le sfide del presente anche parlano di cose che urtano le nostre categorie di giudizio, e superando quei vincoli che impediscono alla politica di mettere in campo le strategie più adeguate per affrontare la complessità dei problemi. Altrimenti lo farannno, lo stanno facendo, altri.

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